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Salute

Trapianto intero occhio, recupero vista più vicino

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Sta bene l’uomo di 46 anni che è stato il primo paziente al mondo a ricevere il trapianto combinato di viso e occhio intero, la dimostrazione vivente di come con le tecniche chirurgiche giuste si possa rendere possibile l’impossibile, ovvero trapiantare un intero occhio e mantenerlo vitale, con la speranza di ridare anche la vista con l’occhio trapiantato. Cruciale è stato l’utilizzo di una nuova tecnica detta di “bypass microvascolare”, che ‘dirottando’ alcuni vasi sanguigni del viso, ha permesso di mantenere il flusso sanguigno all’occhio trapiantato, una prima assoluta che ha consentito di salvaguardare la vitalità dell’occhio.

Messa a punto da un’équipe chirurgica guidata da Eduardo Rodriguez, direttore del programma di trapianto facciale presso NYU Langone Health, la tecnica ha permesso anche di preservare la capacità della retina di rispondere agli stimoli luminosi, sebbene in questa sede non vi fosse l’obiettivo del ripristino della visione, virtualmente la prossima sfida di queste tecniche di trapianto vascolarizzato composito, in cui si va a trapiantare una complessa combinazione di tessuti diversi – pelle, muscoli, vasi sanguigni, nervi e talvolta ossa – insieme. Anticipata di recente su JAMA, la straordinaria procedura senza precedenti sarà presentata al congresso dell’American College of Surgeons (ACS) da domani a San Francisco.

“È la prima volta che si riesce a trapiantare il complesso orbito-oculare” spiega Benedetto Longo, Associato della Cattedra e Scuola di Specializzazione in Chirurgia Plastica Ricostruttiva ed Estetica e del Master in Chirurgia Morfodinamica del Naso e Ringiovanimento Facciale dell’Università di Roma Tor Vergata. Longo è tra i primi chirurghi al mondo ad aver reso realtà il sogno del trapianto di faccia e proprio di recente ha partecipato con Rodriguez e altri colleghi, nell’ambito del 27esimo congresso della European Association of Cranio-Maxillo-Facial Surgery, ai lavori per stilare le prime raccomandazioni internazionali in quest’ambito ancora molto sperimentale dei trapianti. “Nel mondo sono stati fatti 50 trapianti di faccia negli ultimi 19 anni (il primo in Francia nel 2005) – precisa Longo che ha avuto un ruolo di primo piano nell’unico trapianto di faccia svolto in Italia nel 2018 – si tratta di una procedura di cui si sa ancora pochissimo”.

“Il lavoro – aggiunge – costituisce un avanzamento enorme nell’area dei trapianti perché il complesso orbito-oculare non era mai stato trasferito e, mai, prima pazienti di questo tipo avevano potuto ricevere un occhio vero, che per di più sembra reagisca agli stimoli sensoriali. Naturalmente – precisa Longo – siamo ancora in un’area fortemente sperimentale per poter affermare che ci muoviamo verso il ripristino della vista; non possiamo dire se e quando questo potrà avvenire; bisogna capire se la corteccia cerebrale in cui è collocata la funzione visiva riprenda a funzionare dopo parecchio tempo”. Dietro il traguardo medico c’è la storia di un uomo, Aaron James, un veterano militare di 46 anni dell’Arkansas che aveva tragicamente perso i tessuti del viso e del globo oculare sinistro dopo una lesione procurata da elettricità ad alta tensione. Il trapianto ha coinvolto un team multidisciplinare di oltre 140 professionisti medici.

Secondo i ricercatori, l’obiettivo primario era garantire la vitalità dell’occhio trapiantato, e le tecniche innovative utilizzate sono state fondamentali per raggiungere tale risultato. Il team ha sviluppato la tecnica di bypass microvascolare per mantenere il flusso sanguigno verso l’occhio trapiantato, utilizzando vasi sanguigni vicini, in particolare l’arteria e la vena temporale superficiale, ruotate per connettersi all’arteria e alla vena oftalmica dell’occhio trapiantato. Questo approccio innovativo ha ridotto al minimo l’ischemia retinica (perdita di flusso sanguigno) e ha contemporaneamente ripristinato il flusso sanguigno verso il viso e l’occhio, affrontando una delle maggiori sfide nei trapianti oculari.

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Salute

Campagna contro il fumo, oncologi: aumentare prezzo delle sigarette per finanziare la sanità italiana

In Italia, ogni anno, il fumo è responsabile di circa 90.000 decessi, un dato preoccupante che ha spinto l’Associazione Italiana Oncologia Medica (AIOM) a rilanciare una campagna contro il tabagismo.

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Durante un convegno organizzato dall’Associazione Italiana contro le Leucemie, Linfomi e Mieloma a Roma, il presidente dell’AIOM, Francesco Perrone, ha proposto un aumento di 5 euro a pacchetto di sigarette, destinando le entrate aggiuntive al Servizio Sanitario Nazionale.

Un “tesoretto” per la sanità

Secondo Perrone, l’aumento del prezzo delle sigarette potrebbe generare fino a 13 miliardi di euro all’anno per la sanità italiana, contribuendo a coprire i costi crescenti legati alle malattie oncologiche, cardiovascolari e respiratorie causate dal fumo. Questo incremento mirerebbe anche a ridurre il numero di fumatori, che attualmente rappresentano il 20-30% della popolazione.

Prevenzione e fattori di rischio modificabili

Oltre al fumo, altri fattori di rischio legati a stili di vita non salutari, come abuso di alcol, mancanza di attività fisica, obesità e scarso consumo di frutta e verdura, sono responsabili di circa il 40% dei casi di cancro. Questi fattori colpiscono principalmente le fasce più vulnerabili della popolazione, aggravando le diseguaglianze sociali.

Inquinamento e salute

Tra i fattori ambientali che contribuiscono all’aumento del rischio di tumori c’è anche l’inquinamento atmosferico. L’Agenzia Europea dell’Ambiente ha stimato che, nel 2022, circa 570.000 europei hanno avuto una morte precoce a causa dell’inquinamento dell’aria, con la Pianura Padana indicata come l’area più inquinata d’Europa.

Conclusioni

L’incremento del prezzo delle sigarette potrebbe avere un duplice effetto: dissuadere dal fumo e finanziare la sanità, fornendo risorse cruciali per affrontare le malattie correlate al tabagismo e all’inquinamento. La lotta contro il fumo rimane una delle principali sfide per migliorare la salute pubblica in Italia.

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In Evidenza

Febbre Oropouche, timori per trasmissione per via sessuale

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Non solo la puntura di zanzare e moscerini infetti. Anche i rapporti sessuali potrebbero essere veicolo di trasmissione della febbre Oropouche, l’infezione tropicale diffusa in Sud America e che quest’anno ha fatto registrare i primi casi in Italia. Ricercatori del dipartimento di Malattie Infettive, Tropicali e Microbiologia dell’Irccs Sacro Cuore Don Calabria di Negrar hanno infatti isolato – per la prima volta al mondo – il virus Oropouche nel liquido seminale di un viaggiatore italiano di ritorno da Cuba al quale era stata diagnosticata l’infezione. La scoperta è stata pubblicata sulla rivista Emerging Infectious Diseases.

“Sino a oggi sapevamo che questa infezione si trasmette da uomo a uomo soltanto in maniera indiretta, cioè attraverso la puntura di un insetto. La possibilità indicata dal nostro studio che l’infezione possa essere trasmessa tramite rapporti sessuali è un campanello d’allarme da non sottovalutare”, commenta Federico Giovanni Gobbi, direttore del Dipartimento di Malattie Infettive, Tropicali e Microbiologia dell’Irccs di Negrar e tra gli autori della pubblicazione. Dall’inizio dell’anno ai primi di settembre sono stati circa 10 mila i casi di febbre Oropouche nel mondo; il Brasile è il Paese più colpito. Due i decessi. Sono stati inoltre riscontrati diversi casi di trasmissione materno-fetale che sollevano preoccupazioni sul fatto che il virus, se contratto in gravidanza, possa causare danni al feto. In Italia sono stati registrati 5 casi, tutti contratti in viaggi all’estero. I ricercatori per il momento sono cauti: a oggi “non sono stati ancora descritti casi di trasmissione diretta interumana dell’infezione”, precisa Gobbi.

Tuttavia, questa modalità di trasmissione è stata già dimostrata per altri virus veicolati principalmente da vettori, come Zika. “È imperativo conoscere meglio questo virus sino ad oggi poco studiato”, dice Concetta Castilletti, responsabile dell’Unità di Virologia e Patogeni Emergenti dell’Irccs di Negrar e co-autrice della pubblicazione. “Per questo motivo, dopo aver isolato il virus lo abbiamo messo subito a disposizione, in un’ottica di condivisione e collaborazione, di alcuni dei più importanti laboratori italiani ed esteri, tra cui l’Istituto Superiore di Sanità, l’Istituto Spallanzani di Roma, l’Istituto di Medicina Tropicale di Anversa, il Netherlands Centre for Infectious Disease Control, il Charité Universitätsmedizin di Berlino”, conclude Castilletti.

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Salute

Immunizzazione universale contro il virus respiratorio sinciziale (VRS) per tutti i neonati in Italia

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A partire da novembre, tutti i neonati in Italia saranno immunizzati contro il Virus respiratorio sinciziale (VRS), una delle principali cause di bronchiolite e infezioni respiratorie gravi nei bambini. La Conferenza Stato-Regioni ha approvato un piano che prevede l’uso dell’anticorpo monoclonale Nirsevimab, efficace nel prevenire fino al 90% delle ospedalizzazioni. L’immunizzazione sarà estesa ai neonati nati nei 100 giorni precedenti (da fine luglio) e a quelli nati successivamente.

Dettagli del piano

Il piano coinvolgerà anche bambini fragili sotto i 24 mesi e potrà essere progressivamente esteso a tutta la coorte 2024 in base ai risultati. L’iniziativa è stata finanziata con una dotazione di 50 milioni di euro, che garantirà l’equità di accesso a tutte le regioni, grazie a un meccanismo di “cessione solidale” delle dosi tra le Regioni.

Il rischio del Virus Respiratorio Sinciziale

Il VRS è responsabile di 100mila decessi all’anno tra i bambini sotto i 5 anni nel mondo. In Italia, solo nel 2023, si sono registrati 15mila ricoveri per bronchiolite, di cui 3mila in terapia intensiva e 16 decessi. Il presidente della Società italiana di neonatologia, Luigi Orfeo, ha espresso soddisfazione per la misura, che garantirà una copertura iniziale del 75% dei neonati, con l’obiettivo di raggiungere una copertura totale.

Polemiche e sviluppi

Il piano di immunizzazione arriva dopo alcune polemiche emerse nelle scorse settimane, soprattutto riguardo alla somministrazione gratuita dell’anticorpo nelle regioni in difficoltà economica. Tuttavia, la svolta è arrivata con l’approvazione dell’intesa, che sancisce la protezione universale per tutti i neonati, non solo quelli fragili.

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