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Esteri

La nuova frontiera della politica estera Usa

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Il ciclone Trump sta per abbattersi su un mondo in crisi e senza più punti di riferimento. La proiezione internazionale degli Stati Uniti è destinata a cambiare in fretta, in profondità e in una maniera talmente tangibile ed evidente che costringerà l’Europa a riflettere con concretezza, e in tempo reale, sul suo ruolo e sul suo futuro. Prima di tutto è necessario spazzare via un equivoco di fondo: l’Ucraina e il Medio Oriente – i temi centrali del dibattito in Europa – non sono in cima all’agenda di politica estera di Donald Trump.

Da Obama in poi, tutti gli inquilini della Casa Bianca hanno ritenuto che la vera sfida per Washington sia quella con la Cina. E questo è diventato ancor più vero con i repentini cambiamenti geopolitici avviati dall’invasione russa in Ucraina e con i tentativi dell’asse Pechino-Mosca di costruire un nuovo ordine internazionale, con il coinvolgimento del Sud globale, contrapposto al ‘sistema occidentale’. La pressione di Trump sulla Cina quindi crescerà velocemente e sarà, nel migliore dei casi, una dura guerra commerciale fatta di dazi, di difesa delle materie prime e dello sviluppo delle nuove tecnologie. Tutto questo con il grande punto interrogativo del futuro di Taiwan, che potrebbe portare la sfida politico-commerciale ad avere anche inquietanti aspetti militari.

Nella consapevolezza di questa priorità americana, l’Europa non ha molto da aspettarsi dal tycoon. La ricetta delle nuove relazioni transatlantiche è già scritta: Trump preferirà i rapporti bilaterali a quelli con l’Ue e i 27 dovranno essere capaci di mantenere la loro già precaria coesione evitando tentazioni nazionali; i rapporti commerciali diventeranno meno fluidi con la possibilità reale di dazi verso molti prodotti europei; il rispetto della richiesta di partecipazione alle spese per la difesa e per la Nato (con il limite minimo del 2% del Pil) diventerà una linea invalicabile per gli Usa. Da tutto questo l’Europa può salvarsi soltanto accelerando, con convinzione, il percorso verso politiche comuni a cominciare dalla politica estera e di difesa e portando avanti le necessarie riforme istituzionali (stop al voto all’unanimità) che consentano velocità e agilità nei processi decisionali. Legato a filo doppio a questo tema c’è il dossier ucraino.

Trump ha promesso la pace in tempi brevi. Il sospetto è che il nuovo presidente americano punterà alla scambio tra pace e territori. Kiev dovrebbe rinunciare ai territori conquistati dai russi in cambio di un ‘congelamento’ della guerra. Sembra un obiettivo difficile da raggiungere ma Trump conta sulla velata minaccia di uno stop alla fornitura delle armi all’Ucraina e di nuove sanzioni a Putin, con il quale pensa di avere un rapporto migliore di quello che aveva Biden. Comunque vada, sicuramente l’Europa dovrà guardare al conflitto ai suoi confini orientali con occhi diversi, anche se il ventilato ‘disimpegno’ americano potrebbe avere alcuni limiti: se Trump vuole concentrarsi sull’area dell’Indopacifico avrà bisogno di avere stabilità in Europa e pochi problemi nel resto dello scacchiere internazionale.

Anche per questo il nuovo presidente americano proverà a forzare la situazione in Medio oriente per cercare una tregua a Gaza, in Libano e nelle tante proxy war incrociate nella regione. Trump confermerà la sua grande vicinanza a Netanyahu, avrà una postura più aggressiva verso l’Iran e consoliderà i rapporti con i Paesi sunniti del Golfo a cominciare dall’Arabia Saudita. Uno dei suoi obiettivi è quello di far ripartire gli accordi di Abramo anche con un’intesa tra Riad e Tel Aviv, saltata per l’attacco di Hamas del 7 ottobre. Anche qua la sfida è particolarmente ardua, ma Trump conta sugli eccellenti rapporti con il premier israeliano. Abu Mazen si è detto certo che ‘Trump sosterrà le aspirazioni dei palestinesi’ ma probabilmente non si tratta di una priorità della nuova Casa Bianca in questo angolo di mondo. Questi cambiamenti avverranno in modo veloce. L’Europa deve attrezzarsi adesso, accelerando il suo dibattito interno sapendo che quello che sta arrivando sarà un mondo nuovo dove, ad esempio, l’Onu perderà ancora prestigio e dove il tema dei cambiamenti climatici potrebbe trovare un nuovo stop. Gli Usa, con tutta probabilità, usciranno di nuovo dagli accordi di Parigi. Trump sta arrivando.

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La mappa Usa si tinge di rosso, tutti i numeri

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L’America si tinge di rosso. Donald Trump torna alla Casa Bianca con una vittoria che si profila a valanga e mette un’ipoteca sul Congresso grazie ad un successo massiccio ai quattro angoli del Paese. Ecco tutti i numeri delle presidenziali, con i dati aggiornati alle 15.30 italiane.

* VOTO POPOLARE E AFFLUENZA – Trump è il primo repubblicano a vincere il voto popolare negli ultimi vent’anni. Non accadeva dal 2004, quando George W. Bush ottenne 62.040.610 voti contro i 59.028.444 del candidato democratico John Kerry. Secondo le proiezioni a spoglio ancora in corso, l’ex presidente americano è al 51% del voto popolare con 71.342.200 voti, contro il 47,4% e i 66.249.505 di Kamala Harris. Nel 2020, i voti totali furono oltre 155 milioni, di cui 81.283.501 per Joe Biden e 74.223.975 per Trump.

* COLLEGIO ELETTORALE – Quando sono ancora da assegnare ufficialmente gli Stati in bilico di Arizona, Michigan e Nevada, il tycoon ha conquistato già 276 grandi elettori, contro i 223 di Kamala Harris.

* STATI – L’ex presidente Usa ha incassato sinora 27 Stati, contro i 18 della candidata democratica. Restano ancora da assegnare cinque Stati.

* SENATORI E DEPUTATI – Dei 100 senatori, ad ora i repubblicani ne hanno 52, contro 42 dei democratici. Mentre alla Camera i repubblicani sono avanti con 204 deputati contro i 182 democratici (la maggioranza è di 218 su un totale di 435).

* GOVERNATORI – Delle 11 gare per eleggere i nuovi governatori di altrettanti Stati Usa i repubblicani ne hanno vinte 8, i democratici 3. Il Grand Old Party si conferma in Montana con Greg Gianforte, in Utah con Spencer Cox, in Vermont con Phil Scott. E ancora la repubblicana Kelly Armstrong vince in North Dakota, Mike Kehoe in Missouri, Mike Braun in Indiana, Patrick Morrisey in West Virginia, in New Hampshire con Kelly Ayotte. I democratici invece conquistano lo Stato di Washington con Bob Ferguson, il Delaware con Matt Meyer, e il North Carolina, dove Josh Stein sconfigge il controverso attuale governatore Mark Robinson.

* REFERENDUM SULL’ABORTO – La questione dell’aborto era sulle schede elettorali in 10 Stati. Gli elettori di sei Stati americani hanno approvato misure per proteggere o espandere i diritti all’interruzione di gravidanza, mentre in Florida c’è stato un flop del referendum per il mancato quorum e resta in vigore il divieto di aborto dopo le sei settimane. L’emendamento volto a revocare il divieto quasi totale di aborto nel Missouri, dove la maggioranza degli elettori ha sostenuto Donald Trump, sembra destinato alla vittoria.

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Trump è il 47esimo presidente degli Stati Uniti d’America

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Donald Trump diventa il 47esimo presidente degli Stati Uniti d’America, secondo Fox News che per prima ha dato per vittorioso il tycoon nella corsa alla Casa Bianca, assegnandogli lo Stato chiave della Pennsylvania e anche il Wisconsin. E secondo i media, a scrutinio ancora in corso il candidato repubblicano è proiettato a vincere anche il voto popolare, cosa che per un candidato presidenziale repubblicano non succedeva dal 2004 con George W. Bush. Salito sul palco del convention center di Palm Beach con la famiglia al completo, tra i cori del pubblico ‘Usa Usa’, il tycoon ha rivendicato la presidenza sottolineando che “stasera abbiamo fatto la storia”.

Questa “è una magnifica vittoria che ci consentirà di rendere l’America di nuovo grande. Questo è un movimento mai visto prima, questo è il più grande movimento della storia”, ha detto sottolineando che “vincere il voto popolare è bello” e rivendicando la conquista del Senato. Trump ha quindi promesso di portare una nuova “età dell’oro” negli Stati Uniti, mentre sul palco, il suo futuro vice JD Vance ha evidenziato che quello di stanotte “è stato il più grande comeback (rimonta) della storia americana”.

Notte fonda invece per Harris, che intanto vince il Minnesota ma comunica che non parlerà stasera alla Howard University, dove i suoi sostenitori erano in attesa dei risultati del voto. Trump sarà il primo presidente a ricoprire due mandati presidenziali non consecutivi dopo il dem Stephen Grover Cleveland (a fine ‘800), il primo con una condanna penale e il presidente più vecchio ad insediarsi, a 78 anni.

La sua è considerata una vera e propria impresa senza precedenti, perché è riuscito a tornare alla Casa Bianca sfidando ogni regola del politicamente corretto, sopravvivendo a due impeachment, vari processi, due condanne penali e vari scandali. Dopo l’assalto al Capitol, sembrava un leader politico finito, abbandonato anche dal suo partito, che invece è riuscito a riconquistare. Tra le prime reazioni in Usa, quella dello speaker della Camera Mike Johnson, che subito dopo la ‘call’ della Fox si è congratulato con il “presidente eletto” Donald Trump.

All’estero, dove la corsa alla Casa Bianca era seguita col fiato sospeso per le ripercussioni sui grandi dossier internazionali, Parigi è stata tra le prime capitali a reagire, con il portavoce del governo francese che ha sottolineato come ora, l’Europa deve “prendere in mano il proprio destino” in un certo numero di settori chiave, dalla difesa alla reindustrializzazione e decarbonizzazione. Macron si è detto “pronto a lavorare insieme” con “rispetto e ambizione”. Ma intanto, ha annunciato insieme al cancelliere tedesco Olaf Scholz uno “stretto coordinamento” Parigi-Berlino, proprio a seguito del voto Usa.

In Italia la premier Giorgia Meloni si congratula su X “a nome mio e del Governo italiano” con “il presidente eletto degli Stati Uniti: Italia e Stati Uniti sono Nazioni ‘sorelle’, legate da un’alleanza incrollabile, valori comuni e una storica amicizia. È un legame strategico, che sono certa ora rafforzeremo ancora di più. Buon lavoro Presidente”. E Matteo Salvini saluta la vittoria del tycoon Trump in un messaggio su Instagram: “Lotta all’immigrazione clandestina e taglio delle tasse, radici cristiane e ritorno alla pace, libertà di pensiero e no ai processi politici. Anche negli Usa vincono buonsenso, passione e futuro! Buon lavoro, Presidente Donald Trump”.

Da Budapest, il primo ministro ungherese Viktor Orban – l’unico leader europeo a tifare esplicitamente per il tycoon – ha celebrato “il più grande ritorno nella storia politica degli Stati Uniti” e “una vittoria necessaria per il mondo”. Da Pechino, la portavoce del ministero degli Esteri Mao Ning, ha auspicato una “coesistenza pacifica” con Washington. A Mosca, la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha affidato a Telegram un criptico messaggio apparentemente riferito al voto americano: “Vince chi vive di amore per il proprio Paese e non di odio verso gli stranieri”. Il premier israeliano, Benyamin Netanyahu, si è congratulato con Trump per “il più grande ritorno della storia”.

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Melania posta la foto di Barron su X: il suo primo voto per il papà

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Melania Trump ha postato su X la foto del figlio Barron al seggio. “Ha votato per la prima volta, per suo papà”, ha detto l’ex first Lady aggiungendo l’hashtag #18yearsold, 18 anni.

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