Collegati con noi

Esteri

Georgia al bivio, battaglia tra filo-russi e europeisti

Pubblicato

del

Bidzina Ivanishvili (nella foto in evidenza) guarda Tbilisi dall’alto. Dalla sua enorme villa di vetro e cemento che, da un’altura, sovrasta il centro storico della capitale, solitamente tappezzato di bandiere blu-stellate disegnate sui muri. E’ lui, l’uomo più ricco e potente della Georgia. Il filo conduttore che ha legato il Paese alla Russia. Il ‘Conte di Montecristo’ – come è soprannominato – che ha mosso la politica locale con levantina maestria e risorse infinite, accumulate in Russia nell’era delle privatizzazioni. Sabato il partito da lui fondato, Sogno Georgiano, dovrà affrontare la sua sfida più difficile: confrontarsi con una popolazione che, a suon di manifestazioni, chiede un rapido avvicinamento all’Ue e uno stop immediato alla deriva anti-democratica che il governo ha imboccato negli ultimi mesi. Le elezioni parlamentari che la Georgia si prepara a vivere sono uno spartiacque che potrebbe diventare drammatico. Molto dipenderà da quanto prenderà Sogno Georgiano – che esprime il primo ministro Irakli Kobakhidze – e dalle possibili, consequenziali, accuse di frode elettorali.

Il fatto che in Georgia si voti solo una settimana dopo il referendum che, per un soffio, ha visto vincere gli europeisti in Moldavia, non riduce la tensione. Tbilisi, negli ultimi mesi, sembra vivere una strana schizofrenia, in bilico tra una popolazione giovane, dinamica, all’avanguardia, smaccatamente anti-russa e filo-Ue e un governo che con Mosca non ha mai voluto e potuto allentare i rapporti. La Russia, di fatto, è ancora lì, e a un tiro di schioppo dalla capitale è il dominus delle regioni autonome dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia, che Mosca invase nell’agosto del 2008, pochi mesi dopo quel vertice Nato di Bucarest in cui, per la prima volta, l’Occidente ipotizzò l’ingresso nell’Alleanza Atlantica dell’Ucraina e della Georgia governata da Mikheil Saakashvili, l’eroe della rivoluzione delle Rose. Ma non c’è stata solo l’ombra di Mosca ad animare le piazze di Tbilisi negli ultimi mesi.

Il governo ha infatti messo in campo una serie di norme che hanno allontanato il Paese dagli standard occidentali e dall’Europa. Nel marzo scorso è stata approvata la cosiddetta legge contro gli agenti stranieri che prevede che i media e le ong che ricevono almeno il 20 per cento dei propri fondi dall’estero debbano registrarsi come entità che “perseguono gli interessi di una potenza straniera”. Poche settimane fa, invece, è entrata in vigore la legge che mette al bando la propaganda Lgbt, forgiata sul modello di quella esistente in Russia.

Le proteste di piazza, in entrambi i casi, sono state veementi. E in entrambi i casi – il primo, soprattutto – ad opporsi alle due norme volute da Sogno Georgiano è stata la presidente della Repubblica Salomé Zourabichvili: cittadina franco-georgiana, stretta alleata di Ursula von der Leyen, Zourabichvili da tempo è in rotta con il governo e ultimo baluardo, agli apici del potere, delle istanze europeiste. E’ in questo contesto che la Georgia andrà al voto. Un contesto che l’International Society for Fair Elections and Democracy (Isfed) descrive “danneggiato da numerosi controlli e processi giudiziari” nei confronti dei cittadini, e con un panorama mediatico “fortemente polarizzato”.

“La manipolazione dei dati e la disinformazione pro-Russia sono diventate significativamente attive”, osserva ancora l’Isfed. Dall’altra il Cremlino ha denunciato “tentativi senza precedenti” di interferire nelle elezioni da parte dell’Occidente. Gli ultimi sondaggi danno in testa Sogno Georgiano al 34%, anche perché l’opposizione è divisa in quattro partiti. Ma, nel suo insieme, sarebbe in vantaggio. Il partito di governo negli ultimi tempi ha perso consensi. Bidzina, ex primo ministro nel 2012 ma soprattutto a capo di una fortuna (circa 5,5 miliardi di euro) che supera il bilancio di tutto il Paese, ci ha messo i soldi, come sempre. Questa volta potrebbero non bastare.

Advertisement

Esteri

Zelensky respinge Guterres dopo la visita a Putin

Pubblicato

del

Vladimir Putin addossa a Kiev la responsabilità per la mancata apertura di negoziati concreti per mettere fine al conflitto. Le autorità ucraine, afferma il presidente russo, avevano inviato una proposta negoziale attraverso la Turchia a Mosca, che l’aveva “accettata”, ma poi si sono tirate indietro.

L’Ucraina non commenta, ma fa sapere che il presidente Volodymyr Zelensky ha rifiutato di ricevere il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, che voleva andare a Kiev dopo avere incontrato Putin a Kazan a margine del vertice Brics. Con la sua visita il capo delle Nazioni Unite ha inflitto “un’umiliazione al diritto internazionale”, ha detto un funzionario ucraino all’agenzia Afp, mentre infuria la polemica per la foto in cui Guterres sembra quasi fare un inchino mentre stringe la mano al leader del Cremlino.

L’Ucraina rilancia intanto l’allarme sull’invio di militari nordcoreani in Russia, affermando che le prime truppe di Pyongyang saranno “schierate in combattimento già domenica”. L’intelligence di Kiev aveva detto in precedenza che le forze nordcoreane sarebbero state impiegate per respingere l’invasione di quelle ucraine nella regione russa di Kursk. Per quanto riguarda le mancate trattative, in un’intervista alla televisione di Stato Rossiya-1 Putin ha detto che Mosca aveva ricevuto un segnale da Kiev durante “un evento alle Nazioni Unite”, forse l’Assemblea generale dell’Onu del mese scorso. Secondo il capo del Cremlino, un consigliere del presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha telefonato da New York direttamente al consigliere presidenziale russo Yuri Ushakov trasmettendogli “una proposta a nome della parte ucraina”.

“Noi abbiamo accettato ma il giorno dopo il capo del regime ucraino (il presidente Zelensky, ndr) ha dichiarato pubblicamente che non ci sarebbero state trattative”. Secondo il presidente russo, quello di Kiev è un “comportamento irrazionale e difficilmente prevedibile”, che rende “impossibile fare alcun piano”. Anche se, ha aggiunto, l’Occidente sta cominciando a valutare il conflitto in Ucraina in modo più “realistico”, e per questo deve essere “elogiato”. Il consigliere turco, precisano le agenzie russe, era Ibrahim Kalin, portavoce di Erdogan fino al 2023 e attualmente capo dei servizi d’intelligence. Putin ha aggiunto che durante l’incontro bilaterale avuto mercoledì a margine del vertice Brics, Erdogan ha fatto nuove “proposte” per riprendere i negoziati sulla navigazione nel Mar Nero e “alcune altre questioni”.

Probabilmente tra le “altre questioni” rientrano gli scambi di prigionieri, sulle quali Putin nutre delle “aspettative”, secondo quanto riferito da Erdogan al rientro da Kazan. Le voci su possibili negoziati corrono parallele ai proclami di guerra. Putin ha detto che le forze russe sono all’offensiva lungo tutto il fronte, e hanno circondato 2.000 ucraini nella regione di Kursk. Un’affermazione, quest’ultima, respinta come “palese disinformazione” dal comandante delle forze ucraine, Oleksandr Syrskyi. Quanto alle truppe nordcoreane che secondo gli ucraini dovrebbero essere impiegate proprio nel Kursk, né Putin né Pyongyang hanno smentito la notizia. “Se c’è una cosa del genere di cui parlano i media mondiali, penso che sia un atto conforme alle norme del diritto internazionale”, ha dichiarato il vice ministro degli Esteri nordcoreano Kim Jong-gyu.

Il presidente russo ha invece richiamato, come aveva fatto ieri, l’articolo 4 dell’accordo di cooperazione militare bilaterale, aggiungendo che è una “decisione sovrana” della Russia decidere, insieme alla Corea del Nord, in quali casi e come attivarlo. Il Cremlino, tra l’atro, non ha escluso una visita a Mosca del leader nordcoreano Kim Jong-un il prossimo anno. Intanto l’agenzia di intelligence sudcoreana ha fatto sapere che una delegazione del governo di Seul sarà lunedì a Bruxelles per condividere informazioni con funzionari della Nato e della Ue sulle truppe nordcoreane in Russia.

Continua a leggere

Esteri

Il Wall Street Journal svela le relazioni pericolose Musk-Putin

Pubblicato

del

L’uomo più ricco del mondo, il più grande finanziatore della campagna di Donald Trump e uno dei maggiori fornitore di servizi al governo degli Stati Uniti ha avuto “contatti regolari” con Vladimir Putin e altre figure di primo piano del Cremlino. Lo rivela il Wall Street Journal citando funzionari americani, europei e russi secondo i quali le conversazioni tra lo zar e il patron di Tesla e SpaceX spaziavano da “fatti personali” a questioni economiche e geopolitiche. A un certo punto, secondo le fonti citate dal giornale, Putin avrebbe addirittura chiesto a Musk di “non attivare” il suo servizio di satelliti Starlink a Taiwan “per fare un favore” al leader cinese Xi Jinping.

Se fosse confermata, a dieci giorni dalle elezioni americane, la notizia sarebbe inquietante sotto diversi punti di vista. Intanto il miliardario ha una serie di contratti in corso con il Pentagono e le agenzie di intelligence Usa, alcuni dei quali su operazioni classificate. In secondo luogo, attraverso la piattaforma X, ha un potere di influenza straordinario nella società americana; e, ultimo ma non ultimo, Musk è diventato uno dei più grandi sostenitori del candidato repubblicano alla Casa Bianca, ovvero il potenziale nuovo presidente degli Stati Uniti. In passato il magnate ha negato di simpatizzare per Mosca sostenendo di aver parlato con Putin solo una volta, nell’aprile 2021, di argomenti legati allo spazio.

Circostanza, quest’ultima, confermata dal portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, che invece ha definito la notizia del Wsj “totalmente falsa”, citando solo una telefonata tra i due “prima del 2022” per parlare di “tecnologie visionarie e soluzioni per il futuro”. All’inizio dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia si è schierato al fianco di Volodymyr Zelensky e ha donato i terminali Starlink che hanno aiutato notevolmente le truppe ucraine. Ma il suo punto di vista si è progressivamente spostato su posizioni filorusse nel corso della guerra, come quando a settembre del 2022 ha negato agli ucraini l’uso dei suoi terminali per guidare i droni nell’attacco ad una base navale russa in Crimea.

Musk ha poi spiegato di aver imposto le restrizioni perché Starlink è destinato ad usi civili e temeva che qualsiasi attacco alla Crimea avrebbe potuto innescare una guerra nucleare. Nell’ottobre dello stesso anno ha preso la bizzarra iniziativa di lanciare su X il voto su un piano di pace per l’Ucraina che rifletteva alcuni punti della proposta russa, inclusa l’occupazione della Crima e la neutralità di Kiev fuori dalla Nato. Fu proprio allora, rivela una delle fonti, che tra il miliardario e il leader del Cremlino cominciarono i contatti che sono andati avanti fino ad oggi.

Continua a leggere

Esteri

Media,in raid IDF uccisi reporter di emittenti filo-Hezbollah

Pubblicato

del

Nell’attacco israeliano che ha ucciso almeno tre giornalisti che alloggiavano in una guesthouse insieme ad altri reporter, sono stati uccisi un cameraman e un ingegnere che lavoravano per l’emittente filo-iraniana Al-Mayadeen e un cameraman che lavorava per Al-Manar, di Hezbollah. Lo riportano i media libanesi. Altri reporter presenti sulla scena affermano che il bungalow in cui dormivano i membri di quelle emittenti e’ stato preso di mira direttamente dai raid israeliani.

L’emittente televisiva panarabo Al Mayadeen ha confermato che un suo cameraman e’ stato ucciso durante un attacco aereo israeliano su una residenza che ospitava giornalisti nella citta’ di Hasbaiya, nel Libano meridionale, durante la notte. Nell’attacco, che sembra aver preso di mira gli operatori dei media, sarebbero rimasti uccisi anche altri due giornalisti. L’omicidio e’ avvenuto due giorni dopo che Israele ha effettuato un attacco aereo contro un ufficio di proprieta’ di Al Mayadeen, che e’ politicamente alleato di Hezbollah e ha sede a Beirut.

“Al Mayadeen ritiene l’occupazione israeliana responsabile dell’attacco a un noto ufficio stampa di un noto organo di stampa”, aveva affermato Al Mayadeen TV, in seguito all’attacco israeliano al suo ufficio alla periferia della periferia meridionale di Beirut. Due giornalisti di Al Mayadeen che stavano documentando le attivita’ militari lungo il confine meridionale del Libano con Israele sono stati uccisi in un attacco israeliano il 21 novembre 2023, riferisce Al Jazeera.

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto