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Emendamenti e tesoretto, parte l’assalto alla manovra

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Alzare ulteriormente le pensioni minime, abrogare la norma sui revisori del Mef negli enti che ricevono contributi pubblici, limitare il blocco parziale del turnover, ridurre la tassa sui bitcoin, modificare la web tax. Parte l’assalto dei partiti alla legge di bilancio. Le opposizioni si preparano a dare battaglia, mentre nella maggioranza c’è chi spinge per “migliorare” il testo e chi è più cauto. Su tutti pende la spada di Damocle del piano di aggiustamento dei conti, che rende la strada più stretta, vincolando qualsiasi modifica all’obbligo di avere la relativa copertura.

Il lavoro degli uffici legislativi andrà avanti per tutto il fine settimana per mettere a punto gli emendamenti, che entro lunedì vanno presentati in commissione Bilancio alla Camera. I parlamentari hanno a disposizione un ‘tesoretto’ di 120 milioni per il 2025, ma non sarebbe ancora stato definito come dividerlo tra maggioranza e opposizione. Sul fronte delle risorse aggiuntive si attende poi l’esito definitivo del concordato biennale per le partite Iva.

Alla scadenza del 31 ottobre sono stati raccolti circa 1,3 miliardi (non abbastanza per procedere l’ulteriore step sull’Irpef), ma il governo è al lavoro per una riapertura dei termini: un decreto legge ad hoc, atteso in cdm forse già martedì, dovrebbe fissare il nuovo termine al 10 dicembre (ma circola anche l’ipotesi del 15). Nella maggioranza sono ore cruciali e non si escludono possibili incontri,forse a valle della consegna degli emendamenti. Le modifiche di Forza Italia si concentrano su alcuni macro-temi: alzare ulteriormente le pensioni minime, escludere le forze dell’ordine dal blocco parziale del turnover nella Pa, rimodulazione dell’Irpef (con il taglio della seconda aliquota dal 35 al 33% e l’estensione dello scaglione fino a 60mila euro), sgravi fiscali per chi reinveste gli utili in azienda, abrogazione della norma sui revisori del Mef negli enti che ricevono contributi pubblici, anche rinvio della sugar tax e modifica della web tax (reintroducendo la soglia dei 750 milioni di fatturato globale).

Un tema, quest’ultimo, su cui gli azzurri aumentano il pressing: Basta “asimmetria fiscale”, dice il responsabile Dipartimenti Alessandro Cattaneo; “Bisogna far pagare le tasse ai colossi del web”, rincara il capogruppo in Senato Maurizio Gasparri. Dentro Fratelli d’Italia, invece, bocche cucite sugli emendamenti: prima di lunedì, è la linea, non si parla. Gli interventi, comunque, saranno limitati. “Sappiamo bene che per il 97/98% la manovra è quella, e non si tocca. Qualcosa si può modificare o migliorare. Ma ci diamo un limite”, spiegava nei giorni scorsi il capogruppo Tommaso Foti. Anche nella Lega si attende lunedì e si lavora con l’obiettivo di presentare solo modifiche che verranno approvate. Tra le proposte del partito di via Bellerio è atteso l’intervento per ridurre la tassa sui bitcoin.

Un altro cavallo di battaglia la Lega l’ha già sfoderato nel dl Fisco, con l’emendamento per tagliare anche nel 2025 il canone Rai: una proposta che agita la maggioranza, con FI che ha già promesso che non lo voterà. Dalle opposizioni intanto filtra l’intenzione di replicare quanto fatto l’anno scorso concentrando i soldi del tesoretto su una proposta comune per finanziare i centri anti-violenza. Su come potrà cambiare la manovra qualche indicazione è arrivata direttamente dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, che ha già aperto su diversi temi: dai revisori del Mef nelle società con contributi pubblici, purché sia mantenuto il principio che chi riceve soldi dello Stato risponde di come li usa; ai bonus edilizi, ma la distinzione tra prima e seconda casa è “inderogabile”. Disponibilità poi a ragionare anche sul blocco del turnover, a partire dall’esclusione del comparto sicurezza. Ok anche a valutare modifiche sulle criptovalute.

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Rottura sulle nomine Ue, ora trema anche von der Leyen

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A due settimane dall’incoronazione della nuova Commissione di Ursula von der Leyen, la Commissione von der Leyen rischia di non esserci più. La possibilità che resti seppellita dal prolungato stallo alla messicana intavolato da popolari, socialisti e liberali è concreta, ed è arrivata fino al Palais Berlaymont. Dove la poltrona della presidente è meno salda di qualche giorno fa. A nulla è valso l’incontro che la leader dell’esecutivo Ue ha organizzato con Manfred Weber, Iratxe Garcia Perez e Valerie Hayer. I socialisti non voteranno Raffaele Fitto come vice presidente. Il Ppe, trascinato dalla delegazione spagnola, è pronto a strappare su Teresa Ribera.

E il baratro, per Ursula, non è più un’ipotesi dell’irrealtà. Il gioco dei veti incrociati, cominciato ad inizio settimana, è sfuggito di mano a tutti. Lunedì sera i tre leader della maggioranza avevano deciso di aggirare temporaneamente l’ostacolo votando contestualmente i sei candidati vice presidenti: la popolare Henna Virkkunen, i liberali Kaja Kallas e Stephane Sejourné, le socialiste Ribera e Roxana Minzatu e il conservatore Fitto. Non è servito a nulla. Tra socialisti e popolari sono volate accuse via via più pesanti. Nell’audizione all’Eurocamera, Ribera è stata duramente attaccata per le alluvioni in Spagna. E la linea del Ppe si è mostrata in linea con quella del Partido Popular: il sì alla fedelissima di Pedro Sanchez può arrivare solo dopo che Ribera avrà chiarito, nel Parlamento iberico, di non essere coinvolta nel disastro di Valencia. Appuntamento che è calendarizzato per il prossimo 20 novembre: un’eternità, in un clima da lunghi coltelli. Ma se la Ribera traballa, non va meglio per Fitto.

In un gioco di specchi tra vittime e carnefici, i socialisti sembrano aver messo un punto sul candidato di Giorgia Meloni. “Non lo voteremo in nessun caso, la fiducia è rotta. Il pacchetto per noi è di cinque vice presidenti, il Ppe lo voti con l’estrema destra”, hanno sottolineato fonti del gruppo S&D. All’interno del gruppo anche le posizioni dei dem, sulla scia dello scontro continuo da un lato con il Ppe e dall’altro con la premier italiana, si sono irrigidite. Innescando nuovamente l’ira di Meloni: “Signore e signori, ecco a voi la posizione del gruppo dei socialisti europei, nel quale la delegazione più numerosa è quella del Pd di Elly Schlein. L’Italia, secondo loro, non merita di avere una vicepresidenza della Commissione. Questi sono i vostri rappresentanti di sinistra”, ha ruggito via X la presidente del Consiglio. “Basta favole, nel 2019 eri contro la nomina di Gentiloni a commissario europeo e organizzavi addirittura una protesta davanti a Palazzo Chigi”, ha replicato il dem Dario Nardella. Mentre Schlein ha proseguito con la linea del silenzio, sostenendo che Meloni, attaccando su Fitto, vuole distrarre l’attenzione dalla manovra. A tarda sera, sull’Eurocamera, è scesa una coltre di incertezza. Con un punto fermo, però. La palla ora è nel campo di von der Leyen.

Lo sostengono i socialisti, lo argomentano i liberali, lo sussurra, con maliziosa discrezione, anche qualche popolare. A complicare il quadro ci sono le vicende politiche di Spagna e Germania. La prima alle prese con gli strascichi delle devastazioni di Valencia. La seconda prossima ad una tornata elettorale dove la Cdu è data per favorita e l’Spd si contenderà il secondo posto con l’estrema destra di Afd. Non è un caso che l’accusa costante che da socialisti, liberali e Verdi viene fatta a Weber sia quella di voler fare asse con le estreme destre. Solo che, con la Germania al voto e l’uragano Trump in arrivo, per Weber il gioco si complica. Ma a farne le spese potrebbe essere la presidente della Commissione. La numero uno dell’esecutivo europeo probabilmente sarà costretta ad un giro di colloqui con le capitali. Provando a scongiurare così l’ombra più nera, quella delle dimissioni. Gli ipotetici piani B sono già partiti nei chiacchiericci all’Eurocamera. Con un nome evocato qua e là: quello di Mario Draghi. Che mentre a Bruxelles la maggioranza Ursula si sbriciolava era a Parigi, a cena con Emmanuel Macron.

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Economia

In Italia reddito famiglie cresce doppio della media Ocse

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– Il reddito reale delle famiglie cresce in Italia più della media Ocse nel secondo trimestre del 2024. In media – si legge in un comunicato – nei Paesi dell’organizzazione è aumentato dello 0,4%, in deciso rallentamento rispetto all’1,3% del trimestre precedente e rispetto a un Pil reale pro capite cresciuto nello stesso periodo dello 0,3%. Dei 15 paesi per i quali sono disponibili dati, 8 hanno registrato un aumento, mentre 7 hanno registrato una diminuzione. Tra le economie del G7, il reddito reale delle famiglie pro capite è cresciuto nella maggior parte dei paesi, ma si è contratto in Canada e Germania. Il Regno Unito e l’Italia hanno registrato gli aumenti più alti, rileva l’Ocse, rispettivamente 1,1% e 1,0%, invariati rispetto al trimestre precedente.

Gli Stati Uniti hanno registrato un aumento del reddito reale delle famiglie pro capite nel secondo trimestre 2024 (0,4%), in calo rispetto all’1,2% del primo trimestre, principalmente a causa della ridotta crescita della retribuzione dei dipendenti e dei pagamenti delle prestazioni sociali governative. Anche la Francia ha registrato un aumento (0,3%), in calo rispetto allo 0,5% del primo trimestre 2024, mentre il Canada ha registrato un calo (-0,2%), poiché il Pil reale pro capite è diminuito per il quinto trimestre consecutivo.

Anche la Germania ha registrato diminuzioni sia del reddito reale delle famiglie pro capite (-0,2%) che del Pil reale pro capite (-0,3%), il primo riflettendo in parte la debole crescita della retribuzione dei dipendenti e dei redditi da capitale, combinata con l’aumento delle imposte sul reddito e sul patrimonio. Tra gli altri Paesi dell’Ocse, il Portogallo ha registrato il maggiore aumento del reddito reale delle famiglie pro capite nel 2° trimestre 2024 (2,1%), trainato principalmente dalla retribuzione dei dipendenti; tra il quarto trimestre 2021 e il secondo trimestre 2024, la retribuzione dei dipendenti in Portogallo è cresciuta del 23% in termini reali, superando quella delle economie del G7. I Paesi Bassi hanno registrato la maggiore contrazione (-2,3%) del reddito reale delle famiglie pro capite, principalmente a causa di un calo dei redditi da capitale in coincidenza con un aumento delle imposte sul reddito e sulla ricchezza, sebbene il Pil reale pro capite sia aumentato (0,9%).

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Esteri

Cina, auto lanciata contro la folla: 35 morti e decine di feriti

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Trentacinque persone sono morte e 43 sono rimaste ferite a Zhuhai, nel sud della Cina, dopo che un’auto si è lanciata contro la folla in un impianto sportivo. Lo riferiscono i media cinesi. L’incidente è avvenuto ieri. Il presidente Xi Jinping ha ordinato oggi di curare i feriti e di punire con la massima severità il responsabile dell’incidente. Secondo le informazioni, alla guida dell’auto era un sessantaduenne, che si sarebbe scagliato contro la folla in un momento di furia omicida seguita a un divorzio. L’uomo sarebbe stato scontento dalla divisione dei beni e avrebbe tentato di suicidarsi con l’auto. E’ ricoverato in seguito alle ferite connesse all’incidente.

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