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Tragedia a Castellammare: Alessia Piccirillo non ce l’ha fatta

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Dopo tre giorni di agonia, il cuore di Alessia Piccirillo, 19 anni, ha smesso di battere. La giovane di Castellammare di Stabia era ricoverata in terapia intensiva all’Ospedale del Mare di Napoli a causa dei gravi traumi riportati in un incidente stradale avvenuto nella notte tra sabato e domenica scorsa.

La dinamica dell’incidenteAlessia viaggiava in moto con il suo compagno di classe, Simeon Dimitrov Plemenov, 18 anni. I due stavano rientrando verso casa quando, lungo l’ex tracciato litoraneo della Statale 145 Sorrentina, in località Bikini a Vico Equense, il giovane centauro ha perso il controllo della sua KTM Duke 400. La moto si è schiantata violentemente contro il muretto che delimita la carreggiata opposta.

L’impatto è stato devastante: Simeon è morto sul colpo, mentre Alessia è stata soccorsa e trasferita a Napoli in condizioni critiche. Nonostante gli sforzi dei medici, oggi pomeriggio è arrivata la notizia del suo decesso.

Il cordoglio della comunità stabiese

La tragedia ha scosso profondamente la città di Castellammare di Stabia, già provata dalla perdita di Simeon. Il sindaco Luigi Vicinanza ha espresso il dolore della comunità attraverso un messaggio pubblicato su Facebook:

“Purtroppo, nemmeno Alessia ce l’ha fatta. Questa tragedia, che ha già colpito profondamente la nostra comunità con la perdita del suo compagno di classe Simeon Dimitrov, lascia in tutti noi un senso di vuoto e incredulità. Oggi Castellammare si unisce nel lutto, con il cuore pesante e una profonda vicinanza alle famiglie dei due giovani, che stanno affrontando un dolore inimmaginabile.”

Una comunità in lutto

La morte di Alessia e Simeon lascia un vuoto profondo tra amici, familiari e conoscenti. Due giovani vite spezzate in un incidente che ha sconvolto non solo Castellammare, ma l’intero territorio circostante. La tragedia solleva anche interrogativi sulla sicurezza stradale lungo le arterie della Statale 145, spesso teatro di incidenti gravi.

Conclusione

Il dolore per la perdita di Alessia Piccirillo e Simeon Dimitrov è un monito per tutti: la necessità di una maggiore attenzione alla sicurezza sulle strade è un tema che non può essere ignorato. Castellammare oggi si stringe intorno alle famiglie delle vittime, unite in un lutto che segnerà per sempre la comunità.


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Cesare Buonamici: non ho mai stalkerizzato mia sorella Cesara

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“Non ho mai stalkerizzato nessuno, tanto meno mia sorella”. A dirlo, in una nota, è l’imprenditore Cesare Buonamici replicando alle accuse mosse dalla sorella, la giornalista Cesara, e dal cognato Joshua Kalman. “Ritengo di aver sempre agito nel rispetto di tutti, in particolare di mia sorella, che, nonostante i dissidi attuali, resta tale. Sono sempre andato d’accordo con lei, tranne negli ultimi tre anni, per una disputa patrimoniale che riguarda la villa di Montebeni”, spiega l’imprenditore che, dopo la denuncia, respinge ogni accusa.

“Non ho mai utilizzato telecamere per spiare: le videocamere installate nella villa sono autorizzate e pensate per la sicurezza di tutti. Non ho mai occupato stanze o spazi della casa senza diritto o consenso, né ho impedito la celebrazione del matrimonio di mia sorella, che si è svolto nella villa anche grazie al mio sostegno. Non ho mai stalkerizzato nessuno, tanto meno mia sorella, ed è profondamente ingiusto che il mio lavoro e la mia reputazione di una vita vengano messi in discussione da queste accuse infondate”. Buonamici, presidente del distretto biologico di Fiesole, fondatore e unico socio dell’azienda agricola di famiglia, sottolinea il valore del suo impegno per il territorio.

“Dal 1990 dedico la mia vita all’agricoltura ecosostenibile, ho creato il frantoio ipogeo più innovativo, con macchinari di ultimissima generazione che consentono la produzione di oli biologici di eccellenza. Ho fatto mio il progetto sull’oleoturismo, fortemente voluto dall’assessorato regionale all’agricoltura, rappresentato da Stefania Saccardi, dedicandomi così alla promozione dell’olio di qualità anche ai turisti stranieri, che vengono nella nostra regione a degustare un’eccellenza del nostro territorio”, sottolinea Buonamici. “È doloroso vedere il lavoro di una vita sporcato da una disputa sul patrimonio che riguarda la villa di famiglia, una questione ancora tutta da dimostrare”. L’imprenditore si dice amareggiato per l’impatto della vicenda sulla sua famiglia.

“Mio figlio, unico nipote Buonamici, è profondamente scosso e turbato. È molto legato a sua zia e a suo zio, e vedere il padre descritto in una cattiva luce lo colpisce profondamente. Questo conflitto nasce da una lite di tre anni fa, strumentale a spingermi a cedere senza corrispettivo la mia metà della casa, l’unica che possiedo e nella quale vivo”. Nella nota l’imprenditore si riserva di fornire prove nelle sedi opportune e ribadisce la sua volontà di trovare una soluzione amichevole: “Spero ancora che si possa giungere ad un accordo che soddisfi entrambe le parti, e che mia sorella possa tornare a dedicarsi al suo mestiere di giornalista, magari raccontando anche della natura e dell’olio che tanto rappresentano il nostro territorio”.

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Testimone: ho visto Giulio Regeni bendato, sfinito da tortura

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“Giulio Regeni era ammanettato con le mani dietro la schiena, con gli occhi bendati. L’ho rivisto che usciva dall’interrogatorio, sfinito dalla tortura. Era tra due carcerieri che lo portavano a spalla. Lo stavano riportando alle celle”. E’ quanto afferma in un video di un documentario mandato in onda da Al Jazeera, e proiettato oggi in aula al processo per la morte del ricercatore in corso a Roma, un cittadino palestinese che è stato detenuto in una struttura detentiva degli apparati egiziani.

“Non era nudo – ha riferito nel corso dell’intervista l’ex detenuto – indossava degli abiti, dei pantaloni scuri e una maglietta bianca. Ho visto un altro detenuto con segni di tortura sulla schiena. I carcerieri insistevano molto con la domanda ‘Giulio dove hai imparato a superare le tecniche per affrontare l’interrogatorio’. Erano nervosi, usavano la scossa elettrica e lo torturavano con la corrente”. Oltre ai carcerieri, ha raccontato ancora in aula il testimone – c’erano gli investigatori, ufficiali che non avevo visto prima e un colonnello un dottore specializzato in psicologia. Non c’era nessun contatto con il mondo esterno: la sensazione era quella di stare in un sepolcro. Sono stato sequestrato, detenuto e poi liberato senza un perché”.

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Sequestro di importanti reperti etruschi a Città della Pieve: un’operazione storica

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L’indagine è stata avviata nel mese di aprile 2024 dai Carabinieri del Comando Tutela Patrimonio Culturale (TPC) con il coordinamento della Procura di Perugia, in particolare sotto la diretta supervisione del Procuratore Raffaele Cantone ed ha portato al sequestro di reperti archeologici etruschi di inestimabile valore, rinvenuti a seguito di scavi clandestini nel territorio di Città della Pieve. L’operazione, condotta con il supporto di esperti archeologi e tecnologie avanzate, è stata definita dagli esperti uno dei recuperi più importanti mai realizzati nel contrasto al traffico illecito di beni culturali.
Le indagini sono iniziate a seguito della segnalazione di scavi abusivi tra Chiusi e Città della Pieve. L’acquisizione di fotografie ritraenti urne cinerarie etrusche, tipiche della cultura del territorio chiusino, ha permesso agli investigatori di identificare reperti circolanti nel mercato illecito dell’arte. Grazie alla consulenza scientifica dell’Università di Roma Tor Vergata, è stato possibile collegare questi manufatti a una necropoli etrusca risalente al III secolo a.C.


Un rinvenimento fortuito, avvenuto nel 2015, si è rivelato cruciale per orientare le ricerche. In quell’anno, durante lavori agricoli, un contadino aveva scoperto un ipogeo etrusco appartenente alla gens Pulfna, contenente urne funerarie e sarcofagi. Tuttavia, le urne individuate durante le indagini del 2024 raffiguravano prevalentemente figure femminili, aprendo la strada a nuove ipotesi archeologiche.
Gli investigatori del TPC, con il supporto della Direzione Generale Archeologia e della Soprintendenza dell’Umbria, hanno concentrato le indagini nei pressi dell’antico sito etrusco, monitorando soggetti sospettati di gestire il recupero clandestino di reperti. Grazie a intercettazioni telefoniche, pedinamenti e l’uso di un drone del Nucleo Elicotteri Carabinieri di Pratica di Mare, è stata individuata un’area sospetta dove erano nascosti i manufatti.

Nel corso delle perquisizioni sono state rinvenute 8 urne litiche etrusche, 2 sarcofagi e un ricco corredo funerario composto da suppellettili in bronzo e vasellame. Le urne, realizzate in travertino bianco umbro, presentano decorazioni ad altorilievo raffiguranti scene di battaglie, caccia e miti classici, come quello di Achille e Troilo. Alcune conservano ancora pigmenti policromi e foglia d’oro, un dettaglio raro che ne accresce il valore artistico.
Tra i reperti spiccano anche specchi in bronzo, un pettine in osso, e un balsamario contenente tracce organiche di antichi profumi. Questi manufatti testimoniano il lusso e la raffinatezza della cultura etrusca, in particolare delle donne aristocratiche dell’epoca.

L’operazione, conclusasi con la denuncia di due persone per furto e ricettazione di beni culturali, è stata definita un successo storico. La connessione dei reperti a un unico contesto funerario, attribuito alla gens Pulfna, rappresenta un contributo fondamentale per la conoscenza dell’arte e della società etrusca.
Gli esperti sottolineano che questo recupero non solo ha evitato la dispersione di un patrimonio prezioso, ma ha anche arricchito il panorama archeologico italiano con nuove testimonianze della civiltà etrusca, rafforzando l’importanza della tutela del nostro patrimonio culturale.

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