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Esteri

Trump: sulle deportazioni dei migranti non c’è scelta

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Stop alle guerre in Ucraina, nuovi dazi commerciali, taglio delle tasse, porte aperte per le trivellazioni, crociata anti woke e soprattutto la lotta all’immigrazione clandestina con le deportazioni di massa più volte assicrate durante la campagna: sono le promesse principali che Donald Trump intende rispettare nei suoi primi cento giorni alla Casa Bianca per avviare la sua “nuova età dell’oro”. Firmando qualche provvedimento altamente significativo nel primo giorno del suo insediamento il 20 gennaio, quello in cui vorrebbe fare “il dittatore almeno per un giorno”, come aveva detto in un’intervista.

“Sulle deportazioni non è una questione di costi, non abbiamo scelta”, ha detto a Nbc news il tycoon, che in serata ha nominato la guru della sua campagna, Susan Wiles, come capo dello staff. Trump, dopo la sua vittoria, sta ricevendo a Mar-a-Lago le telefonate di congratulazioni dei leader mondiali, ha promesso in campagna elettorale di riportare la pace in Ucraina e in Medio Oriente in 24 ore. Ieri si è già sentito con Volodymyr Zelensky, mentre con Vladimir Putin si sentià presto, ha detto il presidente eletto a Nbc news. Dalle indiscrezioni trapelate finora, intende congelare il conflitto, tenendo Kiev fuori dalla Nato ma conservando l’integrità territoriale del Paese, con regioni autonome su ogni lato di una zona demilitarizzata, lasciando all’Europa i meccanismi di attuazione dell’accordo e i fondi per la ricostruzione.

In Medio Oriente pieno sostegno a Israele ma ha chiesto a Benyamin Netanyahu di mettere fine alla guerra prima del suo giuramento. Poi punterà sull’allargamento dei suoi ‘accordi di Abramo’, a partire da quello con l’Arabia Saudita. Da vedere cosa ha in serbo per Gaza e Cisgiordania, dove in passato prevedeva un maggior controllo di Israele sui palestinesi, pur promettendo 50 miliardi di dollari di investimenti internazionali per sostenere la loro economia. Mentre la soluzione dei due Stati dovrebbe rimanere in soffitta. Poi pugno di ferro sull’Iran, continuazione del flirt con il dittatore nordcoreano Kim Jong-un e sfida (commerciale) alla Cina, su cui c’è un ampio consenso bipartisan. Sulla Nato pretenderà un aumento delle spese, probabilmente sopra il 2% del Pil chiesto finora, con la minaccia di non proteggere chi non paga. Sul piano commerciale ha minacciato una nuova e più ampia guerra dei dazi per proteggere industrie e posti di lavoro americani: una tariffa generalizzata tra il 10% e il 20% su tutti i 3.000 miliardi di dollari di importazioni di beni e una tariffa del 60% su tutti i beni cinesi, probabilmente invocando l’International Emergency Economic Powers Act.

Minaccia di dazi al Messico anche per costringerlo a chiudere il flusso migratorio. Sul fronte interno ha infatti promesso di sigillare il confine col vicino meridionale, la più grande deportazione di massa della storia americana (con lo spettro di una vera e propria caccia al clandestino in tutto il Paese), la fine delle città santuario dem, il ripristino della politica ‘Remain in Mexico’ e del suo controverso ‘muslim ban’. Proseguirà anche la costruzione del muro.

In economia Trump intende rendere permanente il suo taglio delle tasse del 2017, che scade nel 2025, proponendo al contempo nuovi tagli di vasta portata, dalla detassazione di mance e straordinari alla possibilità di dedurre gli interessi sui prestiti per l’acquisto di un’auto. Da vedere se e come il Congresso troverà i fondi. In vista anche uno stop al Green New Deal e un’ampia deregulation (ispirata e coordinata da Elon Musk) a favore delle aziende, a partire dal settore energetico (“drill, baby, drill”). Si tornerà quindi a trivellare ed estrarre petrolio e gas ai livelli pre amministrazione Biden. Atteso anche uno stop agli incentivi per lo sviluppo del mercato delle auto elettriche. Infine, una crociata anti woke e anti transgender nelle scuole, nello sport e nell’esercito.

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Aggressione ad Amsterdam: dieci tifosi israeliani feriti, Netanyahu invia aerei di soccorso

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Dieci tifosi israeliani del Maccabi Tel Aviv sono rimasti feriti in un’aggressione ad Amsterdam da parte di una folla apparentemente filopalestinese. L’incidente, avvenuto al termine della partita di Europa League contro l’Ajax, è stato segnalato dal Ministero degli Esteri israeliano, come riportato dai media locali. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha prontamente reagito, invitando il primo ministro dei Paesi Bassi, Dick Schoof, e le forze di sicurezza olandesi a intervenire “in modo deciso e rapido contro i rivoltosi”. Netanyahu ha inoltre ordinato l’invio di due aerei per riportare in Israele i cittadini feriti.

Escalation di violenza e intervento di Netanyahu

A seguito dell’incidente, Netanyahu ha disposto l’invio di due aerei di soccorso ad Amsterdam. In una dichiarazione ufficiale, l’ufficio del primo ministro israeliano ha confermato che Netanyahu considera “con estrema serietà” l’attacco ai tifosi israeliani e ha chiesto un’azione tempestiva da parte delle autorità olandesi per garantire la sicurezza dei cittadini israeliani coinvolti.

Video e scontri nel centro di Amsterdam

Video diffusi sui social media mostrano gruppi di persone a volto coperto, alcuni con bandiere palestinesi, mentre assalgono i tifosi del Maccabi Tel Aviv. Gli scontri sono scoppiati nel centro di Amsterdam al termine della partita, che ha visto l’Ajax trionfare con un netto 5-0. La polizia olandese ha scortato i tifosi israeliani fino al loro hotel per proteggerli dagli attacchi.

Arresti e misure di sicurezza

Le autorità locali hanno riferito di aver effettuato 57 arresti durante la giornata, nell’ambito di misure di sicurezza rafforzate per contenere le tensioni. L’aggressione ha portato alla ferita di dieci tifosi del Maccabi Tel Aviv, come confermato dal Ministero degli Esteri israeliano, mentre la polizia olandese continua le indagini per identificare i responsabili.

Conclusione: L’episodio di violenza ha sollevato grande preoccupazione da entrambe le parti, con il governo israeliano che richiede un’azione decisa e rapida contro gli aggressori. La situazione sottolinea la tensione crescente legata agli eventi sportivi internazionali, che talvolta si trasformano in teatro di conflitti e rivalità geopolitiche.

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Israele arresta 2 gendarmi francesi, scontro con Parigi

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Israele e Francia sempre più ai ferri corti. Un nuovo incidente diplomatico si inserisce nelle tensioni che da settimane hanno inasprito i rapporti tra Benyamin Netanyahu ed Emmanuel Macron, reo agli occhi del premier israeliano di aver invocato a più riprese un embargo delle armi che lo Stato ebraico usa a Gaza a danno dei civili palestinesi. Due gendarmi francesi sono stati arrestati – sebbene brevemente – dalla polizia israeliana, proprio durante la visita del ministro degli Esteri di Parigi Jean-Noel Barrot che ha denunciato “una situazione inaccettabile”.

Per protesta il Quai d’Orsay ha annunciato la convocazione dell’ambasciatore di Israele in Francia. Tutto è cominciato quando la polizia è entrata “armata” e “senza autorizzazione” nel Santuario di Eleona, un sito gestito e amministrato dalla Francia sul Monte degli Ulivi a Gerusalemme Est, come ha riferito lo stesso ministro che a quel punto si è rifiutato di entrare finché gli agenti armati non ne fossero usciti. Quando la delegazione ha lasciato la zona – ha poi spiegato il Quai d’Orsay in una nota – “due dipendenti del Consolato francese a Gerusalemme sono stati arrestati dalla sicurezza israeliana, pur essendo agenti con lo status diplomatico. Sono stati rilasciati dopo l’intervento del ministro”.

Il brusco arresto è stato filmato e postato su X da un giornalista sul posto: “Ne me touche pas! Don’t touch me!”, intima uno dei due francesi prima di essere messo a terra da un agente israeliano ed essere portato via in macchina, le mani legate.

“Questi comportamenti non sono accettabili. La Francia li condanna con vigore, tanto più che giungono in un contesto in cui Parigi fa tutto il possibile per adoperarsi in favore di una de-escalation delle violenze nella regione”, ha insistito il ministero francese. “Il sito di Eleona – ha poi affermato Barrot – non solo appartiene alla Francia da oltre 150 anni, ma la Francia ne assicura la sicurezza e la manutenzione con enorme cura. L’integrità dei domini di cui la Francia ha la responsabilità qui a Gerusalemme deve essere rispettata”, ha ammonito.

L’episodio riporta alla mente altre occasioni simili in cui si sfiorò l’incidente diplomatico. Nel gennaio 2020 lo stesso Macron ammonì i militari israeliani che gli impedivano di entrare nella Chiesa di Sant’Anna, un altro sito in territorio francese a Gerusalemme (sono quattro in tutto): “I don’t like what you did in front of me” (“Non mi piace ciò che avete fatto davanti a me”). Ma il più noto risale al 1996 quando l’allora presidente Jacques Chirac si rifiutò – proprio come Barrot oggi – di entrare nella Chiesa di Sant’Anna perché anche in quell’occasione erano prima entrati i militari armati. In una passeggiata tra i vicoli della Città Vecchia, circondato e sballottato dalla sicurezza israeliana, Chirac sempre più spazientito urlò in inglese agli agenti: “Volete che torni sul mio aereo? Volete che ritorni in Francia? E’ questo che volete? Non c’è un problema di sicurezza. Questa è una provocazione!”.

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Putin apprezza l’iniziativa di Trump per la pace in Ucraina e apre a un possibile dialogo

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Il presidente russo Vladimir Putin ha definito “degna di attenzione” l’iniziativa di Donald Trump per porre fine al conflitto in Ucraina. Putin ha espresso la speranza di poter congratularsi con Trump per una sua possibile elezione alla Casa Bianca, confermando l’interesse della Russia verso eventuali piani di mediazione per risolvere la crisi ucraina.

Putin e Trump: dialogo in vista?

Secondo quanto riportato dall’agenzia Ria Novosti, Putin ha dichiarato di essere pronto ad avviare un colloquio diretto con Trump per discutere della situazione. Questa apertura, resa pubblica, segnala una disponibilità da parte di Mosca a esplorare opzioni diplomatiche che potrebbero emergere con l’eventuale ritorno di Trump alla presidenza degli Stati Uniti.

Uno scenario di negoziati

L’iniziativa di Trump e la disponibilità al dialogo da parte di Putin arrivano in un contesto complesso, in cui le tensioni tra Russia e Ucraina non accennano a diminuire. Trump, che in passato ha vantato rapporti positivi con Putin, ha manifestato la sua volontà di agire come mediatore nel conflitto, cercando un equilibrio tra le parti in guerra.

Le prospettive future

La possibilità di un dialogo diretto tra Putin e Trump potrebbe rappresentare un passo importante verso la distensione. Tuttavia, molti interrogativi rimangono su come gli Stati Uniti, la NATO e l’Ucraina potrebbero reagire a un eventuale accordo mediato da Trump, considerando la complessità delle alleanze e delle politiche internazionali coinvolte.

Con una situazione in continua evoluzione, gli occhi della comunità internazionale sono puntati sul possibile ritorno di Trump alla Casa Bianca e sulle prospettive di un cambiamento nelle dinamiche del conflitto ucraino.

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