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Economia

L’industria delle crociere dà lavoro a 120mila italiani e fattura più di 13 miliardi di euro l’anno

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L’industria crocieristica in Europa va a gonfie vele,  produce un giro d’affari di quasi 48 miliardi di euro nel 2017, in crescita del 17% sul 2016, come rilevato dal Report della Clia, l’associazione internazionale dell’industria del settore. Basti pensare che a livello occupazionale, dal 2015 ad oggi sono stati creati almeno 43mila nuovi posti di lavoro, arrivando così a 400mila e con un monte stipendi di 13 miliardi di euro. E aumenta, del 14%, la spesa diretta che sfiora i 20 miliardi. Anche negli ultimi dodici mesi l’Italia è risultata il Paese che trae più benefici dal settore nel Vecchio Continente con il comparto che genera un fatturato di 13,2 miliardi di euro – che rappresentano il 27,6% del totale di 48 miliardi – , quasi 120 mila posti di lavoro, salari per 3,6 miliardi e una spesa diretta di 5,4 miliardi, il 28% dei 20 miliardi complessiva in tutta l’Europa, in aumento del 20% sull’anno precedente. L’Europa resta il secondo mercato crocieristico del mondo, sia come provenienza dei passeggeri ( 7 milioni, +7,8% sul 2016) dopo gli Stati Uniti, sia come meta di destinazione ( 6,5 milioni di imbarchi, +6,1% sull’ anno precedente) dopo i Caraibi. Quello crocieristico è un microcosmo in continua evoluzione con opzioni differenti per durata, per età – si riduce sempre più l’età media dei partecipanti e quelli italiani sono i ‘naviganti’ dall’ età media più bassa, 42 anni -, destinazione e acque da solcare (fluviali o marittime) e pure tematiche, ad esempio per chi cerca esperienze gastronomiche, per chi vuole ammirare ghiacci e chi si sente un po’ esploratore. Un mercato in costante crescita di circa un milione di passeggeri l’anno che nel 2017 ha registrato 26,7 milioni i passeggeri a bordo dei nuovi ‘transatlantici’ nel globo, migliorando le attese che prevedevano 25,8 milioni. Crescita annua superiore all’ 8%, con due milioni di persone in più in 12 mesi. E, grazie alle nuove imbarcazioni che prenderanno il largo, anche per il 2018 si prevede un nuovo massimo di 28 milioni di croceristi.
Se piazziamo il focus sull’Italia, dopo Germania, Regno Unito e Irlanda, l’ Italia è il terzo Paese in Europa per numero di persone che vanno in crociera. L’ Italia resta in vetta per imbarchi in Europa, con 1,8 milioni di passeggeri e anche come Paese di destinazione, con 6,8 milioni di transiti, davanti alla Spagna che ne raggiunge un totale di 6,7 milioni, continuando ad occupare un ruolo centrale: è il primo paese per numero di imbarchi di tutta Europa, il primo mercato per viaggi nel Mediterraneo Orientale e terzo in quello Occidentale. I nostri connazionali vedono nella crociera una soluzione di vacanza valida l’intero anno, infatti nel semestre di bassa stagione (da ottobre a marzo) vanno in crociera oltre 300mila italiani.
Oltretutto, la crociera piace a tutte le età, tanto che oltre il 40% degli italiani a bordo è under 40; sarà strano, ma l’ Italia è il Paese dove l’ età media dei passeggeri con 42 anni è più bassa di tutta Europa.

Crociere per ogni portafoglio. I passeggeri provengono ormai da quasi tutte le fasce di reddito e un terzo di coloro che sono saliti a bordo negli ultimi tre anni hanno un reddito inferiore agli 80mila dollari lordi.
L’ offerta è sempre in evoluzione e oggi presenta sempre più viaggi ‘esperienziali’ – avventure estreme, viaggi culturali, itinerari enogastronomici, visite in piccoli villaggi e perfino nelle case private – che entrano nel portfolio di una crociera. Dalle nuotate con gli squali in Sudafrica alla corsa in Harley Davidson per le strade dell’Alaska o al tentativo di camuffarsi tra i pinguini dell’Antartide. Ma, aspetto non di poco conto, cresce l’attenzione verso le pratiche del turismo sostenibile, con la possibilità per i crocieristi di partecipare ad attività di tutela ambientale.

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Economia

Al Nord stipendi talvolta quasi il doppio rispetto al Sud

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Dalla Lombardia alla Calabria l’Italia resta divisa in due anche negli stipendi, che al Nord sono mediamente più alti del 35% rispetto a quelli del Sud. I conti in busta paga li ha fatti la Cgia di Mestre, elaborando dati Inps e Istat: se gli occupati nelle regioni settentrionali hanno una retribuzione media giornaliera lorda di 101 euro, i colleghi meridionali ne guadagnano solo 75. Una differenza, afferma l’ufficio studi mestrino, dovuta alla maggiore produttività del lavoro al Nord, che supera del 34% il dato delle regioni meridionali. Il confronto in termini assoluti rende chiarissima questa disparità: la retribuzione media annua lorda di un lavoratore dipendente in Lombardia è pari a 28.354 euro; in Calabria ammonta a poco più della metà, 14.960 euro. Ma se nel primo caso la produttività del lavoro è pari a 45,7 euro per ora lavorata, nel secondo è di 29,7.

Squilibri retributivi che del resto, osserva la Cgia di Mestre, si riscontrano anche tra le diverse aree del Paese, quelle urbane e quelle rurali. Tema che le parti sociali hanno tentato di risolvere, dopo l’abolizione delle cosiddette gabbie salariali avvenuta nei primi anni ’70 del secolo scorso, attraverso l’impiego del contratto collettivo nazionale del lavoro. L’applicazione, però, ha prodotto solo in parte, per la Cgia, gli effetti sperati. Le disuguaglianze salariali tra le ripartizioni geografiche sono rimaste. Anche perchè nel settore privato le multinazionali, le utilities, le imprese medio-grandi, le società finanziarie/assicurative/bancarie (che tendenzialmente riconoscono ai dipendenti stipendi più elevati) sono ubicate prevalentemente nelle aree metropolitane del Nord.

A pesare inoltre è il lavoro irregolare, molto diffuso nel Mezzogiorno, che da sempre provoca un abbassamento dei salari contrattualizzati dei settori che tradizionalmente sono investiti da questa piaga sociale (agricoltura, servizi alla persona, commercio) Quanto alle città con gli stipendi più alti, spicca su tutte Milano, con 32.472 euro annui, seguita da Parma (26.861 euro), Modena (26.764 euro), Bologna (26.610), Reggio Emilia (26.100). I lavoratori dipendenti più poveri, invece, si trovano a Trapani dove percepiscono una retribuzione media lorda annua di 14.365 euro, a Cosenza (14.313 euro), Nuoro (14.206 euro). Negli ultimi posti della classifica vi sono i lavoratori dipendenti di Vibo Valentia, con una busta paga media di 12.923 euro l’anno contro una media italiana di 22.839 euro.

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Economia

Assicurazioni,utili su nei 6 mesi,12 miliardi per 4 big

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Dopo un 2023 da record, continua il periodo di crescita per il settore assicurativo. Nel primo semestre del 2024 bilanci ancora nel segno più con 4 grandi protagonisti internazionali del settore, ovvero Generali e Unipol dalle radici italiane, insieme ad Allianz e Axa, che da soli hanno chiuso il periodo con oltre 12 miliardi di utili, in crescita del 4,4% rispetto ai primi 6 mesi dello scorso anno. A rilevarlo è un report dell’Ufficio Studi e Ricerche della Fisac Cgil condotto sui bilanci delle quattro grandi compagnie assicurative europee. Complessivamente, i quattro grandi gruppi hanno superato i 204 miliardi di euro di premi (Danni e Vita) con un incremento di oltre il 9% rispetto all’anno precedente.

La crescita nei Rami Danni, che hanno presentato un utile operativo tecnico di 9,1 miliardi è stata del 3%, mentre i Rami Vita hanno rilevato un utile operativo tecnico di 6,5 miliardi con un incremento più marcato del 7%. Il campione italiano, Generali e Unipol, ha registrato utili a 2,6 miliardi di euro di utili nel primo semestre, rispetto ai 2,8 miliardi registrati nei primi sei mesi dello scorso anno. La leggera diminuzione è principalmente imputabile a utili non ricorrenti e one-off di Generali lo scorso anno, in assenza dei quali l’utile normalizzato sarebbe risultato stabile a 2 miliardi di euro, mentre Unipol è passata da 517 milioni di euro al semestre 2023 a 555 milioni di euro al 30 giugno 2024, con un incremento del 7%.

L’utile di Allianz migliora del 13,9% passando dai 4,6 miliardi di euro del 2023 ai 5,3 miliardi del 2024, mentre Axa conferma sostanzialmente l’utile del primo semestre dell’anno passato, pari a 4,1 miliardi di euro, a 4,2 miliardi nel 2024. Il settore assicurativo, conclude lo studio, si è quindi confermato nel complesso ancora una volta molto solido e, come riporta la Fisac Cgil con indici di solvibilità in deciso incremento. Gli ottimi risultati del comparto vengono evidenziato dalla ricerca della Fisc Cgil anche nell’ottica dei prossimi rinnovi di contratto: “Ancora una volta registriamo risultati estremamente positivi sul fronte della redditività e della solidità del settore assicurativo. Risultati raggiunti grazie all’impegno delle lavoratrici e dei lavoratori del settore che meritano un significativo riconoscimento, a partire dai prossimi rinnovi contrattuali, di primo e secondo livello”, dice la segretaria generale della Fisac Cgil, Susy Esposito. (

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Ambiente

L’Italia pensa al nucleare, 50 miliardi l’impatto sul Pil

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Il tema del nucleare di ultima generazione irrompe al forum Teha di Cernobbio con con gli imprenditori e operatori del settore che chiedono di “fare presto” per evitare di perdere l’opportunità per gli investimenti. Una tecnologia che porterebbe benefici alla crescita economica del Paese un impatto sul Pil di 50,3 miliardi al 2050. La posizione del governo non si fa attendere con il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin che annuncia l’arrivo “entro fine anno” di un “disegno di legge, che conterrà la normativa primaria e dove saranno previsti i soggetti regolatori”.

L’Italia, di fatto, rientrerebbe nel nucleare. Da Villa d’Este, sul lago di Como, sono Edison e Ansaldo Nucleare ad illustrare l’impatto dell’atomo sulla decarbonizzazione energetica e sull’economia italiana. Il nucleare di ultima generazione, secondo una analisi illustrata a Cernobbio, può abilitare al 2050 un mercato potenziale fino a 46 miliardi di euro, con un valore aggiunto attivabile pari a 14,8 miliardi di euro. Ma c’è di più perché considerando anche i benefici indiretti e dell’indotto, sarà possibile creare oltre 117.000 nuovi posti di lavoro. Il nuovo nucleare non è soltanto una “risorsa preziosa per raggiungere gli obbiettivi di transizione energetica ma costituisce una vera e propria occasione di rilancio industriale per il Paese”, spiega Nicola Monti, amministratore delegato di Edison.

“L’Italia ha l’occasione – aggiunge – di essere protagonista, se da subito viene definito un piano industriale di medio-lungo periodo”. Sui tempi è il ministro Pichetto a fissare dei punti fermi. Per fine anno arriverà “l’analisi complessiva sul nucleare e su ciò che bisognerà introdurre come norma primaria che deve trasformarsi in disegno di legge”. I tempi li detterà il “parlamento, ma auspico che nel corso del 2025 che si possa chiudere quello che è il processo di valutazione normativa”. E sull’ipotesi di un nuovo referendum, “non faccio il mago di conseguenza la libertà di raccogliere firme e fare i referendum c’è”. In passato gli italiani si sono espressi su una “tecnologia di 60 anni fa, quella di prima e seconda generazione”, prosegue il ministro, ribandendo che “guardiamo al nuovo nucleare, che non prevede la costruzione di grandi centrali.

Pensiamo invece ai agli Small modular reactor e agli Advanced modular reactor”. In Italia c’è grande fermento tra i principali protagonisti del settore dell’energia per essere pronti ad affrontare la sfida del nuovo nucleare. Da mesi, infatti, sono stati siglati numerosi accordi di programma finalizzati allo ricerca ed allo sviluppo della tecnologia nucleare. Tra le ultime intese, ma solo in ordine di tempo, c’è quella tra Edison, Federacciai e Ansaldo Energia per decarbonizzare le acciaierie italiane. Per l’Italia si riapre una nuova “riflessione sul ruolo benefico che le nuove tecnologie nucleari disponibili o in via di sviluppo possono giocare nel mix energetico italiano”, spiega Daniela Gentile, amministratore delegato di Ansaldo Nucleare. Il nucleare di nuova generazione conta attualmente, a livello globale, oltre 80 progetti in via di sviluppo.

Nello sviluppo del nuovo nucleare, secondo l’analisi di Edison, Ansaldo Nucleare e Teha, l’Italia può contare su competenze lungo quasi tutta la catena di fornitura e su un sistema della ricerca all’avanguardia. Lo studio, inoltre, ha identificato 70 aziende italiane specializzate nel settore dell’energia nucleare che confermano una “forte resilienza di questo comparto a tre decenni dall’abbandono della produzione in Italia”. Il valore strettamente legato all’ambito nucleare generato dalle aziende di questa filiera si attesta nel 2022 a 457 milioni di euro, con circa 2.800 occupati sostenuti, e l’Italia che si posiziona quindicesima a livello globale e settimana in Ue-27 per export di reattori nucleari e componenti tra il 2018 e il 2022.

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