La sezione disciplinare del Csm ha condannato il pm di Napoli Henry John Woodcock alla sanzione della censura all’esito del procedimento sul caso Consip, ma lo ha assolto, assieme alla collega Celestina Carrano, dall’accusa principale, per “essere risultato escluso l’addebito”: aver violato i diritti di difesa di uno degli indagati, l’ex consigliere di Palazzo Chigi Filippo Vannoni. La sentenza, arrivata dopo tre ore di camera di consiglio, ha spiazzato la Procura Generale della Cassazione che pure ha visto infliggere a Woodcock la sanzione che aveva chiesto, mentre per Carrano aveva sollecitato la condanna all’ammonimento. Woodcock è stato dunque condannato per una vicenda minore: i virgolettati pubblicati da Repubblica nell’aprile del 2017 in cui sosteneva che il falso contestato dai pm di Roma a un suo stretto collaboratore, il capitano del Noe Gianpaolo Scafarto, doveva essere il frutto di un errore, non di un dolo. Un giudizio che il pm napoletano ha ammesso di aver espresso in una telefonata confidenziale con una giornalista amica, che si era pero’ impegnata a non scrivere nulla, salvo poi “tradire” la sua fiducia.
Il “tribunale delle toghe” ha ritenuto in particolare Woodcock responsabile di aver compiuto cosi’ una grave scorrettezza nei confronti dell’allora capo della procura di Napoli, Nunzio Fragliasso, che gli aveva chiesto di osservare il piu’ stretto riserbo sul caso Consip. Sempre in relazione a questa vicenda, il pm e’ stato invece assolto da un’altra contestazione: aver interferito con il suo giudizio nelle indagini della procura di Roma. Poco prima che la Sezione disciplinare si ritirasse in camera di consiglio Woodcock aveva ribadito di essere stato “ingannato” dalla cronista amica e aveva letto ai giudici alcune dichiarazioni raccolte dalla sua difesa in cui Fragliasso gli riconosceva una grande correttezza e professionalita’. Il rappresentante della procura generale della Cassazione Mario Fresa aveva invece insistito sulle responsabilita’ di Woodcock e Carrano per la vicenda Vannoni, interrogato il 21 dicembre del 2016 come testimone, e dunque senza l’assistenza di un difensore,quando secondo l’accusa – ritenuta non fondata dalla Sezione disciplinare del Csm – c’erano gia’ gli estremi per la sua iscrizione nel registro degli indagati: “hanno seguito la logica dei due pesi e delle due misure”, aveva detto Fresa riferendosi al fatto che Vannoni era stato chiamato in causa il giorno prima di quel interrogatorio dall’amministratore delegato di Consip Luigi Marroni, assieme all’allora ministro Luca Lotti e ai generali dei Carabinieri Tullio Del Sette ed Emanuele Saltalamacchia, come fonte della notizia che c’era un’indagine in corso sulla centrale degli acquisti della pubblica amministrazione.
Tutti loro vennero indagati ad eccezione appunto di Vannoni; una scelta che il difensore di Woodcock, l’ex procuratore di Torino Marcello Maddalena, ha difeso con argomentazioni di diritto: Vannoni non era un pubblico ufficiale a differenza degli altri tre e comunque per l’iscrizione nel registro degli indagati occorrono “sufficienti indizi di colpevolezza, non basta un semplice sospetto”. La sentenza lascia scontenti la difesa di Woodcock (che aveva chiesto ai giudici di riconoscere “la correttezza” del comportamento dei due pm, anche in un caso come questo che riguarda “i potenti di questa terra”), sia la procura generale della Cassazione: entrambi hanno dato per certo il ricorso in Cassazione, mentre i due pm napoletani hanno lasciato Palazzo dei marescialli senza fare dichiarazioni. Ultimo strascico della vicenda, la decisione di uno dei giudici disciplinari, Piercamillo Davigo, di querelare il Foglio, per aver scritto che si sarebbe dovuto astenere per essersi “espresso a piu’ riprese su Consip”.