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Politica

Manovra, verso aumento pensioni minime a 621 euro

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Le pensioni minime nel 2025 dovrebbero aumentare del 2,7% rispetto al trattamento minimo prima della maggiorazione (598,61 euro) e dell’1% dell’inflazione del 2024: arriverà così – secondo alcune fonti – a 620,92 euro rispetto ai 614,77 di quest’anno. Nella manovra inoltre dovrebbe essere introdotta la possibilità di usare i fondi integrativi alimentati con il Tfr per consentire di andare in pensione a coloro che non hanno raggiunto l’importo dell’assegno sociale con il sistema contributivo e andare così in pensione di vecchiaia a 67 anni.

L’intervento sulle pensioni minime dovrebbe riguardare oltre 1,8 milioni di assegni. L’aumento del 2,7% che era stato deciso per il 2024 non viene quindi annullato (per evitare che gli assegni di fatto si riducano) ma prorogato anche per il 2025. Il trattamento minimo prima dell’incremento (598,61 euro) avrà quindi l’incremento dell’inflazione (1% al momento), arrivando a 604,6 euro. Su questi 604,60 sarà calcolato il 2,7% per arrivare così a 620,92 euro euro. In pratica si mantiene l’incremento avuto l’anno scorso e oltre a questo si recupera l’inflazione. Dovrebbero poi essere confermate le regole previste a partire da quest’anno per l’accesso a Ape sociale, Opzione donna e Quota 103. in particolare per l’ultima misura la stretta sulle regole, ovvero il calcolo interamente contributivo per l’assegno, il limite di quattro volte il trattamento minimo fino all’arrivo all’età di vecchiaia e l’allungamento delle finestre mobili, i ha fatto sì che le richieste crollassero.

La possibilità di usare i fondi integrativi per arrivare all’importo dell’assegno sociale necessario per andar in pensione di vecchiaia a 67 anni per chi ha versato contributi solo a partire dal 1996 ed è quindi interamente nel calcolo contributivo che dovrebbe essere introdotta nella manovra riguarderà probabilmente pochissime persone dato che proprio chi ha stipendi più bassi tende a iscriversi meno alla previdenza integrativa. Sembra invece tramontata per l’opposizione della Ragioneria la possibilità di usare il Tfr versato nei fondi pensione per anticipar la pensione a 64 anni raggiungendo un assegno pensionistico pari ad almeno tre volte l’assegno sociale. Ci saranno inoltre incentivi fiscali per chi deciderà di restare al lavoro pur avendo maturato i requisiti per la pensione anticipata con Quota 103 e chiederà di avere in busta paga la quota di contributi a carico del dipendente (il 9,19%) avendo l’assegno pensionistico che terrà conto di quanto non versato.

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Decreto atteso al Colle, appello su rimpatri rispunta

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Rispunta la possibilità di inserire il ricorso in Corte d’Appello contro le ordinanze del Tribunale sul trattenimento dei migranti nei centri per il rimpatrio. Era uno dei punti chiave della “soluzione” che voleva Giorgia Meloni per evitare nuove ordinanze come quelle dei giudici di Roma sui migranti trattenuti nel cpr in Albania, ma sembrava destinata a saltare quando il Consiglio dei ministri ha varato il decreto legge con cui l’indicazione dei Paesi sicuri per il rimpatrio diventa norma di primo grado. All’indomani della riunione, una fitta interlocuzione fra Palazzo Chigi, Viminale, ministero della Giustizia e Quirinale ha poi spalancato le porte del provvedimento alla norma, che non dovrebbe essere ostativa alla firma di Sergio Mattarella. Una notizia positiva per la premier, nel secondo anniversario del suo governo.

“Se mi guardo indietro, penso soprattutto che non mi sono mai risparmiata”, ha detto in un videomessaggio celebrativo rivendicando fra i risultati i conti dello Stato “messi in sicurezza” e “record storici” sull’occupazione. Il suo umore, raccontavano i meloniani, in mattinata non era però dei migliori. Sperava di tenere la conferenza stampa sulla manovra, poi rinviata in attesa della manovra stessa. Fra la telefonata con il presidente della Tunisia Kais Saied (con cui ha parlato anche di cooperazione migratoria) e quella con il turco Recep Tayyip Erdogan (invitato nel 2025 per un vertice intergovernativo Italia-Turchia), si è trovata a fare i conti con le anticipazioni di Report su un “nuovo caso Boccia” al ministero della Cultura ora guidato da Alessandro Giuli, a cui Meloni potrebbe aver già chiesto lumi sulle rivelazioni in arrivo. Il tutto accompagnato dall’idea che sul decreto legge appena varato si potesse fare di più. Perché, è un ragionamento che si fa in ambienti dell’esecutivo, toccare solo l’aspetto dei Paesi sicuri rischia di non risolvere l’ostacolo posto dalle recenti sentenze alla strategia dei rimpatri accelerati e dell’hotspot albanese.

L’impugnazione in Appello, infatti, comporta una rivalutazione della causa nel merito, e quindi – una delle osservazioni dietro la genesi della novità – ha più chance di ribaltare le ordinanze dei tribunali, a differenza di quella puramente di legittimità prevista dalla Cassazione. Che ora riceve questo genere di ricorsi, e dovrà affrontare anche quello attivato dal Viminale contro le ordinanze sui 12 migranti trasportati a Bari dopo la mancata convalida del trattenimento a Gjader per il rimpatrio. A questo puntava Meloni. E senza quella norma non poteva essere soddisfatta del decreto, su cui come spesso accade si è lavorato anche dopo il Cdm. A Palazzo Chigi sono stati fatti ragionamenti giuridici e politici, valutando l’impatto di entrambi gli scenari. Già in Consiglio dei ministri era emersa la sensazione che toccare solo la lista dei Paesi sicuri rischiava di non bastare per cambiare il trend delle ordinanze. Fra le considerazioni fatte ai piani alti del governo nel corso della giornata, anche il timore che questa norma potesse apparire una forzatura difficile da far passare al vaglio del presidente della Repubblica.

O accendere ulteriormente la tensione con il mondo della magistratura. Si è valutata anche la possibilità di accantonarla, e ripresentarla per via parlamentare sotto forma di emendamento durante l’esame tra Camera e Senato. Poi, però, è prevalsa l’intenzione di insistere subito. E, come è emerso nel tardo pomeriggio, non ha trovato controindicazioni particolari nel confronto fra gli uffici legislativi coinvolti. Il testo definitivo dovrebbe essere inviato a ore al Quirinale. Già si sta valutando la possibilità, una volta pubblicato in Gazzetta ufficiale, di traslare questo provvedimento sotto forma di emendamento al decreto sui flussi migratori, ora all’esame dell’Aula della Camera: anche su questo serviranno interlocuzioni. Quel decreto, tra l’altro, ha a sua volta ripristinato il reclamo in Corte d’Appello (abolito nel 2017) contro i provvedimenti dei Tribunali distrettuali sulle richieste d’Asilo. Una scelta che “renderebbe assolutamente ingestibili i settori civili”, come hanno obiettato neanche dieci giorni fa i presidenti delle Corti d’Appello, sollevando criticità legate alla riduzione di organico dei loro uffici e allo “sconvolgimento” di “un assetto ormai consolidato che ha assicurato un’adeguata tutela dei diritti”.

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Report riparte e Ranucci promette “un nuovo caso Boccia con le alte sfere di Fdi”

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Una partenza esplosiva. La promette il conduttore di Report, Sigfrido Ranucci, dando alcune anticipazioni delle inchieste che andranno in onda domenica sera alla ripartenza del programma su Rai3 e che potrebbero avere conseguenze a livello politico. La prima è quella su un nuovo caso Boccia al ministero della Cultura, che non riguarda però la gestione dell’ex ministro Gennaro Sangiuliano. “Non riguarda Boccia, ma come modalità di operazione è un caso simile – rivela Ranucci a Un Giorno da Pecora -. Potrebbe essere al maschile. Riguarda sempre il ministero della Cultura, ma Sangiuliano non c’entra”. Se nella vicenda che ha portato alle dimissioni dell’ex direttore del Tg2 sono stati solo scalfiti altri esponenti del partito della premier Giorgia Meloni, questa volta le cose potrebbero andare diversamente.

“Ci sono documenti e chat – fa sapere il conduttore – che farebbero ipotizzare responsabilità legate ad alte cariche di Fratelli d’Italia”. Il giornalista non vuole dire di più per il momento, ma il pensiero va alla prima nomina decisa da Giuli tra qualche polemica: la rimozione del capo di gabinetto Francesco Gilioli e la sua sostituzione con Francesco Spano. Il ministro è stato anche convocato dalla procura di Roma che ha aperto un’indagine dopo la denuncia di Sangiuliano nei confronti di Maria Rosaria Boccia. La Repubblica ha riportato indiscrezioni secondo cui Gilioli potrebbe essere stato rimosso per aver passato alcuni documenti riservati proprio a Report. “A noi non risulta che ci abbia passato documenti – assicura Ranucci -. Però da giornalista io chiedo ai miei, nel rapporto di fiducia, chi è la fonte e se uno di loro ha come fonte il capo di gabinetto e non lo rivela questo non lo so. Giuli ha detto che ha delle prove, non se riguardano i rapporti con Report. Se ce l’ha, le mostrasse. A noi al momento non risulta”.

Così come al conduttore “non risulta” che lo stesso abbiano fatto Boccia e i suoi legali. Fatto sta che le rivelazioni potrebbero avere conseguenze anche per Giuli, tanto che il sito Dagospia ipotizza che si possa arrivare alle sue dimissioni. “Dimissioni? Non lo so”, si limita a dire il conduttore. Oggi i giornalisti erano pronti a chiederlo direttamente al ministro, che avrebbe dovuto partecipare alla presentazione di una mostra sul Vasari al ministero, ma Giuli non ha partecipato ufficialmente per altri impegni. In attesa di conoscere i dettagli di questa inchiesta, è in scaletta un altro caso che potrebbe far discutere.

“Una seconda Cutro, tenuta nascosta”, sintetizza Ranucci. Una nuova tragedia del mare avvenuta recentemente che avrebbe provocato circa 65 morti. “Qualcuno se ne è accorto e, per evitare l’effetto Cutro, li ha sparpagliati”, spiega il conduttore, annunciando che nella puntata si cercherà di individuare i responsabili. La trasmissione ha contattato all’estero un uomo che racconta di aver soccorso i migranti, descrivendo “una scena orribile”. Focus poi sulla vicenda giudiziaria che ha riguardato la Liguria, che andrà in onda proprio nel giorno delle elezioni regionali. “Tutti si riempiono la bocca col silenzio elettorale, ma questo non riguarda i giornalisti, riguarda i partiti. Ma io ho già la valigetta pronta per la commissione di Vigilanza Rai”, ironizza il conduttore.

Ranucci non nasconde, poi, l’irritazione per la collocazione della ripartenza del programma. “Quest’anno partiremo molto tardi con Report – afferma -. Qualcuno ha deciso in Rai di dare tutto lo spazio del lunedì a Giletti e Giletti ha fatto spostare Iacona che è venuto davanti a noi e ci hanno spostato come un pacco postale. Io comunque lo vedo come un atto di stima per Report: dove lo metto lo metto, fa bene”.

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Politica

Profilazione razziale in Italia: il Consiglio d’Europa critica le forze dell’ordine. Il Governo italiano si ribella

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L’Ecri, l’organo anti-razzismo e intolleranza del Consiglio d’Europa, ha denunciato che in Italia le forze dell’ordine praticano la profilazione razziale durante le attività di controllo e sorveglianza, con particolare riferimento alle comunità rom e alle persone di origine africana. Questa denuncia è contenuta nel rapporto aggiornato ad aprile 2024, in cui Strasburgo sottolinea che le autorità italiane non sembrano essere pienamente consapevoli del problema e non riconoscono la profilazione razziale come una forma di potenziale razzismo istituzionale.

Richieste di studio e monitoraggio

L’Ecri ha richiesto all’Italia uno studio completo e indipendente per identificare e affrontare queste pratiche discriminatorie. Nel documento si legge che, durante una visita in Italia, l’organo del Consiglio d’Europa ha raccolto numerose testimonianze di persone che riferiscono di essere state vittime di profilazione razziale da parte delle forze dell’ordine. Questo fenomeno colpisce in modo particolare le comunità rom e gli individui di origine africana. Il Consiglio d’Europa monitorerà se, entro due anni, le raccomandazioni saranno state implementate.

Il crescente clima di xenofobia e odio

Un’altra grave preoccupazione sollevata dall’Ecri riguarda il discorso pubblico in Italia, che negli ultimi anni è diventato sempre più xenofobo e divisivo, soprattutto nei confronti di rifugiati, richiedenti asilo, migranti e minoranze come le persone Lgbti. Il rapporto mette in evidenza come anche politici e funzionari pubblici di alto profilo abbiano rilasciato dichiarazioni cariche di odio, in particolare durante i periodi elettorali.

Le reazioni del Governo italiano

Le accuse mosse dall’Ecri hanno suscitato dure reazioni da parte del Governo italiano. La premier Giorgia Meloni, tramite i social, ha difeso le forze dell’ordine, affermando che “le forze di polizia italiane sono composte da uomini e donne che lavorano con dedizione e abnegazione per garantire la sicurezza di tutti i cittadini, senza distinzioni”.

Anche il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha espresso la sua indignazione, sottolineando come sia “inaccettabile” che un’organizzazione internazionale arrivi ad accusare le forze di polizia italiane di razzismo, lodando il loro impegno quotidiano per la sicurezza dei cittadini.

Le raccomandazioni dell’Ecri

L’Ecri, pur riconoscendo l’importanza del lavoro svolto dalle forze dell’ordine, raccomanda un impegno più deciso contro i discorsi d’odio, chiedendo ai politici di tutti gli schieramenti di assumere una posizione chiara e pubblica contro il razzismo e la lgbti-fobia. Suggerisce inoltre ai partiti politici di adottare codici di condotta che proibiscano l’uso di discorsi d’odio e prevedano sanzioni per chi li utilizza.

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