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Cronache

Due arresti per omicidio di Francesco Fiorillo, l’ipotesi è una vendetta per pedofilia

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Potrebbe essere stato legato ad una vendetta per le tendenze pedofile della vittima l’omicidio di Francesco Fiorillo, di 45 anni, ucciso in un agguato a Vibo Valentia il 15 dicembre del 2015. E’ l’ipotesi che viene fatta dal Commissariato di Vibo Valentia e dallo Sco, che stamattina hanno arrestato due persone accusate dell’assassinio. Per l’omicidio, nel marzo del 2018, era gia’ stato arrestato Antonio Zuliani, di 26 anni. Con i due arresti di stamattina e’ stato completato il quadro delle responsabilita’.

Secondo quanto e’ emerso dalle indagini, Fiorillo potrebbe essere stato assassinato perche’ avrebbe tentato di adescare uno o piu’ minori legati a persone che avrebbero poi programmato la vendetta nei suoi confronti. I due arresti per l’omicidio di Fiorillo sono stati fatti in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Gip di Vibo Valentia su richiesta della Procura della Repubblica. Francesco Fiorillo fu assassinato mentre rincasava dopo che aveva parcheggiato la propria automobile. Gli assassini, armati di pistole, lo attesero nascosti dietro un cespuglio. La morte dell’uomo, che era un venditore ambulante, fu istantanea. Antonio Zuliani fu identificato grazie al profilo genetico ricavato da un guanto in lattice trovato sul luogo dell’omicidio. Il suo arresto ha consentito l’avvio di ulteriori indagini da parte della Polizia di Stato che hanno portato all’identificazione ed all’arresto stamattina di due giovani accusati di essere stati suoi correi nell’omicidio. L’assassinio di Fiorillo e la scoperta delle tendenze pedofile della vittima fecero scattare, tra l’altro, un’indagine del Commissariato di Vibo Valentia che porto’ alcuni mesi dopo all’operazione, denominata “Settimo cerchio”, che servi’ a stroncare un giro di pedofilia in cui fu coinvolto anche un sacerdote.

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Calcio: curve Napoli, scellerato divieto di trasferta a Torino

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“La vostra prevenzione è la vera discriminazione”. Comincia così una nota siglata dalla Curva A e dalla Curva B del Napoli pubblicata su diversi profili social contro il divieto di trasferta ai napoletani per la partita contro la Juventus in programma a Torino. “Mai ci saremmo aspettati – si legge – di vederci vietato il diritto di assistere ad una partita del nostro Napoli a poche ore dal fischio d’inizio, quando in tanti già erano pronti a partire dopo aver comprato da un mese ticket stadio e prenotato alberghi e mezzi di trasporto. Questo atto scellerato crea un precedente e deve preoccupare tutto il movimento ultras dello ‘stivale’ perchè oggi è toccato a noi ma domani può toccare a chiunque”. “In questi anni – prosegue il comunicato – hanno sperimentato sulla pelle del movimento ultras forme di repressione al limite della costituzionalità nel silenzio generale dei media ma questa volta non ci stiamo. Sono trascorsi 6 giorni dalla gara di Cagliari e solo adesso, ad appena 24 ore dalla partita, ci viene negata la trasferta. Tutto ciò è vergognoso. Ora basta, siamo stanchi di subire passivamente decisioni schizofreniche. Incapaci ed inetti, siete voi la rovina del calcio”.

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Cassazione, ‘il killer di Luca Sacchi mirò a organi vitali’

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“Valerio Del Grosso non solo aveva per primo concepito l’idea di commettere la rapina per sopperire al fallimento dell’operazione di compravendita di stupefacente, approfittando della contingente disponibilità da parte delle vittime di una rilevante somma di denaro, ma si era attivato per procurarsi un complice all’altezza, Paolo Pirino, ed una pistola con più colpi in canna, ed aveva manifestato nelle ore precedenti al tragico epilogo, una ferma determinazione a portare a compimento il piano criminoso”. E’ quanto scrivono i giudici della Cassazione nella sentenza con cui, nel maggio scorso, hanno reso definitiva la condanna a 27 anni per Del Grosso, accusato dell’omicidio di Luca Sacchi, avvenuto a Roma nell’ottobre del 2019. La Suprema Corte ha invece disposto un appello bis, al fine di aumentare la condanna, per Paolo Pirino, presente sul luogo del delitto con Del Grosso, e Marcello De Propris, accusato di aver fornito l’arma con cui è stato ucciso Sacchi, le cui condanne in secondo grado erano scese da 25 anni a 14 anni e 8 mesi.

Appello bis, fissato al 10 dicembre, anche per Anastasiya Kylemnyk, condannata a 3 anni per violazione della legge sugli stupefacenti, in quanto i giudici hanno giudicato carenti le motivazioni del secondo grado. Per la Cassazione Del Grosso “non solo ha sparato servendosi di un mezzo dotato di elevatissima efficacia lesiva da tutti conosciuta, ma aveva indirizzato li colpo, dopo avere mirato, verso gli organi vitali della vittima designata, effettivamente attinti, così da eliminare in modo diretto ed immediato l’ostacolo frappostosi alla riuscita del piano criminoso in corso e all’impossessamento dello zaino con il denaro da parte del complice. Per quanto riguarda la posizione di Anastasiya i Supremi giudici ritengono che in riferimento alla sua “consapevolezza in ordine all’attività illecita organizzata dal Princi le risposte fornite dalla Corte distrettuale sono incomplete. La sentenza impugnata non ha affrontato la quaestio facti relativa al momento in cui è intervenuta la partecipazione all’accordo di Kylemnyk nonostante la sua evidente decisività ai fini dell’affermazione della responsabilità dell’imputata in ordine al reato contestato”. E ancora: la Corte di assise di appello “non ha preso esaustivamente in esame i rilievi articolati dalla difesa sull’assenza di adeguato sostegno probatorio alla prospettazione accusatoria” secondo cui Anastasiya “era presente all’incontro svoltosi il 18 ottobre 2019 a Casal Monastero”.

Secondo la Cassazione “non è spiegato, in definitiva, in che termini la disponibilità non preconcertata di Kylemnyk a partecipare, sia pure con un ruolo astrattamente rilevante, alla fase successiva all’accordo per consentirne la concreta esecuzione, abbia comunque contribuito alla realizzazione in forma collettiva del reato contestato, una volta dato per accertato che la consumazione era intervenuta prima ed indipendentemente dalla sua adesione”.

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Uccise due amiche a Melbourne, preso 47 anni dopo a Roma

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Dopo quasi mezzo secolo di indagini arriva la svolta su un duplice omicidio che nel 1977 sconvolse la città australiana di Melbourne. Il presunto responsabile è stato arrestato a Roma, dall’altra parte del mondo. Si tratta di un 65enne greco-australiano accusato di aver ucciso due giovani amiche colpendole con decine di coltellate. È stato fermato dalla polaria giovedì sera all’aeroporto di Fiumicino dove era atterrato con un volo dalla Grecia per una vacanza nella città eterna. Aveva con sé una carta d’identità greca che riportava un nome simile a quello con cui era conosciuto in Australia. Era ricercato a livello internazionale da sette anni.

Dopo l’omicidio l’uomo, all’epoca adolescente, era stato ascoltato dagli inquirenti e rilasciato. Poi grazie ai ‘progressi tecnologici’ nel corso degli anni c’è stata un’accelerazione nelle indagini. Nel 2017 gli sarebbe stato richiesto un campione di Dna e da quel momento l’uomo si è reso irreperibile. Ma gli investigatori australiani sarebbero riusciti comunque a fare una comparazione individuandolo come responsabile del delitto. “Ora l’Australia avvierà le procedure di estradizione per il sospettato, un cittadino greco-australiano che viveva in Grecia dove era protetto dalla prescrizione” ha annunciato in una conferenza stampa il capo della polizia dello Stato australiano di Victoria, Shane Patton, descrivendo questo ‘cold case’ come il più lungo e grave dello Stato australiano.

Nel 2017 la polizia aveva anche offerto una ricompensa di un milione di dollari australiani (680mila dollari americani) per informazioni che portassero a un arresto del responsabile del duplice omicidio definito dal capo della polizia “assolutamente raccapricciante, orribile e frenetico”. Suzanne Armstrong di 27 anni e Susan Bartlett di 28 anni furono trovate morte a gennaio del 1977 nell’appartamento che condividevano nel sobborgo di Melbourne. Erano in una pozza di sangue. Sui loro corpi i segni di decine di coltellate. In casa con le due ragazze, amiche fin da quando erano bambine, c’era anche il figlio di Suzanne, che aveva solo 16 mesi. Fu proprio il pianto del bambino, fortunatamente illeso nel suo lettino, a far scattare l’allarme. Emozione tra i parenti delle vittime alla notizia dell’arresto del sospettato. Le famiglie di Susan e Suzanne si sono dette “riconoscenti per non essere state dimenticate” al detective che segue il caso dal 2015 e ha comunicato la svolta.

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