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Guerra civile in Siria, l’Unicef denuncia la carneficina dei bambini: sono 1.106 quelli uccisi solo nel 2018

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Henrietta Fore. Nella foto quando ha prestato giuramento dinanzi al Segretario Generale dell’ONU Antonio Guterres diventando ufficialmente il 7° Direttore nella storia dell’UNICEF.

“Solo nel 2018, in Siria 1.106 bambini sono stati uccisi nei combattimenti, il piu’ alto numero in un solo anno dall’inizio della guerra”, nel 2011. “Questi sono solo i numeri che l’ONU e’ stato in grado di verificare, ma le cifre reali sono probabilmente molto piu’ alte”. Lo fa sapere il direttore generale dell’Unicef, Henrietta Fore. Le mine rappresentano al momento la principale causa di morte tra i bambini in Siria: lo scorso anno quelli morti o feriti a causa di ordigni inesplosi sono stati 434 morti. Il 2018 ha visto anche 262 attacchi contro le strutture scolastiche e sanitarie, “anch’essi – osserva l’Unicef – a livelli record”. L’Unicef manifesta “particolare preoccupazione” per la situazione nel Paese: “oggi – osserva Fore – c’e’ un allarmante equivoco che il conflitto in Siria stia rapidamente per concludersi: non e’ cosi’. I bambini in alcune parti del Paese rimangono in pericolo”.

Particolarmente grave “la situazione nella Siria nordoccidentale di Idlib, dove un’intensificazione della violenza ha ucciso 59 bambini solo nelle ultime settimane”. I minori risultano poi le principali vittime della guerra in qualsiasi schieramento: “I bambini e le famiglie nelle terre di nessuno continuano a vivere nel limbo” – evidenzia l’Unicef – e “il destino dei bambini dei ‘foreign fighters’ rimane poco chiaro”. In proposito l’ Unicef “esorta gli Stati membri ad assumersi la responsabilita’ per i bambini che sono loro cittadini o nati da loro cittadini, e ad adottare misure per evitare che i bambini diventino apolidi”. Grave anche la situazione dei rifugiati nei Paesi confinanti con il teatro di guerra: 2,6 milioni di bambini che, “nonostante il sostegno dei governi ospitanti, delle Nazioni Unite e della comunita’ internazionale, devono affrontare le proprie sfide”, accettando anche lavoro e minorile e matrimoni precoci, tra poverta’ e assenza di istruzione. L’Unicef rinnova percio’ gli appelli “a tutte le parti in conflitto, cosi’ come a coloro che hanno influenza su di loro, a dare priorita’ alla protezione di tutti i bambini”, “per un accesso incondizionato e sicuro alle famiglie bisognose e per soluzioni sostenibili, volontarie e a lungo termine per coloro che scelgono di non tornare”. Alla vigilia della conferenza dei donatori a Bruxelles, l’Unicef esorta inoltre i Paesi coinvolti “a mantenere la loro generosita’ nei confronti dei bambini della Siria e dei paesi vicini. Sono necessari finanziamenti prevedibili, senza restrizioni e pluriennali per far fronte ai bisogni immediati e a lungo termine dei bambini e delle loro famiglie in Siria e in tutta la regione”.

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Sì del Pe all’uso di armi in Russia, italiani contrari

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L’uso delle armi inviate a Kiev in territorio russo allontana l’Italia dalla maggioranza all’Eurocamera. A Strasburgo la plenaria ha infatti dato via libera ad un passaggio cruciale, e ancora divisivo in Occidente, del supporto all’Ucraina trovando però le delegazioni italiane in larga parte contrarie. Forza Italia, Fdi, Lega, Pd, M5S, Verdi e Sinistra, pur con numerosi distinguo, hanno votato contro il paragrafo 8 della risoluzione, relativo proprio all’uso delle armi contro obiettivi in Russia. Un voto, quello degli europarlamentari, in linea con la posizione del governo, tanto che è stato lo stesso ministro degli Esteri Antonio Tajani ad anticiparlo in mattinata. Sul testo finale di sostegno più generale all’Ucraina invece le delegazioni italiane si sono nettamente spaccate: i dem, gli azzurri e i meloniani si sono espressi a favore; mentre Lega, pentastellati e Verdi hanno nuovamente votato contro.

In attesa dei sì dei singoli Paesi, l’Eurocamera sul dossier ha fatto da avanguardia. Il paragrafo 8 della risoluzione “invita gli Stati membri a revocare immediatamente le restrizioni sull’uso delle armi occidentali consegnate all’Ucraina contro obiettivi militari legittimi sul territorio russo”. Ed è su questo paragrafo che gli eurodeputati italiani hanno votato in dissenso dalla maggioranza del Pe, e anche dai loro gruppi di appartenenza. Ma neanche al loro interno le delegazioni sono riuscite a mantenersi compatte. Nel Pd sono emersi tre correnti: Elisabetta Gualmini e Pina Picierno hanno votato a favore del paragrafo 8; dieci eurodeputati, incluso il capodelegazione Nicola Zingaretti, hanno votato contro, in linea con l’indicazione del partito; in 6 invece non hanno votato affatto, incluso Stefano Bonaccini. Giorgio Gori, assente, ha fatto sapere che avrebbe votato sì. Anche in Fi c’è stato dissenso: Giusi Princi e Massimiliano Salini, a dispetto del resto del gruppo, si sono espressi a favore dell’uso delle armi in territorio russo. Sul tema sia il Pd sia Fi hanno votato in dissenso dai loro gruppi di appartenenza, Ppe e socialisti.

Tanto che, alla fine il paragrafo 8 è passato con 377 voti a favore, 191 contrari e 51 astenuti, ed è stato votato perfino da una truppa di The Left, inclusa Carola Rackete. Contrari i Patrioti mentre Ecr si è spaccata: i meloniani contrari, i polacchi del Pis a favore. Sul testo finale della risoluzione (che comprendeva anche l’articolo 8 ma manifestava nel complesso un sostegno più generale all’Ucraina) gli italiani sono invece tornati nei ranghi della maggioranza. Il Pd – con l’eccezione degli astenuti Cecilia Strada e Marco Tarquinio – Fi e Fdi hanno votato a favore del testo. Lega, M5s e Verdi hanno invece mantenuto una posizione fortemente anti-atlantista, votando contro. La risoluzione ha incassato 425 voti a favore, 131 contrari e 63 astensioni, provocando l’ira di Mosca. “Ciò che chiede il Parlamento europeo conduce verso una guerra mondiale con armi nucleari”, ha avvertito il presidente della Duma russa, Viaceslav Volodin. Il sì alla nuova risoluzione sull’Ucraina era particolarmente atteso a Strasburgo ed è giunto alla vigilia del primo viaggio da presidente rieletta di Ursula von der Leyen a Kiev. Un incontro importante, nel quale si parlerà anche del supporto dell’Ue alle infrastrutture energetiche ucraine.

“Metà di queste è andata distrutta”, hanno spiegato a Bruxelles von der Leyen e Fatih Birol, direttore esecutivo dell’Agenzia internazionale dell’energia. Il tema dell’utilizzo della armi ucraine in Russia è da settimane al centro del dibattito in Europa. Il 29 agosto scorso, al Consiglio Affari Esteri, Josep Borrell aveva tentato di arrivare ad un via libera comune dei 27, trovando tuttavia perplessità e opposizione di alcuni Paesi membri, a cominciare da Germania e Italia. Gran parte delle cancellerie, Roma inclusa, manifestarono invece l’opportunità di trattare il tema a livello bilaterale con l’Ucraina. Una decisione comune, in quella riunione, non sarebbe stata comunque possibile trattandosi di un Consiglio Affari Esteri informale. Ma il tema, presto, tornerà sui tavoli europei. E sul punto Giorgia Meloni e Ursula von der Leyen sono distanti.

 

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Attacco con coltello a Rotterdam, un morto e un ferito

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Un uomo armato di coltello ha pugnalato a morte una persona e ne ha ferito gravemente un’altra a Rotterdam, in Olanda. Lo riferisce la polizia che ha arrestato un sospetto, anch’egli gravemente ferito. È stato portato in ospedale. Secondo l’emittente pubblica olandese Nos, testimoni hanno affermato che il sospettato ha gridato “Allah Akbar” (Dio è il più grande) durante l’attacco. Un insegnante di ginnastica che stava tenendo una lezione vicino al ponte Erasmus, dove è avvenuta l’aggressione, ha detto all’emittente di aver tentato di fermare l’aggressione. “Ho visto un uomo con due lunghi coltelli pugnalare un giovane”, ha detto.

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Nasrallah: l’attacco di Israele dichiarazione di guerra

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Il fronte israelo-libanese del Medio Oriente in fiamme è diventato l’epicentro delle ostilità, facendo quasi passare in secondo piano la situazione a Gaza. In Galilea le sirene hanno risuonato continuamente per i razzi lanciati dagli Hezbollah, e gli israeliani hanno risposto con massicce incursioni aeree in Libano. I caccia dell’Idf hanno anche sorvolato a bassa quota Beirut, rompendo il muro del suono, come gesto di sfida al discorso di Hassan Nasrallah, che si attendeva giurasse vendetta per il maxi sabotaggio ai cercapersone e ai walkie talkie delle sue milizie. “E’ stata una dichiarazione di guerra da parte di Israele”, ha tuonato il leader sciita, senza tuttavia annunciare per il momento un contrattacco sul larga scala. “La punizione arriverà, ma non diremo quando e dove”, il suo unico avvertimento.

A cui è seguito il via libera dello stato maggiore israeliano ai piani di battaglia per il confine settentrionale. Il conteggio delle vittime non è ancora concluso, dopo la sorprendente operazione che in due giorni ha messo in scacco gli Hezbollah facendo esplodere migliaia di apparecchi di comunicazione in tutto il Paese ed anche in Siria, provocando almeno una quarantina di morti e tremila feriti. Un’azione non rivendicata dallo Stato ebraico, ma con i tratti distintivi del Mossad. Lo stesso Nasrallah, nell’intervento trasmesso in tv da una località segreta, ha ammesso che il suo movimento “ha subito un duro colpo, senza precedenti”. Allo stesso tempo ha accusato il nemico di aver “oltrepassato tutte le linee rosse” prendendo di mira “aree affollate di civili”. La sua retorica incendiaria contro Israele non ha tuttavia portato all’annuncio di un’escalation militare.

Il capo del partito di Dio si è limitato a promettere che il “fronte libanese resterà aperto finché non finirà l’aggressione contro Gaza” e che la rappresaglia ci sarà, senza tuttavia precisare “tempi e luoghi”. Ancora una volta, un apparente segnale di voler puntare più su una guerra psicologica con Israele che su un conflitto su larga scala. In linea con gli alleati iraniani. Il discorso di Nasrallah è stato oggetto di valutazione durante una riunione convocata da Benyamin Netanyahu con i suoi ministri, ma lo Stato ebraico continua a premere con l’obiettivo dichiarato di riportare nelle proprie case i 60mila residenti fuggiti dalle zone di confine, dove oggi sono stati uccisi due soldati israeliani. Negli ultimi giorni il governo, a partire dal premier, ha ripetuto che serve un “cambiamento fondamentale” per la sicurezza nel nord, mentre il ministro della Difesa Yoav Gallant ha parlato di una “nuova fase della guerra” in cui le “operazioni continueranno”. Anche se l’ex generale, spesso in rotta di collisione con Bibi, ha parlato di “opportunità significative ma anche di gravi rischi”. Proprio per scongiurare i gravi rischi legati alla polveriera libanese si moltiplicano i tentativi di mediazione della diplomazia occidentale.

I ministri degli Esteri di Stati Uniti, Francia, Italia, Germania e Gran Bretagna si sono riuniti a Parigi per fare il punto della situazione. Antony Blinken, in un bilaterale con Stephane Sejourne, ha invocato “moderazione da tutte le parti”, mentre Antonio Tajani ha portato nella capitale francese, per condividerle con i colleghi, le informazioni che arrivano dai militari italiani impegni in Unifil, a Beirut e al confine israelo-libanese. Dalla Cnn intanto è arrivata l’indiscrezione che Netanyahu non incontrerà Joe Biden a New York, a margine dell’Assemblea generale dell’Onu. Un ulteriore indizio che non lascia intravedere nulla di buono, neanche per quanto riguarda la trattativa sugli ostaggi a Gaza. Anche il capo del Pentagono Lloyd Austin ha rinviato il suo viaggio in Israele inizialmente previsto all’inizio della prossima settimana in seguito all’escalation delle tensioni. In questa persistente instabilità, le compagnie aeree sono corse ai ripari: sia Lufthansa che Air France hanno esteso lo stop ai voli nella regione, mentre Londra ha invitati i britannici a lasciare il Libano quanto prima paventando “un rapido peggioramento della situazione”.

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