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Rottamazione e web tax, pioggia di emendamenti

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Valanga di emendamenti alla manovra. Dalla modifica della web tax allo stop all’aumento della tassazione sulle criptovalute, dalla nuova rottamazione fino all’aumento delle risorse alla sanità, sono nero su bianco le proposte con cui maggioranza e opposizione proveranno a modificare la legge di bilancio. E mentre i giochi entrano nel vivo alla Camera, al Senato la battaglia politica si gioca sul decreto legge Fisco, che ha sul tavolo altri cavalli di battaglia dei partiti, come il canone Rai o lo scudo penale. Gli emendamenti depositati alla commissione Bilancio di Montecitorio entro la scadenza fissata per oggi alle 16 sono 4.562, molti più dei circa 3mila dello scorso anno, quando però alla maggioranza era stato imposto il divieto a presentare proposte di modifica.

Il grosso delle proposte arriva dalle opposizioni: il più prolifico è il M5s con oltre 1.200 emendamenti, seguito da Pd (992) e Avs (352). La maggioranza si rifà quest’anno presentando poco più di un quarto di tutte le proposte: dei circa 1.200 emendamenti del centrodestra, sono FI e Lega a fare la parte del leone (501 degli azzurri e 428 del partito di via Bellerio); segue FdI (190, meno di due proposte a deputato) e Noi Moderati (142). Nel pacchetto di emendamenti della Lega spicca una nuova rottamazione, la quinquies, per le cartelle dal primo gennaio 2000 al 31 dicembre 2023. Proposta che va ad aggiungersi al tentativo analogo presentato da Forza Italia nel decreto Fisco. Un doppio canale che aumenta le chances perché la misura alla fine veda la luce. Il partito guidato da Matteo Salvini chiede anche di intervenire sul tetto al bonus mobili, di allargare il bonus mamme alle lavoratrici domestiche senza dimenticare il tema delle pensioni e della flessibilità in uscita.

Ed è anche pressing sulla tassazione delle criptovalute: l’obiettivo principale sarebbe quello di cancellare l’incremento al 42% dell’aliquota previsto in manovra. In alternativa, la proposta di mediazione è per un un mini-aumento, arrivando dall’attuale 26% al 28%. Forza Italia invece si fa sentire presentando un corposo pacchetto di emendamenti sull’editoria, che contiene anche l’esenzione dalla web tax della Rai, ma anche di tv radio e testate giornalistiche online. Forse un’implicita risposta al pressing che la Lega sta portando avanti per confermare anche nel 2025 il taglio del canone della televisione pubblica, su cui gli azzurri hanno già alzato un muro.

Proposta, quella leghista, che ha superato intanto il vaglio delle ammissibilità. Via libera anche al rinvio della seconda rata di acconto dell’Irpef per gli autonomi e alle proposte di FI su scudo penale e rottamazione quinquies. Salta invece la tassazione light per chi vende la casa ristrutturata col Superbonus: la proposta di FdI finisce tra i 133 emendamenti inammissibili, di cui 61 sono della maggioranza. Per incidere sulla manovra, le opposizioni – con l’eccezione di Iv – provano intanto a non disperdere le forze, dando un segnale con un emendamento unitario firmato da tutti i leader, per chiedere più fondi per il finanziamento del Sistema sanitario nazionale. “Sfidiamo Meloni su proposte concrete”, dice dal Pd la capogruppo Chiara Braga, spiegando che gli emendamenti Dem puntano anche su istruzione, lavoro e salario, transizione ecologica e diritti sociali e civili. “Un’altra idea di Italia”, il leit motiv.

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De Luca, dopo Europee da Governo taglio 30 milioni su Caivano

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“Non ci siamo dimenticati di Caivano, anche se sono passate le elezioni europee, come sembra aver fatto qualcun altro. Abbiamo appreso, e questa è una notizia grave, che sui 40 milioni di euro che erano stati stanziati per Caivano, 30 milioni sono scomparsi nella proposta di legge di bilancio”. Lo ha detto il governatore della Campania Vincenzo De Luca prima di entrare alla scuola Milani di Caivano per la presentazione dell’ecosistema educativo nell’area nord della Provincia di Napoli. “Comunque sia – ha spiegato De Luca – noi adesso andiamo avanti. Come ci eravamo impegnati daremo continuità alla nostra iniziativa su Caivano e sull’area nord di Napoli. In questo caso facciamo partire un programma di formazione professionale che è rivolto ai ragazzi e alle ragazze che non hanno completato il ciclo scolastico, che hanno interrotto gli studi, per fornire loro un titolo di formazione professionale che gli consenta poi di trovare lavoro. Il nostro progetto è a vari capitoli, questo della formazione professionale per i ragazzi che non completano il ciclo scolastico”.

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Imbarazzo nella maggioranza, il silenzio di Meloni

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La telefonata con “l’amico” Elon Musk arriva nel pomeriggio, dopo un silenzio interrotto solo da quel “ascoltiamo sempre con grande rispetto” le parole che arrivano dal Colle, fatto filtrare da Palazzo Chigi. Sono ore di imbarazzo, per la maggioranza e per Giorgia Meloni, alle prese peraltro nelle stesse ore con ben altri timori, che non vengono (solo) dal cambio di amministrazione a Washington – con cui bisognerà comunque aprire un nuovo dialogo – ma dall’impasse che blocca la nuova commissione a Bruxelles, e con lei la nomina di Raffaele Fitto a vicepresidente esecutivo. Il patron di Tesla sarà pure entrato a gamba tesa nelle vicende italiane – e in molti anche tra i meloniani si chiedono il perché di tanto attivismo che “certo non giova al governo” – ma per ora, è la difesa d’ufficio, è un semplice “cittadino” (copyright della stessa Meloni interpellata già a Budapest proprio su Musk) e non ha “alcun incarico” di governo.

Dopo, quando sarà effettivamente parte della nuova amministrazione americana, è il ragionamento, si vedrà, si prenderanno le misure. Intanto meglio tenersi fuori dallo scontro, acceso, sugli interventi social del tycoon, su cui è intervenuto invece Sergio Mattarella con parole che qualcuno in Fdi “sottoscrive” perché, ricordano i luogotenenti della premier, le “ingerenze straniere” non sono mai piaciute al partito ed è un concetto che “vale sempre e con chiunque”. Il braccio destro della premier, Giovanbattista Fazzolari, fa riferimento a “governi” ma anche a “ong, grandi media”. Casi, nota a taccuini chiusi più di un parlamentare, in cui la voce del Colle non si è sentita. Certo però, ammettono i meloniani, Musk forse ha un po’ esagerato, soprattutto quando ha parlato di “autocrazia”. Un concetto che, racconta chi l’ha sentita poi, sarebbe stato oggetto anche della telefonata del pomeriggio tra la premier e Musk.

Meloni avrebbe ribadito direttamente al proprietario di Starlink e SpaceX che non sono opportune “ingerenze” negli affari interni degli altri Stati. Frasi che in pubblico non pronuncia, appunto, perché gli equilibri sono delicati e tutti da ricomporre di qui a quando Donald Trump rientrerà alla Casa Bianca. Nel frattempo meglio non sovraesporsi a livello internazionale, soprattutto mentre il progetto di avere un posto in prima fila nella squadra dell’Ursula bis di ora in ora è sempre più in pericolo. La situazione che le raccontano i suoi, è di un avvitamento molto più complesso di quanto ci si aspettasse, complice anche la “guerra” interna spagnola. Che è peraltro, ammettono nella maggioranza, speculare a quella che si sta consumando in Italia. Proprio il “sovranismo” a fasi alterne del Pd (che chiede al governo di respingere gli attacchi di Musk ma vuole “impallinare Fitto”) viene messo nel mirino dal partito della premier. Difficile, pronostica un veterano del Parlamento, che la partita si possa sbloccare a breve, di sicuro “non prima di lunedì”, quando sarà passata l’ultima tornata di elezioni amministrative.

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Rottura sulle nomine Ue, ora trema anche von der Leyen

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A due settimane dall’incoronazione della nuova Commissione di Ursula von der Leyen, la Commissione von der Leyen rischia di non esserci più. La possibilità che resti seppellita dal prolungato stallo alla messicana intavolato da popolari, socialisti e liberali è concreta, ed è arrivata fino al Palais Berlaymont. Dove la poltrona della presidente è meno salda di qualche giorno fa. A nulla è valso l’incontro che la leader dell’esecutivo Ue ha organizzato con Manfred Weber, Iratxe Garcia Perez e Valerie Hayer. I socialisti non voteranno Raffaele Fitto come vice presidente. Il Ppe, trascinato dalla delegazione spagnola, è pronto a strappare su Teresa Ribera.

E il baratro, per Ursula, non è più un’ipotesi dell’irrealtà. Il gioco dei veti incrociati, cominciato ad inizio settimana, è sfuggito di mano a tutti. Lunedì sera i tre leader della maggioranza avevano deciso di aggirare temporaneamente l’ostacolo votando contestualmente i sei candidati vice presidenti: la popolare Henna Virkkunen, i liberali Kaja Kallas e Stephane Sejourné, le socialiste Ribera e Roxana Minzatu e il conservatore Fitto. Non è servito a nulla. Tra socialisti e popolari sono volate accuse via via più pesanti. Nell’audizione all’Eurocamera, Ribera è stata duramente attaccata per le alluvioni in Spagna. E la linea del Ppe si è mostrata in linea con quella del Partido Popular: il sì alla fedelissima di Pedro Sanchez può arrivare solo dopo che Ribera avrà chiarito, nel Parlamento iberico, di non essere coinvolta nel disastro di Valencia. Appuntamento che è calendarizzato per il prossimo 20 novembre: un’eternità, in un clima da lunghi coltelli. Ma se la Ribera traballa, non va meglio per Fitto.

In un gioco di specchi tra vittime e carnefici, i socialisti sembrano aver messo un punto sul candidato di Giorgia Meloni. “Non lo voteremo in nessun caso, la fiducia è rotta. Il pacchetto per noi è di cinque vice presidenti, il Ppe lo voti con l’estrema destra”, hanno sottolineato fonti del gruppo S&D. All’interno del gruppo anche le posizioni dei dem, sulla scia dello scontro continuo da un lato con il Ppe e dall’altro con la premier italiana, si sono irrigidite. Innescando nuovamente l’ira di Meloni: “Signore e signori, ecco a voi la posizione del gruppo dei socialisti europei, nel quale la delegazione più numerosa è quella del Pd di Elly Schlein. L’Italia, secondo loro, non merita di avere una vicepresidenza della Commissione. Questi sono i vostri rappresentanti di sinistra”, ha ruggito via X la presidente del Consiglio. “Basta favole, nel 2019 eri contro la nomina di Gentiloni a commissario europeo e organizzavi addirittura una protesta davanti a Palazzo Chigi”, ha replicato il dem Dario Nardella. Mentre Schlein ha proseguito con la linea del silenzio, sostenendo che Meloni, attaccando su Fitto, vuole distrarre l’attenzione dalla manovra. A tarda sera, sull’Eurocamera, è scesa una coltre di incertezza. Con un punto fermo, però. La palla ora è nel campo di von der Leyen.

Lo sostengono i socialisti, lo argomentano i liberali, lo sussurra, con maliziosa discrezione, anche qualche popolare. A complicare il quadro ci sono le vicende politiche di Spagna e Germania. La prima alle prese con gli strascichi delle devastazioni di Valencia. La seconda prossima ad una tornata elettorale dove la Cdu è data per favorita e l’Spd si contenderà il secondo posto con l’estrema destra di Afd. Non è un caso che l’accusa costante che da socialisti, liberali e Verdi viene fatta a Weber sia quella di voler fare asse con le estreme destre. Solo che, con la Germania al voto e l’uragano Trump in arrivo, per Weber il gioco si complica. Ma a farne le spese potrebbe essere la presidente della Commissione. La numero uno dell’esecutivo europeo probabilmente sarà costretta ad un giro di colloqui con le capitali. Provando a scongiurare così l’ombra più nera, quella delle dimissioni. Gli ipotetici piani B sono già partiti nei chiacchiericci all’Eurocamera. Con un nome evocato qua e là: quello di Mario Draghi. Che mentre a Bruxelles la maggioranza Ursula si sbriciolava era a Parigi, a cena con Emmanuel Macron.

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