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Politica

Corte dei Conti, Associazione Magistrati: “Riforma cancella la Corte”

Convocata l’assemblea generale. Possibile agitazione nei prossimi giorni.

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Alcuni emendamenti al progetto di legge Foti paventano una sostanziale cancellazione della Corte dei conti come prevista dalla Costituzione. Si sta cercando di paralizzare una magistratura che da oltre un secolo è al servizio dei cittadini e lavora nell’esclusivo interesse del Paese.

È quanto emerge da una nota durissima della Giunta esecutiva dell’Associazione Magistrati della Corte dei conti.

I recenti sviluppi del progetto di legge Foti stravolgono la struttura stessa della Corte dei conti, cancellando definitivamente ogni possibilità di incidere sulla corretta gestione delle risorse pubbliche. L’Associazione Magistrati della Corte dei conti denuncia proposte emendative gravissime che sopprimono le procure territoriali, centralizzano l’azione erariale, sterilizzano il regime della prescrizione e gettano le basi per una separazione delle carriere.

Inoltre, si criticano l’introduzione di discutibili test psicoattitudinali e la riorganizzazione delle sezioni regionali e centrali tramite accorpamenti che snaturano il disegno costituzionale e privano i territori di fondamentali presidi di legalità, proprio mentre si va verso un rafforzamento dell’autonomia regionale.

Entro la prossima settimana è stata convocata l’assemblea generale degli associati, e si preannuncia lo stato di agitazione dei magistrati contabili.

“Serve un giudice terzo e imparziale per garantire trasparenza, efficienza e correttezza nella spesa pubblica. Svuotare la Corte dei conti delle sue funzioni è un grave errore che tradisce il patto sociale e crea massima impunità a chi agisce con disonestà e interessi personali”, conclude la nota della Giunta esecutiva dell’Associazione.

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Economia

Arriva la manovra, è scontro su pensioni e sanità

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A più di una settimana dal varo, la legge di bilancio arriva in Parlamento. Contiene le annunciate misure per ridurre le tasse ai lavoratori e aiutare le famiglie. Aumentano i promessi “sacrifici” a carico di banche e assicurazioni, ci sono i tagli ai ministeri e il tetto agli stipendi dei manager degli enti. Ma è sulla sanità che si consuma lo scontro: le risorse deludono i sindacati dei medici che proclamano lo sciopero. E anche l’aumento delle pensioni minime fa discutere: per gli anziani con l’assegno più basso – calcolano i sindacati – sono appena 10 centesimi al giorno. Il testo della legge di bilancio, chiuso ieri notte al Ministero dell’Economia, è stato firmato in mattinata dal Capo dello Stato, prima dell’invio alle Camere. La manovra vale 30 miliardi per il 2025, conferma la premier Giorgia Meloni, che torna all’attacco del Superbonus (senza – dice – “avremmo potuto” ampiamente “aumentare le minime” con “20mila euro per ogni pensionato”) e rivendica: si concentra sulle priorità, “lavoro, salari, famiglia e sanità e lo fa senza aumentare le tasse e mantenendo i conti in ordine”.

E poi dal prossimo anno, con maggiori risorse – dice facendo implicito riferimento al concordato – la sfida è quella di ridurre gli scaglioni del ceto medio. Nei 144 articoli del disegno di legge si spazia dal nuovo meccanismo per rafforzare le busta paga dei dipendenti (arriva un bonus fino a 20mila euro e meccanismo fiscale a decalage fino a 40mila euro) alla stretta sulle detrazioni per chi ha un reddito oltre i 75mila euro con quoziente familiare, dal tetto ai compensi per gli enti alle risorse per i contratti pubblici, dall’estrazione aggiuntiva per il Superbonus al restyling dei bonus edilizi, fino alle pensioni, con la proroga di Quota 103, Ape sociale e Opzione donna. Sul fronte previdenziale c’è anche l’aumento delle pensioni minime, che dal 2025 salgono del 2,2% a 617,9 euro: tre euro in più dai 614,77 attuali. Ma senza un’intervento sarebbero calate, scese a 604 euro. La Uil pensionati fa i calcoli: i pensionati si dovranno “accontentare di 10 centesimi al giorno per il 2025 e probabilmente circa 4 centesimi per il 2026”. “Un’elemosina senza pudore”, la definisce il leader M5s Giuseppe Conte.

Ma la stangata arriva anche per la sanità, denunciano le opposizioni. La manovra stanzia 1,3 miliardi per il 2025 e risorse per i contratti. Promettendo assunzioni dal 2026. Per i sindacati dei medici e degli infermieri non basta: si “conferma la riduzione del finanziamento rispetto a quanto annunciato”, denunciano Anaao, Cimo e Nursing Up, che il 20 novembre incroceranno le braccia e scenderanno in piazza. E’ confermata “una batosta clamorosa per il servizio sanitario nazionale”, accusa la segretaria Dem Elly Schlein. Per Avs è una manovra perversa, che si accanisce contro chi ha di meno. Dalla maggioranza la senatrice di Fi Licia Ronzulli difende l’intervento per le banche: nessun intervento punitivo, sono “soldi liquidi, che verranno usati per la sanità”. Il contributo per le banche si concretizza nel rinvio delle deduzioni sulle Dta con cui il governo conta di incassare 4 miliardi nel 2025 e 2026: un “sacrificio” per le banche, che però non si tradurrà in “un aumento dei costi”, assicura il presidente dell’Abi Antonio Patuelli.

Le assicurazioni dovranno pagare annualmente l’imposta di bollo sulle polizze vita. I sacrifici a carico dei ministeri si traducono in 7,7 miliardi di tagli in 3 anni, con lo sforzo maggiore a carico, come sempre, del Mef. Una stretta arriva anche per la Rai, che dal 2026 dovrà ridurre la spesa per personale e consulenza. Non compare invece nel testo l’annunciata conferma del taglio del canone da 90 a 70 euro. Per la Pa arriva quindi la stretta sul turn over (nel limite del 75% nel 2025) mentre la scuola dovrà fare i conti con i tagli per docenti e personale Ata. Con il testo depositato in Parlamento si apre l’iter di conversione. Che quest’anno, per l’alternanza, parte dalla Camera. I parlamentari avranno un ‘tesoretto’ da 120 milioni per le modifiche. “Chiederemo alla maggioranza di limitare gli emendamenti”, fa sapere il ministro per i rapporti con il Parlamento Luca Ciriani, che spera di arrivare all’ok definitivo “prima di Natale”. L’anno scorso non ci si riuscì: nonostante il diktat imposto alla maggioranza di non presentare emendamenti, il disco verde arrivò il 29 dicembre.

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In Evidenza

Francesco Spano si dimette dopo dieci giorni da Capo di Gabinetto del Ministro della Cultura

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Il mandato di Francesco Spano come Capo di Gabinetto del Ministro della Cultura, Alessandro Giuli, è durato appena dieci giorni. In tarda mattinata, Spano ha rassegnato le dimissioni, come anticipato dal Fatto Quotidiano, a causa delle pressioni politiche che hanno seguito la sua nomina al posto di Francesco Gilioli e in vista di un’inchiesta di Report che andrà in onda domenica prossima. La trasmissione, condotta da Sigfrido Ranucci, ha annunciato un servizio su due nuovi casi Boccia legati al Ministero della Cultura, circostanza che ha accelerato la decisione di Spano di lasciare il suo incarico.

Nel presentare le dimissioni, Spano ha scritto una lettera al Ministro Giuli, ringraziandolo per la fiducia riposta e spiegando che la decisione è stata frutto di una “sofferta riflessione” a causa del “contesto venutosi a creare”, che ha comportato anche “sgradevoli attacchi personali”. Nella sua lettera, Spano sottolinea come questi attacchi gli abbiano tolto la serenità necessaria per svolgere al meglio il ruolo. “Nell’esclusivo interesse dell’Amministrazione, pertanto, ritengo doveroso da parte mia fare un passo indietro”, si legge nella missiva.

Il Ministro Alessandro Giuli ha accolto le dimissioni “con grande rammarico”, spiegando di averle “respinte più volte” nei giorni precedenti. “A lui va la mia convinta solidarietà per il barbarico clima di mostrificazione cui è sottoposto in queste ore”, ha dichiarato Giuli, esprimendo stima e gratitudine per la professionalità e l’umanità dimostrate da Spano.

Le polemiche intorno alla nomina

Spano era stato nominato lo scorso 14 ottobre dopo che Giuli aveva allontanato Gilioli, una decisione che ha causato malumori all’interno di Fratelli d’Italia e la reazione negativa del Presidente del Senato, Ignazio La Russa. In particolare, la scelta di Spano è stata contestata a causa di un precedente risalente al 2017, quando Spano, all’epoca a capo dell’Unar (Ufficio governativo per le discriminazioni razziali), fu criticato per alcuni finanziamenti concessi a un’associazione Lgbt. Allora, per evitare ulteriori polemiche, Spano si dimise.

Le critiche sono riemerse con forza nei giorni successivi alla nomina, alimentate da una campagna mediatica condotta da testate vicine alla destra, tra cui La Verità e giornalisti come Francesco Borgonovo, Mario Giordano e Nicola Porro, sostenuti da associazioni Pro-Vita, che hanno persino lanciato una sottoscrizione per chiedere le dimissioni di Spano.

Le tensioni interne e la goccia finale

Le tensioni sono state evidenti anche all’interno delle chat di Fratelli d’Italia, dove si sono verificati episodi di omofobia, come nel caso del coordinatore del Municipio IX di Roma, Fabrizio Busnengo, che ha utilizzato insulti omofobi contro Spano. Busnengo è stato successivamente espulso dalla chat e si è dimesso dal suo ruolo.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso sarebbe stata l’anticipazione di Sigfrido Ranucci su due nuovi casi Boccia che coinvolgerebbero il Ministero della Cultura, aggravando ulteriormente la situazione di Spano. Alla luce di tutto ciò, Spano ha deciso di evitare un “massacro mediatico” quotidiano e fare un passo indietro.

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Politica

Spano, dalle polemiche all’Unar fino al Mic

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È durata solo dieci giorni, passati tra le polemiche, l’esperienza di Francesco Spano al ministero della Cultura come capo di gabinetto. Già la sua nomina, decisa dal ministro Alessandro Giuli poco dopo il suo insediamento, era finita nel mirino dei gruppi Pro Vita, che lo avevano attaccato per una vicenda che nel 2017 lo aveva portato a dimettersi dall’Unar, l’Ufficio Nazionale Anti Discriminazioni Razziali. In quell’occasione furono Le Iene a scoprire un finanziamento di 55mila euro verso l’Andoss, un’associazione Lgbtq+ che però gestiva un locale a luci rosse, che vedeva – secondo quanto sostenuto dal programma – lo stesso direttore dell’Unar tra i tesserati. Dalla vicenda Spano uscì pulito, ma comunque fu costretto a dimettersi. Intentò anche una causa nei confronti del programma di Italia 1, avanzando accuse di diffamazione, lesione della propria reputazione, dignità, onore e riservatezza: addebiti che a maggio 2024 il Tribunale di Grosseto ha rigettato, condannandolo a risarcire circa 30mila euro alla trasmissione.

Avvocato, 47 anni, toscano, è stato sempre apprezzato come manager pubblico sin dai primi incarichi con il ministro Giuliano Amato e con il gruppo del Pd alla Camera. Il suo rapporto con gli ambienti dem prosegue anche successivamente con l’approdo alla segreteria generale del Maxxi tra il 2015 e il 2017. In quell’anno arriva alla Human Foundation di Giovanna Melandri come segretario generale, incarico che mantiene fino al 2022 quando torna al museo romano, allora guidato proprio da Melandri. È in questo periodo che si verifica il conflitto di interesse denunciato da Report, che ha portato alle sue dimissioni. Nel 2018 la Human Foundation offre una consulenza legale all’avvocato e compagno di Spano, Marco Carnabuci, che nel medesimo periodo ottiene una nomina a consulente legale anche dal Maxxi. “Carnabuci – sottolinea il programma – fino ad oggi ha sempre ottenuto il rinnovo della consulenza legale da parte del Maxxi, anche quando nel 2022 Francesco Spano è stato richiamato a fare il segretario del museo durante la presidenza di Giuli”. Nel curriculum di Spano, anche una consulenza per l’ufficio di presidenza di Federculture, l’associazione sindacale delle imprese culturali, tra il febbraio 2020 e il settembre 2021, impegni da docente a Roma Tor Vergata e allo Iulm e diverse pubblicazioni sui temi dei diritti umani e della persona.

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