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Napoli violenta, dal Viminale un piano straordinario

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Più telecamere e più forze dell’ordine, nei giorni e nei luoghi della movida. Scende in campo il Viminale, con il ministro Matteo Piantedosi piombato a sorpresa a Napoli per presiedere un comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica, dopo i tre omicidi di giovani avvenuti in appena 17 giorni. Tutto questo, mentre le indagini sull’ultimo assurdo delitto, quello di un diciottenne ucciso a quanto pare “per sbaglio” da un suo amico di un anno più grande, vanno avanti a ritmo serrato: i poliziotti cercano riscontri sulla reale provenienza dell’arma e vogliono capire perchè, a terra, c’era un proiettile inesploso di un calibro diverso da quello della pistola che ha sparato.

Punta sulla prevenzione il piano varato oggi in prefettura, nel corso di un vertice al quale – insieme al ministro dell’interno e al prefetto Michele di Bari – hanno preso parte anche il sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, e i vertici provinciali delle forze dell’ordine. Una mossa volta ad arginare l’ondata di violenza che nelle ultime due settimane ha scosso l’opinione pubblica e insanguinato per ben tre volte Napoli e provincia. Tragedie che hanno visto vittime un 15enne, Emanuele Tufano, il 19enne Santo Romano e, ultimo, il diciottenne Arcangelo Correra.

In questi giorni sono stati tanti gli appelli “a disarmare Napoli” lanciati dalle istituzioni, sia civili che religiose, appelli cui si è aggiunto anche quello della mamma del 19enne Renato Caiafa, il ragazzo in carcere perchè accusato di aver esploso per errore il colpo che ha tolto la vita al suo amico Correra. “Tra i vicoli girano troppe pistole”, dice Anna Elia a Il Mattino e a Il Messaggero escludendo che la pistola fosse del figlio: “Chi possiede un’arma – sostiene – ha soldi, perché le pistole costano, mio figlio non ne aveva soldi, lavorava a giornata in pizzeria… chiedeva 10 e 20 euro per la benzina… non poteva essere essere sua”. Riguardo ai rimedi messi in campo per evitare altri morti ammazzati, una nota del Viminale spiega che in prefettura “è stato messo a punto un piano straordinario di attività per fronteggiare il fenomeno della violenza giovanile nell’area metropolitana”.

Il ministro Piantedosi “ha dato indicazioni affinché siano intensificate le operazioni ad alto impatto nelle zone sensibili e ci sia un nuovo impulso ai servizi di controllo del territorio, soprattutto in orario notturno e in particolare nelle aree di maggior frequentazione giovanile”. Con il vertice sono state poste le basi, viene spiegato, “per un significativo potenziamento del sistema di video-sorveglianza da realizzare in pochi mesi”. La famiglia Caiafa è nota in città a causa della morte di Luigi Caiafa, fratello maggiore di Renato, ucciso nell’ottobre del 2020 da un poliziotto mentre con dei complici stava mettendo a segno una rapina. Come allora è difesa dall’avvocato Giuseppe De Gregorio che domani assisterà Renato dell’udienza di convalida del fermo inerente il possesso e la ricettazione della semi automatica calibro 9X21 con la matricola cancellata (per l’omicidio colposo di Correra è solo denunciato a piede libero).

Per gli investigatori non regge la versione da lui fornita secondo cui l’avrebbe trovata per caso, in strada, sopra lo pneumatico di una macchina parcheggiata. L’ipotesi degli inquirenti, piuttosto, è che fosse già in suo possesso. Poi c’è un altro giallo da chiarire: il proiettile inesploso trovato a terra nel luogo della tragedia è di un calibro diverso da quello che ha raggiunto la testa di Arcangelo, poi morto in ospedale. Dunque una pistola e due proiettili di calibri diversi. Perchè?

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De Luca, dopo Europee da Governo taglio 30 milioni su Caivano

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“Non ci siamo dimenticati di Caivano, anche se sono passate le elezioni europee, come sembra aver fatto qualcun altro. Abbiamo appreso, e questa è una notizia grave, che sui 40 milioni di euro che erano stati stanziati per Caivano, 30 milioni sono scomparsi nella proposta di legge di bilancio”. Lo ha detto il governatore della Campania Vincenzo De Luca prima di entrare alla scuola Milani di Caivano per la presentazione dell’ecosistema educativo nell’area nord della Provincia di Napoli. “Comunque sia – ha spiegato De Luca – noi adesso andiamo avanti. Come ci eravamo impegnati daremo continuità alla nostra iniziativa su Caivano e sull’area nord di Napoli. In questo caso facciamo partire un programma di formazione professionale che è rivolto ai ragazzi e alle ragazze che non hanno completato il ciclo scolastico, che hanno interrotto gli studi, per fornire loro un titolo di formazione professionale che gli consenta poi di trovare lavoro. Il nostro progetto è a vari capitoli, questo della formazione professionale per i ragazzi che non completano il ciclo scolastico”.

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Imbarazzo nella maggioranza, il silenzio di Meloni

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La telefonata con “l’amico” Elon Musk arriva nel pomeriggio, dopo un silenzio interrotto solo da quel “ascoltiamo sempre con grande rispetto” le parole che arrivano dal Colle, fatto filtrare da Palazzo Chigi. Sono ore di imbarazzo, per la maggioranza e per Giorgia Meloni, alle prese peraltro nelle stesse ore con ben altri timori, che non vengono (solo) dal cambio di amministrazione a Washington – con cui bisognerà comunque aprire un nuovo dialogo – ma dall’impasse che blocca la nuova commissione a Bruxelles, e con lei la nomina di Raffaele Fitto a vicepresidente esecutivo. Il patron di Tesla sarà pure entrato a gamba tesa nelle vicende italiane – e in molti anche tra i meloniani si chiedono il perché di tanto attivismo che “certo non giova al governo” – ma per ora, è la difesa d’ufficio, è un semplice “cittadino” (copyright della stessa Meloni interpellata già a Budapest proprio su Musk) e non ha “alcun incarico” di governo.

Dopo, quando sarà effettivamente parte della nuova amministrazione americana, è il ragionamento, si vedrà, si prenderanno le misure. Intanto meglio tenersi fuori dallo scontro, acceso, sugli interventi social del tycoon, su cui è intervenuto invece Sergio Mattarella con parole che qualcuno in Fdi “sottoscrive” perché, ricordano i luogotenenti della premier, le “ingerenze straniere” non sono mai piaciute al partito ed è un concetto che “vale sempre e con chiunque”. Il braccio destro della premier, Giovanbattista Fazzolari, fa riferimento a “governi” ma anche a “ong, grandi media”. Casi, nota a taccuini chiusi più di un parlamentare, in cui la voce del Colle non si è sentita. Certo però, ammettono i meloniani, Musk forse ha un po’ esagerato, soprattutto quando ha parlato di “autocrazia”. Un concetto che, racconta chi l’ha sentita poi, sarebbe stato oggetto anche della telefonata del pomeriggio tra la premier e Musk.

Meloni avrebbe ribadito direttamente al proprietario di Starlink e SpaceX che non sono opportune “ingerenze” negli affari interni degli altri Stati. Frasi che in pubblico non pronuncia, appunto, perché gli equilibri sono delicati e tutti da ricomporre di qui a quando Donald Trump rientrerà alla Casa Bianca. Nel frattempo meglio non sovraesporsi a livello internazionale, soprattutto mentre il progetto di avere un posto in prima fila nella squadra dell’Ursula bis di ora in ora è sempre più in pericolo. La situazione che le raccontano i suoi, è di un avvitamento molto più complesso di quanto ci si aspettasse, complice anche la “guerra” interna spagnola. Che è peraltro, ammettono nella maggioranza, speculare a quella che si sta consumando in Italia. Proprio il “sovranismo” a fasi alterne del Pd (che chiede al governo di respingere gli attacchi di Musk ma vuole “impallinare Fitto”) viene messo nel mirino dal partito della premier. Difficile, pronostica un veterano del Parlamento, che la partita si possa sbloccare a breve, di sicuro “non prima di lunedì”, quando sarà passata l’ultima tornata di elezioni amministrative.

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Rottura sulle nomine Ue, ora trema anche von der Leyen

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A due settimane dall’incoronazione della nuova Commissione di Ursula von der Leyen, la Commissione von der Leyen rischia di non esserci più. La possibilità che resti seppellita dal prolungato stallo alla messicana intavolato da popolari, socialisti e liberali è concreta, ed è arrivata fino al Palais Berlaymont. Dove la poltrona della presidente è meno salda di qualche giorno fa. A nulla è valso l’incontro che la leader dell’esecutivo Ue ha organizzato con Manfred Weber, Iratxe Garcia Perez e Valerie Hayer. I socialisti non voteranno Raffaele Fitto come vice presidente. Il Ppe, trascinato dalla delegazione spagnola, è pronto a strappare su Teresa Ribera.

E il baratro, per Ursula, non è più un’ipotesi dell’irrealtà. Il gioco dei veti incrociati, cominciato ad inizio settimana, è sfuggito di mano a tutti. Lunedì sera i tre leader della maggioranza avevano deciso di aggirare temporaneamente l’ostacolo votando contestualmente i sei candidati vice presidenti: la popolare Henna Virkkunen, i liberali Kaja Kallas e Stephane Sejourné, le socialiste Ribera e Roxana Minzatu e il conservatore Fitto. Non è servito a nulla. Tra socialisti e popolari sono volate accuse via via più pesanti. Nell’audizione all’Eurocamera, Ribera è stata duramente attaccata per le alluvioni in Spagna. E la linea del Ppe si è mostrata in linea con quella del Partido Popular: il sì alla fedelissima di Pedro Sanchez può arrivare solo dopo che Ribera avrà chiarito, nel Parlamento iberico, di non essere coinvolta nel disastro di Valencia. Appuntamento che è calendarizzato per il prossimo 20 novembre: un’eternità, in un clima da lunghi coltelli. Ma se la Ribera traballa, non va meglio per Fitto.

In un gioco di specchi tra vittime e carnefici, i socialisti sembrano aver messo un punto sul candidato di Giorgia Meloni. “Non lo voteremo in nessun caso, la fiducia è rotta. Il pacchetto per noi è di cinque vice presidenti, il Ppe lo voti con l’estrema destra”, hanno sottolineato fonti del gruppo S&D. All’interno del gruppo anche le posizioni dei dem, sulla scia dello scontro continuo da un lato con il Ppe e dall’altro con la premier italiana, si sono irrigidite. Innescando nuovamente l’ira di Meloni: “Signore e signori, ecco a voi la posizione del gruppo dei socialisti europei, nel quale la delegazione più numerosa è quella del Pd di Elly Schlein. L’Italia, secondo loro, non merita di avere una vicepresidenza della Commissione. Questi sono i vostri rappresentanti di sinistra”, ha ruggito via X la presidente del Consiglio. “Basta favole, nel 2019 eri contro la nomina di Gentiloni a commissario europeo e organizzavi addirittura una protesta davanti a Palazzo Chigi”, ha replicato il dem Dario Nardella. Mentre Schlein ha proseguito con la linea del silenzio, sostenendo che Meloni, attaccando su Fitto, vuole distrarre l’attenzione dalla manovra. A tarda sera, sull’Eurocamera, è scesa una coltre di incertezza. Con un punto fermo, però. La palla ora è nel campo di von der Leyen.

Lo sostengono i socialisti, lo argomentano i liberali, lo sussurra, con maliziosa discrezione, anche qualche popolare. A complicare il quadro ci sono le vicende politiche di Spagna e Germania. La prima alle prese con gli strascichi delle devastazioni di Valencia. La seconda prossima ad una tornata elettorale dove la Cdu è data per favorita e l’Spd si contenderà il secondo posto con l’estrema destra di Afd. Non è un caso che l’accusa costante che da socialisti, liberali e Verdi viene fatta a Weber sia quella di voler fare asse con le estreme destre. Solo che, con la Germania al voto e l’uragano Trump in arrivo, per Weber il gioco si complica. Ma a farne le spese potrebbe essere la presidente della Commissione. La numero uno dell’esecutivo europeo probabilmente sarà costretta ad un giro di colloqui con le capitali. Provando a scongiurare così l’ombra più nera, quella delle dimissioni. Gli ipotetici piani B sono già partiti nei chiacchiericci all’Eurocamera. Con un nome evocato qua e là: quello di Mario Draghi. Che mentre a Bruxelles la maggioranza Ursula si sbriciolava era a Parigi, a cena con Emmanuel Macron.

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