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Economia

Il risparmio gestito svolta, la raccolta a 20 miliardi

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Il risparmio gestito, dopo i primi segnali di agosto, certifica nel terzo trimestre il cambio di passo con una raccolta che sfiora i 20 miliardi di euro. Mentre il patrimonio sale ulteriormente, attestandosi a 2.463 miliardi di euro. Pe la raccolta “è una netta inversione di tendenza” che compensa “i deflussi della prima metà dell’anno e che arriva in maniera un po’ ritardata rispetto al buon andamento del mercato”, spiega il direttore dell’ufficio studi di Assogestioni, Alessandro Rota.

I dati definitivi della consueta mappa dell’associazione evidenziano un generale quadro positivo, sostenuto anche da un effetto performance favorevole e pari – secondo le stime dell’ufficio studi – a +2,8%, a beneficio di tutti i prodotti. Per quanto riguarda i fondi aperti, la categoria a maggiore partecipazione retail, le masse da luglio a settembre sono cresciute, per effetto combinato di tre spinte, tutte di segno positivo: una raccolta netta di nuovi flussi di risparmio per 7,4 miliardi euro, a cui è da sommare un effetto mercato molto importante di quasi 30 miliardi euro pari al +2,5% e, infine, un piccolo effetto perimetro di circa 2 miliardi euro “frutto dell’ingresso – sottolinea ancora Rota – di un nuovo gruppo nella segnalazione statistica”. Si conferma poi lo slancio degli obbligazionari con una raccolta che si attesta a 9,88 miliardi euro e sale, da inizio anno , a 37,75 miliardi di euro.

E si dimezzano i deflussi per gli azionari e i bilanciati che sono negativi, rispettivamente per 2,71 miliardi e per 1,31 miliardi di euro. Buon passo delle gestioni di portafoglio per la clientela retail, in particolare ‘upper affluent’, che nell’ultimo trimestre raccolgono 2,4 miliardi euro. Per i fondi chiusi, invece, +1,3 miliardi di euro, quasi tutti concentrati tra i prodotti che investono in imprese medie e piccole non quotate. Afflussi, infine, per 8,2 miliardi per le gestioni istituzionali. “Dopo una fase con tassi di interesse particolarmente importanti, favorevole all’amministrato, sta tornando l’idea della combinazione tra gestito e amministrato”, evidenzia Massimo Mazzini, Head of marketing and business development e vicedirettore generale, Eurizon Capital Sgr. “Avevamo già un mercato fatto in gran parte da conglomerati finanziari. Questo trend sta continuando ad affermarsi quest’anno e caratterizzerà gli anni a venire”, aggiunge Maurizio Primanni, ceo e fondatore deluppo Excellence.

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Economia

Tar, ok multa Agcom 2018 a Sky per fatturazione bollette

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Legittimamente l’Agcom nel 2017 ha diffidato Sky Italia in merito alla periodicità della fatturazione e dei costi relativi alle proprie offerte; così come legittima è la sanzione di 180mila euro inflitta nel luglio 2018 per inottemperanza alla diffida. Così il Tar del con una sentenza con la quale ha deciso un ricorso proposto dall’azienda televisiva nel 2017, con motivi aggiunti presentati nel 2018. In sintesi accadde che nell’ambito della propria attività di vigilanza, l’Agcom ricevette, a partire dalla fine di luglio 2017, numerose segnalazioni da parte di utenti riguardanti la variazione delle condizioni contrattuali, a partire dal 1 ottobre 2017, disposta ricorrente in merito alla periodicità della fatturazione e dei costi relativi alle offerte. Sostanzialmente, secondo l’accusa, Sky avrebbe comunicato ai propri abbonati, dal 24 luglio all’8 agosto 2017, che, a partire dal 1° ottobre 2017 ci sarebbero stati: una modifica della cadenza (da mensile a quadri-settimanale) della fatturazione dei singoli ratei dell’abbonamento annuale; l’aumento del costo dell’abbonamento annuale pari all’8,6%.

L’Agcom avviò un’attività istruttoria conclusa con una diffida, e successivamente con una nuova delibera sanzionò Sky per inottemperanza alla diffida stessa. Di qui il ricorso al Tar, con proposizione di motivi aggiunti all’esito della sanzione. I giudici amministrativi, preliminarmente respingendo l’eccezione d’incompetenza a provvedere di Agcom, hanno ritenuto che non colgono nel segno il primo e secondo motivo di ricorso, “non potendosi esaurire l’esercizio dell’attività della ricorrente nella riduttiva definizione che la stessa ricorrente ha dato di sé (“un impacchettatore di programmi televisivi a pagamento”). Infatti, anche a voler condividere tale qualificazione, occorre considerare che i fornitori di servizi di pay-tv sono parimenti tenuti al rispetto degli obblighi previsti dall’art. 70 del Codice in materia di trasparenza e completezza delle informazioni contrattuali, nonché in tema di tempi e modalità di esercizio del diritto di recesso”. Infondato è, pure, il terzo motivo, esaminabile congiuntamente al sesto perché afferenti alla contestata violazione delle medesime disposizioni legislative.

Quanto al resto, il Tar ha richiamato le recenti pronunce del Consiglio di Stato che, su ricorso proposto anch’esso da Sky Italia, ha evidenziato come “la periodicità temporale d’uso per i pagamenti nei contratti di somministrazione continuativi di beni e di servizi” sia “sempre stata il mese o suoi multipli (p. es., il bimestre o il trimestre)”. Ecco perché, secondo i giudici amministrativi, le deliberazioni dell’Agcom “sono da ritenere pienamente idonee a conformare la disciplina amministrativa in tema di fatturazione e di regolazione delle modalità di esercizio del diritto di recesso”.

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Economia

‘Il governo Usa chiederà a Google di vendere Chrome’

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Gli Stati Uniti solleciteranno un giudice a costringere la società madre di Google, Alphabet, a vendere il suo browser Chrome. Lo riporta Bloomberg. Ad ottobre il dipartimento di Giustizia americano aveva dichiarato che avrebbe chiesto a Google di apportare profondi cambiamenti al modo in cui opera, dopo che una storica sentenza ad agosto aveva stabilito che il colosso della tecnologia gestiva un monopolio illegale. Chiedere la vendita di Chrome a Google segnerebbe un profondo cambiamento da parte dei regolatori Usa, che hanno in gran parte lasciato in pace i giganti della tecnologia da quando non sono riusciti a smembrare Microsoft due decenni fa.

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Economia

Piano di Confindustria per le abitazioni ai dipendenti

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Un piano abitativo in sei punti per i dipendenti delle aziende che vivono lontano dai luoghi di lavoro è stato elaborato da Confindustria e punta a garantire la mobilità lavorativa. I contenuti sono oggi riportati dal Sole 24 Ore, il quotidiano di proprietà della confederazione industriale, che indica la necessità di coinvolgere soggetti pubblici e privati, partendo ad esempio dal rimuovere gli ostacoli di natura urbanistica e amministrativa che frenano la costruzione e riqualificazione di nuovi edifici. Il piano parte dalla costatazione che c’è un forte disallineamento, in numerose aree del territorio, tra i costi di affitto o di acquisto delle abitazioni e il livello di produttività del lavoro e dunque di salari medi.

Un freno alla mobilità territoriale, che invece è un processo fondamentale per favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Il piano è una priorità nell’agenda del presidente, Emanuele Orsini (nella foto in evidenza), che l’ha lanciato dall’inizio del suo mandato. «Le nostre imprese registrano ormai da tempo un record nella carenza di personale, sono difficili da reperire quasi il 50% dei profili ricercati – è l’analisi di Orsini – Abbiamo un enorme problema di lavoratori che non riusciamo ad assumere perché mancano abitazioni a canoni compatibili con gli stipendi”.

Il Piano di Confindustria si articola in sei punti: 1) individuare e rimuovere gli ostacoli di natura urbanistica e amministrativa che frenano la costruzione e riqualificazione di nuovi edifici (tra cui procedure flessibili per le varianti urbanistiche, garantire una quota minima ad alloggi per lavoratori a prezzo calmierato nei cambi di destinazione d’uso, ridurre gli oneri di urbanizzazione); 2) stimolare soggetti pubblici affinché mettano a disposizione aree disponibili in zone urbanizzate, sia immobili sfitti; 3) introdurre strumenti di garanzia per favorire investimenti di sviluppatori immobiliari, imprese di costruzione, fondi immobiliari, risparmiatori; 4) attrarre risorse di investitori istituzionali, quali fondi pensione, casse di previdenza, banche ecc, valorizzando l’esperienza di Invimit e Cdp Real Asset Sgr; 5) introdurre specifiche misure fiscali, (tra cui riduzioni Imu per le imprese che realizzano alloggi per i lavoratori, detassazione integrale dei rendimenti per risparmiatori e investitori); 6) rafforzare le misure a tutela della proprietà privata. Per realizzarlo Confindustria sollecita un tavolo di confronto allargato, che veda le imprese, il governo, l’Anci, la Conferenza delle Regioni, l’Agenzia del Demanio, oltre a Cdp, Invimit, e le società partecipate pubbliche proprietarie di immobili e aree utilizzabili.

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