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Economia

L’economia illegale e sommersa supera i 200 miliardi

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Traffico di stupefacenti e prostituzione spingono a 19,8 miliardi l’economia illegale che, con un aumento di 1,2 miliardi, nel 2022 è tornata a superare i livelli pre-pandemia. Mentre il sommerso nel 2022 vale 181,8 miliardi, 16,3 miliardi in più dell’anno prima. E’ stabile invece il lavoro irregolare, pari a 2 milioni e 986mila ‘ula’, il criterio statistico delle unità di lavoro equivalenti al tempo pieno. Il quadro emerge dal report dell’Istat che aggiorna al 2022 l’analisi sulla “economia non osservata nei conti nazionali” che, nel complesso, tra sommerso e illegalità, rispetto al 2021 è aumentata del 9,6% a 201,6 miliardi. E’ una crescita parallela e in linea a quella del Pil.

Sul fronte delle attività illegali – rileva l’istituto di statistica – la crescita del 2022 è stata determinata per larga parte dalla dinamica del traffico di stupefacenti: il valore aggiunto ha raggiunto 15,1 miliardi, un miliardo in più rispetto al 2021, mentre la spesa per consumi finali è salita di 1,3 miliardi a quota 17,2 miliardi. “Nello stesso periodo si è registrata anche una crescita dei servizi di prostituzione”: nel 2022 il valore aggiunto è aumentato del 4,3% a 4 miliardi e i consumi finali sono aumentati del 4,0% a 4,7 miliardi”.

Il focus è anche sull’attività di contrabbando di sigarette che tuttavia “rimane marginale”, con 700mila euro di valore aggiunto e 800mila euro di consumi. L’indotto delle attività illegali è legato soprattutto a trasporti e magazzinaggio: il valore aggiunto è salito da 1,4 miliardi nel 2021 a 1,6 miliardi nel 2022. Il sommerso “aumenta per i professionisti ed è in forte riduzione nelle costruzioni”: è diffuso soprattutto nel settore degli ‘altri servizi alle persone’ (30,5% del valore aggiunto del comparto), del ‘commercio, trasporti, alloggio e ristorazione’ (18,5%) e delle costruzioni (17,5%).

La componente legata alla ‘sotto-dichiarazione’ ammonta a 100,9 miliardi mentre quella connessa all’impiego di lavoro irregolare è pari a 69,2 miliardi. In rapporto al Pil è una “dinamica decrescente”: “fra il 2014 e il 2017 si è registrata una lenta diminuzione del peso del sommerso, che si è assestato al 10,7% del Pil – spiega l’Istat -. Una seconda fase, dal 2017 al 2020, è stata contraddistinta da una accelerazione della dinamica in riduzione, che ha ulteriormente abbassato di 1,7 punti percentuali l’incidenza del sommerso sul Pil, portandola al 9,0%, livello al quale si è poi sostanzialmente stabilizzata negli anni seguenti”.

Il ricorso al lavoro irregolare da parte di imprese e famiglie “è una caratteristica peculiare del mercato del lavoro italiano”, ricorda l’Istat. E nel 2022 “è rimasto sostanzialmente stabile”. Ha una incidenza che resta più rilevante nel terziario (14,6%) e raggiunge livelli particolarmente elevati nel comparto degli ‘altri servizi alle persone’ (39,3%) “dove si concentra la domanda di prestazioni lavorative non regolari da parte delle famiglie. Molto significativa – indica ancora l’Istat – risulta la presenza di lavoratori irregolari in agricoltura (17,4%), nelle costruzioni (12,4%) e nel commercio, trasporti, alloggio e ristorazione (14,5%)”.

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Economia

In piazza per salvare l’auto. Urso, ‘convoco Stellantis’

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Fermare il declino dell’auto, difendendo tutti i posti di lavoro e rilanciando la produzione. A partire da Stellantis. I sindacati dei metalmeccanici Fim, Fiom e Uilm scendono in piazza a Roma insieme, con uno sciopero unitario del settore che non si vedeva da 30 anni. Con loro i leader di Cgil Cisl e Uil e anche dell’opposizione: Elly Schlein, Giuseppe Conte, Nicola Fratoianni, Angelo Bonelli, Carlo Calenda. Pressoché univoca la richiesta al governo di aprire un tavolo a palazzo Chigi con l’azienda. E in concomitanza con la manifestazione, la prima risposta arriva dal ministro delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso, che si dice pronto a convocare Stellantis. Il pressing però resta alto, insieme alla rabbia. “Noi siamo per il rispetto delle istituzioni. Ma la piazza dice una cosa precisa: è ora che si negozi a palazzo Chigi”, è la replica dal palco del leader della Fiom, Michele De Palma.

Dal corteo e da piazza del Popolo gli operai arrivati a Roma da tutta Italia – dai siti del gruppo ex Fiat e non solo, da Torino, Pomigliano, Termoli, Melfi, dalla Bosh di Bari, dalla Marelli di Bologna – dicono basta alla cassa integrazione, chiedono un futuro certo e un piano industriale adeguato. Sono 20mila in piazza nella capitale, secondo gli stessi sindacati. E proprio i comuni che ospitano gli stabilimenti Stellantis scendono in prima linea: l’auto è un settore “strategico e noi siamo pronti a fare la nostra parte”, assicurano con la richiesta di convocazione ai tavoli di crisi del settore. In diverse piazze anche Fismic Confsal, Uglm e Associazione Quadri con lo slogan “L’automotive merita di più”. Al fianco dei lavoratori l’opposizione. Tra saluti e strette di mano, restano i timori. “C’è molta preoccupazione sul futuro” dell’automotive, rimarca la segretaria del Pd, Elly Schlein, sostenendo che Stellantis “ha delle responsabilità storiche” verso il Paese.

Il presidente del M5s, Giuseppe Conte, ribadisce l’impegno del Movimento a sostenere “la battaglia operaia” su Stellantis. Rilancia la necessità di un incontro a palazzo Chigi e di “farlo subito, perché il prossimo anno avremmo un disastro industriale annunciato” il leader di Azione, Carlo Calenda. Da Avs, per Nicola Fratoianni è l’ora “di finirla con Stellantis che batte cassa” e basta alla strategia “del mordi e fuggi”, aggiunge Angelo Bonelli. Dalle opposizioni, dopo l’audizione dell’ad Carlos Tavares, c’è la richiesta di ascoltare in Parlamento anche il presidente John Elkann. Fim Fiom Uilm parlano di “grandissima adesione” allo sciopero, sotto lo slogan “Cambiamo marcia”. Secondo l’azienda, la percentuale media di adesione è complessivamente dell’8,8%, senza interruzione delle attività. Per i sindacati, l’automotive è “al collasso”. Secondo le loro stime, i posti a rischio sono 70mila in tutto il settore dell’automotive, che conta circa 320mila lavoratori. “La situazione sta precipitando”, avverte il segretario generale della Fim-Cisl, Ferdinando Uliano, “i volumi stanno crollando, non faremo neanche 500mila veicoli nel Paese, cosa che non avveniva dal 1956”. Altro che un milione di auto. L’obiettivo sostenuto da Urso che “chiede a Stellantis di scommettere sul nostro Paese. Noi saremo al loro fianco – assicura – per farlo al meglio”.

Tutti gli stabilimenti del gruppo sono interessati dalla cassa integrazione. “Ma noi vogliamo produrre auto e non cig”, dice il numero uno della Uilm, Rocco Palombella, assicurando che “non ci rassegniamo. E senza risposte non ci fermeremo”. Si rivolgono direttamente all’ad Carlos Tavares. “Noi non siamo rancorosi, siamo incazzati”, dice De Palma, “l’unico taglio di cui Stellantis ha bisogno è quello del suo stipendio”. Chiede “coerenza e rispetto” degli impegni il leader della Cisl, Luigi Sbarra. Le prospettive “non sono chiare. E noi non vogliamo stare a guardare”, ripete il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini. Bisogna “fare presto”, insiste il numero uno della Uil, Pierpaolo Bombardieri. Una questione, quella dell’automotive, su cui la linea tra i tre è univoca. Non sulla manovra, su cui i fronti – Cgil e Uil da una parte e Cisl dall’altra – sembrano vicini ad una nuova divisione.

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Economia

PagoPa, ormai digitali quasi il 60% dei nostri pagamenti

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La pubblica amministrazione italiana accelera sul digitale, con quasi sei pagamenti su dieci che avvengono attraverso un canale diverso da quello fisico. A certificarlo sono i numeri di PagoPa, il portale nazionale dei pagamenti a favore della pubblica amministrazione. “Abbiamo contribuito all’accompagnamento degli utenti verso il digitale. La dimostrazione sta nel fatto che oggi il 59% dei pagamenti PagoPa è digitale”, spiega Maurizio Fatarella, direttore generale di PagoPa, a Comolake. “Un 59% fatto di pagamenti direttamente sul canale online e pagamenti fatti con carta presso sportelli fisici”, aggiunge Fatarella secondo cui “il contante è ampiamente superato”. Fatarella ricorda poi come dalla nascita della piattaforma, PagoPa ha gestito 1,4 miliardi di transazioni per un controvalore di 280 miliardi di euro.

“Il 2023 è stato chiuso con 386 milioni di transazioni processate e il 2024 chiuderà su cifra vicina ai 400 milioni per un controvalore di circa 90 miliardi”, aggiunge il dg. E la necessità di una Pa più snella a livello burocratico, oltre che più digitale, è sollecitata anche dal ministro per la Pa Paolo Zangrillo: “Abbiamo la necessità – aggiunge – di una pubblica amministrazione che vada più veloce e soprattutto che sia capace di cogliere le tante opportunità che l’innovazione tecnologica oggi ci offre”, spiega. Anche il ricambio generazionale, secondo Zangrillo, può supportare l’accelerazione sul fronte del digitale nella Pa: “Oggi l’età media della pubblica amministrazione è di 49 anni e questo è conseguenza anche del blocco del turnover che abbiamo avuto tra il 2009 e il 2020. Dobbiamo scendere”, precisa il ministro. Sulla tecnologia l’Italia può comunque vantare grandi passi in avanti.

“L’Italia in questi 18 mesi è balzata ben al di sopra della media europea del famigerato Desi per quanto riguarda praticamente tutte le misure della digitalizzazione e dello sviluppo tecnologico”, dice Alessio Butti, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’Innovazione. “Era importante far capire all’Europa che il paradigma è cambiato”, ma ora occorre “comprendere che dovremo essere bravi a continuare a camminare dopo il 2026 con le nostre forze e sulle nostre gambe, senza più l’ausilio del Pnrr”. Un ulteriore volano di crescita nella Pa sarà l’utilizzo dell’intelligenza artificiale. Per Mario Nobile, direttore generale di AgID, è una partita che l’Italia può giocare al pari degli altri Paesi europei, anche se “dobbiamo accelerare rispetto alle applicazioni concrete. Questo vale sia per la pubblica amministrazione che per le imprese”.

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Economia

L’Italia alla prova del rating, spread ancora in calo

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A pochi giorni dal varo della manovra di bilancio e all’indomani del taglio dei tassi da parte della Bce, Italia con il fiato sospeso in attesa della prima tornata di giudizi da parte delle agenzie di rating internazionali sull’affidabilità del Paese e dei suoi titoli di stato. I primi ad esprimersi in chiusura di settimana sono S&P Global Ratings e Fitch, mentre gli appuntamenti successivi sono fissati per il 25 ottobre con Dbrs e per il 22 novembre con Moody’s. Al momento il giudizio sul debito italiano espresso da parte di S&P e di Fitch è a livello BBB con outlook stabile, ovvero una valutazione secondo cui l’emittente in questione ha un rischio moderato di default o di mancato pagamento dei suoi debiti. Le previsioni di esperti e trader parlano di una conferma del giudizio già espresso nella primavera scorsa.

Ma non è escluso un innalzamento dell’outlook da stabile a positivo. A giudicare dall’andamento del differenziale tra i rendimenti dei titoli di stato italiani e quelli tedeschi, il clima generale lascia infatti presagire una maggiore fiducia rispetto al passato. Prova ne è che lo spread tra Btp e Bund a 10 anni è sceso sotto i 118 punti base, ai minimi degli ultimi tre anni. Ma secondo gli analisti è da tenere in considerazione il fatto che le obbligazioni italiane hanno beneficiato anche del taglio dei tassi da parte della Banca Centrale Europea, con il mercato che sembra attendersi un allentamento più aggressivo in futuro.

All’indomani del taglio, tuttavia le Borse si mantengono caute: Milano ha chiuso in rialzo dello 0,47%, Parigi dello 0,39%, Francoforte dello 0,38% e Madrid dello 0,16%, mentre Londra ha ceduto lo -0,32%. E l’oro prosegue la sua corsa toccando nuovi record oltre quota 2.700 dollari sullo sfondo delle forti turbolenze geopolitiche. La valutazione del nuovo rating da assegnare all’Italia si basa sull’esame dell’affidabilità dei conti pubblici alla luce della manovra appena varata dal governo Meloni. Ma anche sulla solidità dell’Italia alle prese con le incertezze del contesto internazionale, sia geopolitiche sia commerciali.

Il rapporto tra debito e Pil è crollato dal 155% del 2020 al 134,8% del 2023, ma secondo i numeri contenuti nel Piano strutturale di bilancio il debito pubblico dell’Italia risalirà nei prossimi anni, crescendo fino a raggiungere il 137,8% del Pil nel 2026. E solo successivamente inizierà a scendere, fino a toccare il 134,9% nel 2029. Tuttavia un aiuto ai conti pubblici arriverà certamente dal taglio dei tassi di interesse che renderà meno onerosi i costi di emissione. Sul voto delle agenzie potrebbe pesare anche la prudenza nella gestione dei conti più volte citata nelle intenzioni del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti.

Dopo Fitch e S&P, un altro appuntamento importante sarà quello di novembre quando aggiornerà il giudizio sui Btp anche Moody’s: attualmente è l’agenzia che mantiene il rating più basso sui titoli italiani, al livello Baa3 e outlook stabile, il più basso tra i giudizi di “investment grade”, ovvero a un passo dai titoli considerati spazzatura.

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