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Economia

Case in fitto o da acquistare, i segreti del mercato immobiliare alimentato da 400mila studenti universitari fuori sede

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Sono tanti gli studenti che si stanno preparando al nuovo anno accademico. Molti hanno scelto altre città per i propri studi. In base agli ultimi dati dell’Anagrafe Nazionale Studenti del Miur, nel 2016/2017 gli studenti fuori sede erano più di 400mila. Un esercito che, secondo l’analisi del Centro Studi di Abitare Co. – società attiva nell’ambito dell’intermediazione immobiliare -, contribuisce a dare una spinta al mercato immobiliare nei quartieri vicini alle facoltà delle principali città metropolitane italiane e delle piccole città universitarie.

A livello generale, durante il primo semestre del 2018, in prossimità dei quartieri universitari, la domanda per l’acquisto di un’abitazione è aumentata in maniera più marcata (+5,2% sul 2017) rispetto a quella registrata nelle altre zone (+4,6%). Una spinta che arriva sia da chi preferisce acquistare l’immobile al proprio figlio studente, avendone la possibilità economica, sia da chi vuole investire potendo contare su un bacino ampio di potenziali affittuari e su di una rendita più elevata. Contestualmente, a settembre 2018, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, in queste zone cresce del +2,2% il prezzo medio di vendita di un’abitazione usata in buone condizioni (€2.400 a mq) – contro +1,3% degli altri quartieri. Aumenta anche la domanda di abitazioni in affitto del +4,3% (nelle altre zone è del +3,7%), mentre i prezzi medi per un bilocale, che si attestano a circa €800 al mese, sono cresciuti rispetto allo scorso anno del +5,8%, a fronte di un incremento medio registrato negli altri quartieri del +4,6%.
Analizziamo la situazione in Campania, nelle città universitarie.

Quanto costa acquistare un’abitazione usata (in buone condizioni) nei pressi delle principali università?

Considerando esclusivamente i quartieri universitari delle città metropolitane, a settembre 2018 la più cara è Roma. Acquistare una casa a Napoli nei pressi di una delle facoltà universitarie costa in media 2.150euro al metro quadro. La zona più costosa è il Porto (€2.800), seguita da Corso Umberto (€2.400). Più economiche la zona di via Foria nei pressi del Museo Archeologico nazionale (€1.500) e San Pietro Martire (€1.900).

A Caserta, per una stanza singola dalle parti della stazione, a due passi da Palazzo Reale, bastano 170 euro al mese, come pure per una stanza in una casa di piazza Sant’Anna. Si sale a 250 euro se si sceglie di alloggiare a San Benedetto, nei pressi della facoltà di Medicina. Se poi ci si sposta in periferia, a Centurano, ci vogliono 200 euro al mese. Una spesa minima ma si é nella periferia estrema Casertana. Ma le sedi universitarie non sono solo a Caserta. L’Ateneo intitolato Luigi Vanvitelli ha diverse sedi in tutta la provincia. Ad Aversa, ad esempio, le facoltà di Ingegneria e Architettura richiamano migliaia di studenti. Per una stanza singola vicino ad Architettura (zona San Lorenzo) servono 280 euro, che diventano 310 per una doppia uso singola. Cambiano i prezzi per una stanza singola nelle immediate vicinanze di Via Roma, nei pressi della Metropolitana Aversa Centro e della Stazione Ferroviaria può arrivare a 400 euro. I costi si dimezzano per alloggiare nei pressi della facoltà di Ingegneria dove con 200 euro si riesce ad affittare una camera con wifi e condominio inclusi. Cifre accettabili ed abbordabili in una delle più belle città normanne d’Italia.
A Santa Maria Capua Vetere, città sede delle facoltà di Lettere e Giurisprudenza, i costi sono più simili a quelli di Caserta. Per una stanza singola a pochi passi dalle sede universitarie si spende circa 180 euro al mese che comprendono anche le utenze. Ci sono, nella stessa zona, (tra corso Garibaldi e corso Aldo Moro, a 50 metri dalla facoltà di Lettere, a 100 metri dall’Aulario universitario e a 200 metri dalla facoltà di Giurisprudenza) anche occasioni a 150 euro, ma a parte si paga un forfait di 60 euro a persona per i consumi. A Capua, dove c’è la facoltà di Economia, si trovano poche stanze in fitto. Sul mercato ci sono prevalentemente appartamenti (al massimo distanti 500 metri dall’università) a 300 euro al mese. Considerato che spesso si tratta di bilocali, dunque la spesa sarà di 150 euro al mese a studente.
A Benevento, dove c’é l’Universitá del Sannio, in via Cassella, nei pressi della facoltà di Biologia ed Economia e Commercio il costo medio di una stanza singola è di 180 euro al mese più 10/15 euro di consumi.
Più cara, invece, Fisciano. Alloggiare nella cittadina universitaria sede dell’Università degli Studi di Salerno ci vogliono almeno 250 euro. I prezzi salgono fino a 350 euro se ci si avvicina al campus universitario e scendono fino a 180 euro se si sceglie una soluzione in periferia.

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Economia

Al Nord stipendi talvolta quasi il doppio rispetto al Sud

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Dalla Lombardia alla Calabria l’Italia resta divisa in due anche negli stipendi, che al Nord sono mediamente più alti del 35% rispetto a quelli del Sud. I conti in busta paga li ha fatti la Cgia di Mestre, elaborando dati Inps e Istat: se gli occupati nelle regioni settentrionali hanno una retribuzione media giornaliera lorda di 101 euro, i colleghi meridionali ne guadagnano solo 75. Una differenza, afferma l’ufficio studi mestrino, dovuta alla maggiore produttività del lavoro al Nord, che supera del 34% il dato delle regioni meridionali. Il confronto in termini assoluti rende chiarissima questa disparità: la retribuzione media annua lorda di un lavoratore dipendente in Lombardia è pari a 28.354 euro; in Calabria ammonta a poco più della metà, 14.960 euro. Ma se nel primo caso la produttività del lavoro è pari a 45,7 euro per ora lavorata, nel secondo è di 29,7.

Squilibri retributivi che del resto, osserva la Cgia di Mestre, si riscontrano anche tra le diverse aree del Paese, quelle urbane e quelle rurali. Tema che le parti sociali hanno tentato di risolvere, dopo l’abolizione delle cosiddette gabbie salariali avvenuta nei primi anni ’70 del secolo scorso, attraverso l’impiego del contratto collettivo nazionale del lavoro. L’applicazione, però, ha prodotto solo in parte, per la Cgia, gli effetti sperati. Le disuguaglianze salariali tra le ripartizioni geografiche sono rimaste. Anche perchè nel settore privato le multinazionali, le utilities, le imprese medio-grandi, le società finanziarie/assicurative/bancarie (che tendenzialmente riconoscono ai dipendenti stipendi più elevati) sono ubicate prevalentemente nelle aree metropolitane del Nord.

A pesare inoltre è il lavoro irregolare, molto diffuso nel Mezzogiorno, che da sempre provoca un abbassamento dei salari contrattualizzati dei settori che tradizionalmente sono investiti da questa piaga sociale (agricoltura, servizi alla persona, commercio) Quanto alle città con gli stipendi più alti, spicca su tutte Milano, con 32.472 euro annui, seguita da Parma (26.861 euro), Modena (26.764 euro), Bologna (26.610), Reggio Emilia (26.100). I lavoratori dipendenti più poveri, invece, si trovano a Trapani dove percepiscono una retribuzione media lorda annua di 14.365 euro, a Cosenza (14.313 euro), Nuoro (14.206 euro). Negli ultimi posti della classifica vi sono i lavoratori dipendenti di Vibo Valentia, con una busta paga media di 12.923 euro l’anno contro una media italiana di 22.839 euro.

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Economia

Assicurazioni,utili su nei 6 mesi,12 miliardi per 4 big

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Dopo un 2023 da record, continua il periodo di crescita per il settore assicurativo. Nel primo semestre del 2024 bilanci ancora nel segno più con 4 grandi protagonisti internazionali del settore, ovvero Generali e Unipol dalle radici italiane, insieme ad Allianz e Axa, che da soli hanno chiuso il periodo con oltre 12 miliardi di utili, in crescita del 4,4% rispetto ai primi 6 mesi dello scorso anno. A rilevarlo è un report dell’Ufficio Studi e Ricerche della Fisac Cgil condotto sui bilanci delle quattro grandi compagnie assicurative europee. Complessivamente, i quattro grandi gruppi hanno superato i 204 miliardi di euro di premi (Danni e Vita) con un incremento di oltre il 9% rispetto all’anno precedente.

La crescita nei Rami Danni, che hanno presentato un utile operativo tecnico di 9,1 miliardi è stata del 3%, mentre i Rami Vita hanno rilevato un utile operativo tecnico di 6,5 miliardi con un incremento più marcato del 7%. Il campione italiano, Generali e Unipol, ha registrato utili a 2,6 miliardi di euro di utili nel primo semestre, rispetto ai 2,8 miliardi registrati nei primi sei mesi dello scorso anno. La leggera diminuzione è principalmente imputabile a utili non ricorrenti e one-off di Generali lo scorso anno, in assenza dei quali l’utile normalizzato sarebbe risultato stabile a 2 miliardi di euro, mentre Unipol è passata da 517 milioni di euro al semestre 2023 a 555 milioni di euro al 30 giugno 2024, con un incremento del 7%.

L’utile di Allianz migliora del 13,9% passando dai 4,6 miliardi di euro del 2023 ai 5,3 miliardi del 2024, mentre Axa conferma sostanzialmente l’utile del primo semestre dell’anno passato, pari a 4,1 miliardi di euro, a 4,2 miliardi nel 2024. Il settore assicurativo, conclude lo studio, si è quindi confermato nel complesso ancora una volta molto solido e, come riporta la Fisac Cgil con indici di solvibilità in deciso incremento. Gli ottimi risultati del comparto vengono evidenziato dalla ricerca della Fisc Cgil anche nell’ottica dei prossimi rinnovi di contratto: “Ancora una volta registriamo risultati estremamente positivi sul fronte della redditività e della solidità del settore assicurativo. Risultati raggiunti grazie all’impegno delle lavoratrici e dei lavoratori del settore che meritano un significativo riconoscimento, a partire dai prossimi rinnovi contrattuali, di primo e secondo livello”, dice la segretaria generale della Fisac Cgil, Susy Esposito. (

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Ambiente

L’Italia pensa al nucleare, 50 miliardi l’impatto sul Pil

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Il tema del nucleare di ultima generazione irrompe al forum Teha di Cernobbio con con gli imprenditori e operatori del settore che chiedono di “fare presto” per evitare di perdere l’opportunità per gli investimenti. Una tecnologia che porterebbe benefici alla crescita economica del Paese un impatto sul Pil di 50,3 miliardi al 2050. La posizione del governo non si fa attendere con il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin che annuncia l’arrivo “entro fine anno” di un “disegno di legge, che conterrà la normativa primaria e dove saranno previsti i soggetti regolatori”.

L’Italia, di fatto, rientrerebbe nel nucleare. Da Villa d’Este, sul lago di Como, sono Edison e Ansaldo Nucleare ad illustrare l’impatto dell’atomo sulla decarbonizzazione energetica e sull’economia italiana. Il nucleare di ultima generazione, secondo una analisi illustrata a Cernobbio, può abilitare al 2050 un mercato potenziale fino a 46 miliardi di euro, con un valore aggiunto attivabile pari a 14,8 miliardi di euro. Ma c’è di più perché considerando anche i benefici indiretti e dell’indotto, sarà possibile creare oltre 117.000 nuovi posti di lavoro. Il nuovo nucleare non è soltanto una “risorsa preziosa per raggiungere gli obbiettivi di transizione energetica ma costituisce una vera e propria occasione di rilancio industriale per il Paese”, spiega Nicola Monti, amministratore delegato di Edison.

“L’Italia ha l’occasione – aggiunge – di essere protagonista, se da subito viene definito un piano industriale di medio-lungo periodo”. Sui tempi è il ministro Pichetto a fissare dei punti fermi. Per fine anno arriverà “l’analisi complessiva sul nucleare e su ciò che bisognerà introdurre come norma primaria che deve trasformarsi in disegno di legge”. I tempi li detterà il “parlamento, ma auspico che nel corso del 2025 che si possa chiudere quello che è il processo di valutazione normativa”. E sull’ipotesi di un nuovo referendum, “non faccio il mago di conseguenza la libertà di raccogliere firme e fare i referendum c’è”. In passato gli italiani si sono espressi su una “tecnologia di 60 anni fa, quella di prima e seconda generazione”, prosegue il ministro, ribandendo che “guardiamo al nuovo nucleare, che non prevede la costruzione di grandi centrali.

Pensiamo invece ai agli Small modular reactor e agli Advanced modular reactor”. In Italia c’è grande fermento tra i principali protagonisti del settore dell’energia per essere pronti ad affrontare la sfida del nuovo nucleare. Da mesi, infatti, sono stati siglati numerosi accordi di programma finalizzati allo ricerca ed allo sviluppo della tecnologia nucleare. Tra le ultime intese, ma solo in ordine di tempo, c’è quella tra Edison, Federacciai e Ansaldo Energia per decarbonizzare le acciaierie italiane. Per l’Italia si riapre una nuova “riflessione sul ruolo benefico che le nuove tecnologie nucleari disponibili o in via di sviluppo possono giocare nel mix energetico italiano”, spiega Daniela Gentile, amministratore delegato di Ansaldo Nucleare. Il nucleare di nuova generazione conta attualmente, a livello globale, oltre 80 progetti in via di sviluppo.

Nello sviluppo del nuovo nucleare, secondo l’analisi di Edison, Ansaldo Nucleare e Teha, l’Italia può contare su competenze lungo quasi tutta la catena di fornitura e su un sistema della ricerca all’avanguardia. Lo studio, inoltre, ha identificato 70 aziende italiane specializzate nel settore dell’energia nucleare che confermano una “forte resilienza di questo comparto a tre decenni dall’abbandono della produzione in Italia”. Il valore strettamente legato all’ambito nucleare generato dalle aziende di questa filiera si attesta nel 2022 a 457 milioni di euro, con circa 2.800 occupati sostenuti, e l’Italia che si posiziona quindicesima a livello globale e settimana in Ue-27 per export di reattori nucleari e componenti tra il 2018 e il 2022.

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