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Mattarella in Giordania, paese arabo amico e faro di moderazione in un’area difficile

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La Giordania è un Paese “amico”, guidato con saggezza e prudenza da re Abdullah II e rappresenta un interlocutore moderato e autorevole nella turbolenta scena mediorientale. Sono queste le coordinate nelle quali si inquadra la visita ufficiale di tre giorni che Sergio Mattarella da domani compira’ nel regno haschemita. Il viaggio del presidente della Repubblica cade in un momento delicatissimo per l’area. L’arrivo del capo dello Stato e’ previsto in contemporanea con le elezioni politiche in Israele, dove le tensioni con gli Hezbollah di Gaza restano altissime.

Sarà quindi di grande interesse ascoltare le considerazioni sulle dinamiche del voto israeliano di re Abdullah che da anni rappresenta una forza moderatrice e ha costruito un Paese basato sull’accoglienza. Come dimostrano gli incredibili dati dell’immigrazione. Oggi in Giordania una persona su 8 e’ siriana e tre su 10 sono rifugiati. Il Paese, che insieme al Libano ospita il maggior numero di rifugiati in proporzione alla popolazione, conta 2,8 milioni di profughi, fra cui quasi 700 mila siriani registrati (dei quali il 51% sono bambini), 63.581 rifugiati iracheni (32,9% bambini) e oltre 2,1 milioni di rifugiati palestinesi a lunga permanenza, certificano le stime dell’Unicef. Poco piu’ lontano, la Libia e’ sull’orlo di una guerra civile e l’Occidente sembra impotente sia nel comprendere che nel governare una realta’ vicinissima all’Italia. Al contrario, il sovrano giordano e’ al centro di una rete di relazioni arabe che sono il vero motore della crisi libica. E’ noto infatti che la partita di Tripoli si sta giocando su pericolose triangolazioni che vanno dall’Egitto all’Arabia Saudita, senza dimenticare il piccolo ma attivissimo Qatar. La Giordania resta comunque un piccolo Paese con cui l’Italia ha ottime relazioni, anche economiche. Ed e’ un Paese che, nonostante la scarsa produzione industriale e di prodotti agricoli, registra da anni una buona crescita economica. Nel 2018, l’economia del paese e’ cresciuta del 2 per cento. In particolare, il settore dei servizi ha registrato quasi un aumento del 4 per cento, il settore della finanza e assicurativo un +3,6 per cento, l’agricoltura +3,2 per cento, i trasporti e le comunicazioni +3 per cento, mentre il settore immobiliare ha superato il 2 per cento. La crescita economica della Giordania dovrebbe addirittura accelerare al 2,3 per cento nel 2019.

Dati che permettono al made in Italy la possibilita’ di una buona penetrazione, senza tralasciare che il regno ha forte bisogno di know how e di alta tecnologia. Buono e’ il contributo che l’Italia offre per lo sviluppo e la pacificazione dell’area. Ad esempio contribuendo al progetto Sesame, il primo acceleratore di particelle del Medio Oriente, con un italiano alla direzione e la collaborazione di Autorita’ nazionale palestinese e Israele, con Cipro, Egitto, Iran, Giordania, Pakistan e Turchia. Al di la’ degli incontri ufficiali, il presidente visitera’ il piu’ grande campo profughi siriano, quello di Za’atari. Il centro e’ stato avviato nel 2012 ed e’ diventato oggi una vera e propria citta’ di 80 mila abitanti che difficilmente potra’ mai essere smantellata. Oltre il 50 per cento dei residenti sono bambini e il 20 per cento delle famiglie e’ composto da madri sole. Mattarella fara’ anche una tappa al Santuario del Monte Nebo, dove avra’ un incontro con il Custode di Terra santa, Padre Francesco Patton. E, giovedi’, ultimo giorno della visita, dopo l’incontro con il Primo ministro, Omar Razzaz, Mattarella si rechera’ nel sito archeologico di Petra, gemellato con Matera, capitale europea della cultura 2019, dove gli studiosi italiani svolgono un ruolo fondamentale nell’attivita’ di recupero e restauro.

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La trumpiana Greene lavorerà con Musk e Ramaswamy a taglio costi

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La trumpiana di ferro Marjorie Taylor Greene collaborerà con Elon Musk e Vivek Ramaswamy come presidente di una commissione della Camera incaricata di lavorare con il Dipartimento dell’efficienza. “Sono contenta di presiedere questa nuova commissione che lavorerà mano nella mano con il presidente Trump, Musk, Ramaswamy e l’intera squadra del Doge”, acronimo del Department of Government Efficiency, ha detto Greene, spiegando che la commissione si occuperà dei licenziamenti dei “burocrati” del governo e sarà trasparente con le sue audizioni. “Nessun tema sarà fuori dalla discussione”, ha messo in evidenza Greene.

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Pam Bondi, fedelissima di Trump a ministero Giustizia

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Donald Trump nomina la fedelissima Pam Bondi a ministra della Giustizia. L’ex procuratrice della Florida ha collaborato con il presidente eletto durante il suo primo impeachment. “Come prima procuratrice della Florida si è battuta per fermare il traffico di droga e ridurre il numero delle vittime causate dalle overdosi di fentanyl. Ha fatto un lavoro incredibile”, afferma Trump sul suo social Truth annunciando la nomina, avvenuta dopo il ritito di Matt Gaetz travolto da scandali a sfondo sessuale. “Per troppo tempo il Dipartimento di Giustizia è stato usato contro di me e altri repubblicani. Ma non più. Pam lo riporterà al suo principio di combattere il crimine e rendere l’America sicura.

E’ intelligente e tosta, è una combattente per l’America First e farà un lavoro fantastico”, ha aggiunto il presidente-eletto. Bondi è stata procuratrice della Florida fra il 2011 e il 2019, quando era governatore Rick Scott. Al momento presiede il Center for Litigation all’America First Policy Institute, un think tank di destra che sta lavorando con il transition team di Trump sull’agenda amministrativa. Come procuratrice della Florida si è attirata l’attenzione nazionale per i suoi tentativi di capovolgere l’Obamacare, ma anche per la decisione di condurre un programma su Fox mentre era ancora in carica e quella di chiedere al governatore Scott di posticipare un’esecuzione per un conflitto con un evento di raccolta fondi.

La nomina di Bondi arriva a sei ore di distanza dal ritiro di Gaetz dalla corsa a ministro della Giustizia dopo le nuove rivelazioni sullo scandalo sessuale che lo ha travolto. Prima dell’annuncio, l’ex deputato della Florida era stato contattato da Trump che gli aveva riferito che la sua candidatura non aveva i voti necessari per essere confermata in Seanto. Almeno quattro senatori repubblicani, infatti, si era espressi contro e si erano mostrati irremovibili a cambiare posizione. Il nome di Bondi, riporta Cnn, era già nell’iniziale lista dei papabili ministro alla giustizia stilata prima di scegliere Gaetz. Quando l’ex deputato ha annunciato il suo passo indietro, il nome di Bondi è iniziato a circolare con insistenza fino all’annuncio.

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Da Putin a Gheddafi, i leader nel mirino dell’Aja

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Con il mandato d’arresto spiccato contro il premier israeliano Benyamin Netanyahu, insieme all’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, si allunga la lista dei capi di Stato e di governo perseguiti dalla Corte penale internazionale con le accuse di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Da Muammar Gheddafi a Omar al Bashir, e più recentemente Vladimir Putin. Ultimo in ordine di tempo era stato appunto il presidente russo, accusato nel marzo del 2023 di “deportazione illegale” di bambini dalle zone occupate dell’Ucraina alla Russia, insieme a Maria Alekseyevna Lvova-Belova, commissaria per i diritti dei bambini del Cremlino.

Sempre a causa dell’invasione dell’Ucraina nel mirino della Corte sono finiti in otto alti gradi russi, tra cui l’ex ministro della Difesa Sergei Shoigu e l’attuale capo di stato maggiore Valery Gerasimov: considerati entrambi possibili responsabili dei ripetuti attacchi alle infrastrutture energetiche ucraine. Prima di Putin, nel 2011 l’Aja accusò di crimini contro l’umanità Muammar Gheddafi, ma il caso decadde con la morte del rais libico nel novembre dello stesso anno.

Un simile provvedimento fu emesso per il figlio Seif al Islam e per il capo dei servizi segreti Abdellah Senussi. Tra gli altri leader di spicco perseguiti, l’ex presidente sudanese Omar al Bashir: nel 2008 il procuratore capo della Corte Luis Moreno Ocampo lo accusò di essere responsabile di genocidio e crimini contro l’umanità e della guerra in Darfur cominciata nel 2003. Anche Laurent Gbagbo, ex presidente della Costa d’Avorio, è finito all’Aja, ma dopo un processo per crimini contro l’umanità è stato assolto nel 2021 in appello.

Nel 2016 la Corte penale internazionale ha condannato l’ex vicepresidente del Congo, Jean-Pierre Bemba, per assassinio, stupro e saccheggio in quanto comandante delle truppe che commisero atrocità continue e generalizzate nella Repubblica Centrafricana nel 2002 e 2003. Il signore della guerra ugandese Joseph Kony, che dovrebbe rispondere di ben 36 capi d’imputazione tra cui omicidio, stupro, utilizzo di bambini soldato, schiavitù sessuale e matrimoni forzati, è la figura ricercata dalla Cpi da più tempo: il suo mandato d’arresto venne spiccato nel 2005. Tra gli altri dossier aperti e su cui indaga l’Aja c’è l’inchiesta sui crimini contro la minoranza musulmana dei Rohingya in Birmania. Un’altra indagine è quella su presunti crimini contro l’umanità commessi dal governo del presidente venezuelano Nicolas Maduro. E non è solo l’Aja ad aver processato capi di Stato e di governo: nel 2001, l’ex presidente Slobodan Milosevic fu accusato di crimini di guerra, genocidio e crimini contro l’umanità dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia. Arrestato, morì d’infarto in cella all’Aja nel 2006, prima che il processo potesse concludersi.

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