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Economia

Affitti brevi, c’è tempo fino a gennaio per il codice

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Continuano a crescere le richieste del Codice Identificativo Nazionale (Cin), con cui tutte le strutture ricettive turistiche e gli immobili destinati a locazioni brevi per finalità turistiche devono essere identificati per la promozione e la pubblicità dell’offerta di ospitalità, ma il processo non è ancora completo in nessuna delle 20 regioni italiane, anzi nella maggior parte supera appena il 50%, con ritmo assai diverso tra una realtà e l’altra, passando dal picco in alto della Basilicata a quota 76,53% al fanalino di coda Friuli Venezia Giulia al 27,18%. Secondo i dati del ministero del Turismo, ad oggi, su 538.674 strutture registrate in Italia sono 278.278 i Cin rilasciati corrispondenti al 51,66% del totale. E anche per questo motivo gli operatori tirano un sospiro di sollievo quando in mattinata viene annunciata la proroga.

“Per garantire una transizione più efficace – dice la ministra del Turismo Daniela Santanchè – e supportare le imprese nel passaggio alle nuove disposizioni, il ministero ha prorogato i termini per l’adeguamento fino a gennaio 2025, anche al fine di evitare di incorre in sanzioni come previsto dalla riforma. Ancora una volta questo governo porta avanti le proprie azioni ascoltando il settore e venendo incontro alle sue esigenze”.

“Con riferimento alla procedura per la richiesta e l’attribuzione del codice identificativo nazionale, in considerazione della finalità della Banca Dati delle Strutture Ricettive – spiega il ministero -, volta in particolare ad assicurare la tutela della concorrenza e della trasparenza del mercato, la sicurezza del territorio e il contrasto a forme irregolari di ospitalità e visto l’obiettivo di garantire sia il buon funzionamento dell’innovativo sistema di interoperabilità tra banche dati, sia l’affidabilità e la sicurezza dei portali telematici sui quali vengono pubblicati gli annunci, è emersa l’opportunità di uniformare il termine entro cui i soggetti interessati hanno l’obbligo di munirsi del Cin che deve, pertanto, intendersi fissato nella data del 1 gennaio 2025, pena l’applicazione delle sanzioni previste dalla citata norma”.

“Apprezziamo che sia stata accolta la nostra richiesta di proroga dei termini” dice il presidente Aigo Confesercenti Claudio Cuomo spiegando che “purtroppo, però, sono ancora troppi i titolari di strutture che evidenziano difficoltà, in molte Regioni ci vengono ancora segnalate anomalie nell’attribuzione del Cin a causa di problemi nella fase di interscambio delle informazioni tra le Banche Dati regionali e la Banca Dati nazionale”. “Registriamo positivamente questa proroga, che si aggiunge ai chiarimenti sui nuovi obblighi forniti dal ministero nelle scorse settimane. Resta il problema di un adempimento, quello del Cin, che si aggiunge, anziché sostituirsi, a quelli analoghi stabiliti su base regionale e locale” spiega Confedilizia.

“Confidiamo che la proroga tecnica che è stata concessa sino al 1 gennaio 2025 risulti sufficiente al fine di completare le operazioni, rilasciando il Cin a tutte le strutture già registrate in banca dati (a partire da quelle che pur avendo presentato la richiesta sono in stand by a causa delle informazioni errate presenti in anagrafica) e inserendo nel data base quanti ancora non sono presenti” commenta invece Federalberghi. Giambattista Scivoletto, founder di Bed-and-breakfast.it, accoglie con favore la proroga, ma tuttavia definisce “fondamentale che le regioni accelerino l’elaborazione delle richieste, considerando che molte strutture sono ancora in attesa di una risposta. Confidiamo in un impegno organizzativo che permetta a tutti di raggiungere l’obiettivo con successo entro la nuova scadenza”.

Parla infine di “azione di buon senso che avevamo fortemente sollecitato al ministro” il presidente nazionale Abbac Agostino Ingenito: “Resta fondamentale tutelare i viaggiatori e gli operatori in regola, il comparto ricettivo extralberghiero è ormai un asse economico rilevante sui territori ed in alcuni è l’unico comparto che garantisce ospitalità”. Questa la classifica delle regioni con la percentuale di Cin rilasciati rispetto al numero di strutture registrate: Basilicata: 76,53% Campania: 62,41% Molise: 62,33% Trentino Alto Adige: 59,96% Valle d’Aosta: 58,97% Lazio: 58,13% Lombardia: 57,24% Sardegna: 56,54% Emilia Romagna: 54,72% Umbria: 53,99% Toscana: 52,64% Piemonte: 52,28% Calabria: 51,92% Sicilia: 50,96% Veneto: 48,47% Puglia: 45,64% Abruzzo: 45,55% Liguria: 44,15% Marche: 44,03% Friuli Venezia Giulia: 27,18% Fonte: ministero del Turismo (https://bdsr.ministeroturismo.gov.it/mappa-italia aggiornato al 22/10/2024).

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Asta record per i Btp, ordini per 200 miliardi di euro

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Ordini per 200 miliardi di euro, un record italiano e al secondo posto in Europa, per 13 miliardi di Btp. Per di più all’indomani di una giornata di forte tensione per i titoli di Stato europei. I dati del Tesoro disegnano una corsa degli investitori ad accaparrarsi i succosi rendimenti del debito italiano, prima che questi vengano falciati da nuovi tagli dei tassi da parte della Banca centrale europea. E sui maxi-ordini per l’asta effettuata tramite un sindacato di banche, quindi non aperta al pubblico dei risparmiatori, giocano un ruolo anche le grandezze della manovra e del Piano strutturale di bilancio che tratteggiano un atteggiamento di buona volontà di fronte ai richiami a mettere in traiettoria discendente il debito italiano, ormai prossimo alla soglia dei 3.000 miliardi di euro.

E che fanno incassare al Mef una quasi-promozione da parte di Fitch, una delle principali agenzie di rating, che venerdì ha alzato a ‘positiva’ da ‘neutrale’ la prospettiva sul rating dell’Italia, BBB, grazie a un “piano fiscale credibile” e a una “situazione politica stabile”. Valutazioni che sono piaciute agli investitori nel collocamento sindacato affidato ai bookrunner Deutsche Bank, Goldman Sachs, Imi-Intesa Sanpaolo, Jp Morgan, Morgan Stanley e Nomura. Già stamani lo spread Btp-bund era partito stabile a circa 122 punti base, mettendosi alle spalle la forte tensione vista ieri, quando una pioggia di vendite si era abbattuta sui titoli di Stato europei – incluso il bund tedesco – facendo volare lo spread di oltre 10 punti base sul ridimensionamento dell’ipotesi di un taglio dei tassi da mezzo punto da parte della Bce a dicembre.

Nonostante la volatilità nell’aria, al Tesoro hanno ritenuto ci fossero le condizioni per far partire il collocamento sindacato già oggi. A fronte di 10 miliardi offerti dal Mef per il nuovo Btp benchmark a sette anni Novembre 2031, e dei tre miliardi della riapertura del trentennale Ottobre 2054, gli ordini hanno totalizzato circa 206 miliardi complessivi. Un livello record in Italia che sbriciola il massimo storico di domanda, 130 miliardi, del mese scorso sul trentennale. Il secondo valore più alto in un’emissione ‘dual tranche’ in Europa dopo i titoli Sure lanciati dall’Unione europea quattro anni fa. Un collocamento che ha consentito al Mef di risparmiare qualcosa su un collocamento sindacato, tipicamente più costoso che nelle aste regolari: secondo le indiscrezioni sarebbe di appena sette punti base lo spread pagato sul sette anni rispetto ai tassi di mercato, e di nove sul trentennale.

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Economia

Istat, nel 2023 il debito italiano al 134,8% del Pil

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Il debito pubblico italiano, misurato al lordo delle passività connesse con gli interventi di sostegno finanziario in favore di Stati membri della Uem, è stato nel 2023 pari a 2.868.411 milioni di euro, ovvero al 134,8% del Pil, 3,5 punti percentuali in meno rispetto al 138,3% del 2002. Il deficit si è attestato invece al 7,2% del Pil contro l’8,1% del 2022. Lo rende noto l’Istat informando di aver trasmesso i dati alla Commissione europea in applicazione del Protocollo sulla procedura per i disavanzi eccessivi. Il dato del debito è leggermente superiore alla stima fornita il 23 settembre, pari al 134,6%.

Il saldo primario (indebitamento netto al netto della spesa per interessi) è risultato negativo e pari al -3,5% del Pil, con un miglioramento di circa 0,5 punti percentuali rispetto al 2022. La spesa per interessi che, secondo le attuali regole di contabilizzazione, non comprende l’impatto delle operazioni di swap, è stata pari al 3,7% del Pil, mostrando una decrescita di -0,4 punti percentuali rispetto al 2022. I dati del debito delle amministrazioni pubbliche per gli anni 2020-2023, precisa l’Istat, sono quelli pubblicati dalla Banca d’Italia e sono coerenti con il Sistema europeo dei conti (Sec 2010).

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Crisi in Fenice: tensioni tra i soci e futuro incerto per il marchio Chiara Ferragni

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Tempi stretti per risolvere la crisi che sta scuotendo Fenice, la società proprietaria dei marchi Chiara Ferragni. L’imprenditrice-influencer, che detiene il 32,5% del capitale, è coinvolta in una disputa con i suoi soci, Paolo Barletta (40%) e Pasquale Morgese (27,5%). La tensione crescente tra i tre sta mettendo a rischio il futuro del gruppo Ferragni.

Disputa legale in corso

Al centro della disputa ci sono lettere legali inviate da Morgese, che richiede urgentemente una rendicontazione dell’andamento della società e la convocazione di un’assemblea per approvare il bilancio 2023, ancora assente. La mossa di Morgese, secondo fonti vicine alla società, è vista come una “intimazione discutibile”, ma indica che il socio pugliese non intende restare “bloccato” nel capitale di Fenice, mentre sembra che Alchimia, la società di Barletta, sia pronta a vendere la sua quota a Chiara Ferragni.

Le lettere legali contengono anche minacce di revoca del consiglio di amministrazione (attualmente composto da Ferragni e Barletta) e di azioni legali per responsabilità sociale, con eventuali richieste di risarcimento milionarie. Queste minacce potrebbero portare a un intervento drastico, come il ricorso al tribunale per la nomina di un amministratore giudiziario, in base all’articolo 2409 del codice civile, che permette di denunciare amministratori sospettati di gravi irregolarità.

Futuro della Governance di Fenice

Nonostante le tensioni, sia Ferragni che Barletta sembrano consapevoli della necessità di risolvere rapidamente la situazione. Pare infatti che un accordo per ridisegnare la governance della società sia imminente, con l’obiettivo di garantire stabilità e prospettive future. Si prevede che entro ottobre verranno prese decisioni importanti, inclusa la convocazione dell’assemblea richiesta da Morgese, per evitare ulteriori azioni legali.

Un altro possibile scenario è la nomina di un manager esterno che possa gestire la situazione, riducendo così il conflitto tra Barletta e Ferragni, che sono attualmente in trattativa per la compravendita del 40% della società.

Valore di Fenice e il marchio Chiara Ferragni

Un nodo cruciale rimane la valutazione di Fenice e, di conseguenza, del marchio Chiara Ferragni. Il valore della società è centrale per determinare il prezzo delle quote di Barletta e Morgese. Tuttavia, senza un bilancio recente, risulta difficile stabilire con precisione il valore attuale della società.

A pesare sulla valutazione ci sono anche i rapporti con i licenziatari dei marchi Ferragni: alcuni contratti potrebbero essere sospesi, risolti o in contenzioso, ma non ci sono informazioni certe al riguardo. È chiaro che i tempi d’oro, quando Chiara Ferragni riusciva a trasformare ogni prodotto firmato o postato in fatturato, sembrano essere passati.

Le prossime due-tre settimane saranno decisive per il futuro di Fenice e per il marchio Ferragni, in attesa di risposte concrete e di una possibile ridefinizione degli assetti societari.

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