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I mercati hanno già votato, ‘scommessa su Trump’

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Gli investitori hanno già piazzato la loro scommessa: Donald Trump sarà il nuovo presidente degli Stati Uniti. Prova ne è il fatto che nell’ultimo mese i titoli e gli asset che dovrebbero beneficiare di una sua vittoria hanno corso molto: dal bitcoin al social del tycoon Truth, da Tesla dell’alleato Elon Musk fino all’oro e al dollaro. E corre anche Wall Street, che vede con favore il taglio delle tasse alla Corporate America. “Anche se i sondaggi sono vicinissimi e ad oggi è impossibile dare un vincitore, il mercato si è portato molto avanti puntando su Trump.

Gli investitori sono piuttosto fiduciosi che possa vincere e che possa farlo prendendo sia la Camera che il Senato”, ha dichiarato Alberto Tocchio, head of global equity and thematics di Kairos Partners Sgr. I segnali di quella che – alla luce dei margini risicati e dei sondaggi degli swing States – ha i contorni di una scommessa si leggono un po’ ovunque. Wall Street, a cui piace la promessa di Trump di abbassare le tasse, arriva all’appuntamento del 5 novembre “con la performance migliore di sempre dell’indice S&P in un anno elettorale”, sottolinea Tocchio. Il taglio dei tassi di 50 punti base della Fed è stato completamente assorbito dal rialzo di 60 punti dei rendimenti dei Treasury, espressione dei rischi inflattivi delle politiche trumpiane sui dazi. Il bitcoin, che ha nel tycoon un estimatore, si è spinto a un passo dal record storico di 73 mila dollari. Discorso analogo per l’oro, bene rifugio in caso di inflazione e rischi geopolitici.

Le scommesse su Trump e la forza dell’economia Usa, che allontano la prospettiva di drastici tagli dei tassi, hanno regalato al dollaro la migliore performance mensile in due anni. Così come i panieri di titoli legati al ‘Trump trade’ hanno sovraperformato quelli di aziende più esposte a Kamala Harris. Ma non tutti festeggiano. L’Europa, insieme alla Cina, è l’area geografica che “rischia di essere maggiormente penalizzata” da una vittoria di Trump, afferma Tocchio. “Un republican sweep (vittoria sia di Camera che Senato, ndr) darebbe al governo il più ampio raggio d’azione per implementare tariffe più alte e tasse sulle imprese più basse”, secondo Bank of America. Che predica “cautela verso i settori europei con la più alta esposizione alle vendite negli Usa”.

Auto, meccanica, aerei, tecnologia, prodotti per i consumatori, potrebbero essere molte le aziende europee che verranno colpite dai dazi di Trump. Che potrebbe azzoppare anche un altro settore, quello delle rinnovabili. Un paniere di Ubs composto da aziende europee che beneficiano dell’Ira (il piano di Biden per stimolare la transizione energetica), da società di energia rinnovabile e aziende che vanno bene in un contesto di relazioni commerciali regolari ha perso il 10% in un mese. Sulle Borse la volatilità “sarà altissima”, anche perché il mercato arriva “carico” all’appuntamento, dopo un anno di forti rialzi e nel pieno della stagione delle trimestrali, dice Tocchio. Ai risparmiatori conviene “non farsi influenzare dei primi movimenti”. Dopo un anno a “bassa volatilità” occorrerà “trattenere il respiro e tornare a investire dopo che la situazione sarà più chiara”.

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I milioni segreti che imbarazzano Carlo e William

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Due imperi immobiliari capaci di generare milioni ‘segreti’ per la monarchia britannica, in primo luogo per re Carlo III e l’erede al trono William, grazie alle proprietà più diverse sparse in tutto il Regno Unito. Così un’inchiesta giornalistica del Sunday Times e del programma Dispatches di Channel 4 ha svelato quanto era stato “gelosamente custodito” – come scrive il giornale – anche rispetto alle richieste di trasparenza arrivate dal Parlamento, e gettato ombre di imbarazzo sulla Royal Family per l’attività dei due fondi che fanno capo direttamente al sovrano e al primogenito: l’anno scorso hanno prodotto entrate per almeno 50 milioni di sterline (60 milioni di euro) tramite l’affitto a (caro) prezzo di mercato di proprietà dei loro possedimenti privati a istituzioni pubbliche vitali per i sudditi, specie i meno abbienti, incluse scuole e strutture del servizio sanitario nazionale (Nhs).

La lente dei giornalisti è finita su più di 5400 tra immobili e terreni del Ducato di Lancaster, gestito dal re attraverso i suoi rappresentanti, e del Ducato di Cornovaglia, tesoro di casa Windsor amministrato dall’erede: per questo l’inchiesta intitolata ‘Il Re, il Principe e i loro milioni segreti’ viene anche definita col termine “Duchy Files” (i file del ducato). Fra gli accordi riservati è emerso quello col trust del Guy’s and St Thomas’ Hospital di Londra, uno dei più importanti ospedali pubblici della capitale, che si è impegnato a versare nelle casse del Ducato di Lancaster più di 11 milioni di sterline per 15 anni di pigione riguardante locali adibiti ad autorimesse per ambulanze.

Mentre il Ducato di Cornovaglia, si è aggiudicato fra l’altro entrate per 37 milioni, spalmate su 25 anni, dal ministero della Giustizia per l’affitto di una sua singola struttura che ospita il carcere di Dartmoor, affollato penitenziario di categoria C nella contea inglese meridionale del Devon. Inoltre dai Duchy Files è emerso in tutta la sua vastità come il sovrano e l’erede al trono, sempre tramite i loro fondi, guadagnino entrate nei modi più disparati: dal pedaggio per ponti, ai traghetti, alle fognature, alle turbine eoliche, ai pub e alle distillerie fino alle miniere, ai parcheggi e ai cimiteri. Sul suo sito web, il Ducato di Lancaster afferma che “è completamente autofinanziato e non fa affidamento sul denaro dei contribuenti”.

E il Ducato di Cornovaglia sottolinea di “non essere un ente pubblico, né finanziato dai contribuenti”. Questo però contrasta coi risultati dell’inchiesta, in cui si ricorda anche come i guadagni siano di fatto esentasse. Perfino il ministero della Difesa ha sborsato al ducato del principe di Galles negli ultimi 20 anni almeno 900.000 sterline per il diritto di ormeggiare barche nelle acque circostanti il Britannia Royal Naval College di Dartmouth, dove in passato hanno frequentato il corso di cadetti della marina sia Carlo III che William. I contratti in questione rispettano “la legislazione e tutte le regole in vigore nel Regno Unito”, si è affrettata a precisare una portavoce del Ducato di Lancaster. “La nostra organizzazione è un’impresa immobiliare privata con priorità commerciali”, ha ricordato da parte sua una fonte del Ducato di Cornovaglia.

Ma queste dichiarazioni non fermano le polemiche attorno alle rivelazioni riprese dai media del Regno. Nei giorni scorsi, fra l’altro, in un articolo sul magazine Prospect firmato dal suo direttore Alan Rusbridger, in passato alla guida del Guardian, era stato criticato con forza il mistero dietro i tanti proventi ricevuti dalla famiglia reale. Se i due ducati sono entità private, i reali percepiscono ogni anno dal Tesoro (e quindi dai contribuenti) una percentuale dei proventi generati dalla Crown Estate, il patrimonio della Corona, come appannaggio di Stato (sovereign grant) garantito per il finanziamento delle attività ufficiali e per la gestione delle residenze: nel 2025 la sovvenzione sarà di 132 milioni di sterline. Se la monarchia resta molto popolare tra i britannici allo stesso tempo si sente crescere una richiesta di maggiore trasparenza in ambito economico, ancor di più dopo che il governo laburista ha presentato una manovra finanziaria con 40 miliardi di sterline in aumenti fiscali per sostenere gli investimenti pubblici.

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La guida alla notte elettorale Usa ora per ora

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La maratona elettorale dell’Election Day del 5 novembre negli Stati Uniti inizia domattina quando in Italia sarà già mezzogiorno con l’apertura dei primi seggi sulla East Coast (ma in alcune municipalità del Maine le urne aprono alle 11 italiane) e attraversa sei fusi orari, dall’Atlantico al Pacifico, con la reale possibilità che siano necessari giorni – forse più dei quattro del 2020 – per decretare il prossimo presidente americano. A meno ovviamente che non si verifichi una (inaspettata) onda rossa o blu che consegni un vincitore chiaro sin da subito: in questo caso il risultato potrebbe arrivare già tra le 2 e le 3 del mattino di mercoledì 6 novembre in Italia. Ecco gli orari italiani della chiusura dei seggi nei vari Stati, dalla East Coast alle Hawaii.

* 1.00 DI MERCOLEDÌ 6 NOVEMBRE – Chiudono i seggi in sei Stati, incluso quello chiave della Georgia (che assegna 16 grandi elettori), oltre a Indiana, Kentucky, South Carolina, Vermont e Virginia. * 1.30 – Chiudono i seggi in North Carolina (uno degli Stati in bilico con 16 grandi elettori), ma anche in West Virginia e in Ohio. * 2.00 – Sono complessivamente 17 gli Stati Usa in cui chiudono i seggi, inclusa la cruciale Pennsylvania, che mette in palio 19 grandi elettori, il premio più ambito tra gli ‘swing states’. Tra gli altri ci sono Oklahoma, Missouri, Tennessee, Mississippi, Alabama, Florida, Maine, New Hampshire, Massachusetts, Rhode Island, Connecticut, New Jersey, Delaware, Maryland e la capitale Washington. Se Trump si aggiudicasse anche la Pennsylvania dopo Georgia e N. Carolina con ogni probabilità avrebbe vinto, altrimenti si dovrà aspettare ancora un’ora. * 3.00 – E’ la possibile ora della verità. Chiudono i seggi in 15 Stati, dal Texas, roccaforte repubblicana, a tre Stati chiave: Arizona, Wisconsin e Michigan. E ancora Wyoming, North Dakota, South Dakota, Nebraska, Iowa, Kansas, Louisiana, New Mexico, Colorado, Minnesota e New York. * 4.00-5.00 – Alle 4 ora italiana urne chiuse in altri tre Stati, tra cui Utah, Montana e soprattutto l’ultimo in bilico, il Nevada. Alle 5 invece chiudono California, Oregon, Washington e Idaho. * 6.00-7.00 – Alle 6 del mattino chiudono le Hawaii, alle 7 l’Alaska, l’ultimo Stato americano.

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Fuga di notizie, arrestato portavoce ufficio di Netanyahu

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Eliezer Feldstein, portavoce dell’ufficio di Benyamin Netanyahu, è stato arrestato e interrogato diversi giorni fa dallo Shin Bet per le fughe di notizie riservate provenienti dall’ufficio del premier israeliano. Lo riporta Ynet. Il nome del sospettato è stato annunciato dopo che un ordine restrittivo sulle informazioni è stato revocato dal tribunale di Rishon LeZion. “Ci potrebbe essere stato un danno alla capacità delle agenzie di sicurezza di raggiungere l’obiettivo di liberare gli ostaggi”, secondo il giudice. Feldstein avrebbe dato a media internazionali informazioni riservate per favorire la propaganda israeliana.

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