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Body shaming su social, sindaca di Latina ‘denuncerò’

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“Continuano le offese social sul mio aspetto fisico. Mi riservo di adire le vie legali” .Lo sottolinea, in una nota, la sindaca di Latina Matilde Celentano. “E’ intollerabile – prosegue la sindaca – che debba essere giudicata non per l’operato che attiene alla funzione di sindaco, ma per il sospetto di ricorrere alla chirurgia estetica. Sono consapevole di essere un personaggio pubblico e mi prendo anche le critiche, ma deve finire questo attacco alle donne che fanno ricorso ad interventi migliorativi della propria estetica, dietro i quali ci potrebbero essere problemi psicologici e di salute”.

“Ho già chiarito pubblicamente i motivi per i quali il mio fisico ha subito modifiche transitorie, dovute alle terapie a cui mi sono sottoposta per la cura di un tumore, ma in ogni caso – prosegue Celentano – anche qualora fossi ricorsa a interventi di chirurgia estetica, nessuno ha il diritto di giudicare non soltanto me ma tutte le donne che avessero fatto scelte simili. Lo trovo un attacco becero e irrispettoso della persona”. “La derisione del corpo e la discriminazione di una persona per il suo aspetto fisico sono configurabili nel body shaming. Una pratica che va fortemente condannata. In queste ore, ho trovato scritto sui social commenti di questo genere: ‘Io l’ho incontrata una sera a cena e vi assicuro che adesso è tutta rifatta in viso, ecco i soldi che fine fanno. Ride, sti politici è tutto un magna magna’. E ancora: ‘Le labbra a canotto no’. E poi altri insulti ricevuti nella giornata di ieri che si aggiungono a quelli dei mesi passati subiti durante la malattia. Ce ne è abbastanza per indurre chiunque a reagire facendo ricorso alle vie legali” conclude la sindaca di Latina.

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Cronache

Il modello Albania piace a Ursula, ma è scontro in Ue

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“Il vento è cambiato, e soffia verso destra”. La sintesi di quello che a Bruxelles sta accadendo sulla migrazione arriva da un alto funzionario Ue che, sbottonandosi un po’ alla vigilia del summit Ue, ha fotografato così uno scenario ben visibile sin dalle Europee. Ed in questo contesto Giorgia Meloni ha ampia libertà di azione. Di più. Il modello Albania, che prevede il trasferimento dei migranti in hotspot con bandiera italiana ma fuori dai nostri confini, sembra convincere Ursula von der Leyen, che si prepara ad una stretta securitaria, con una corposa modifica della direttiva rimpatri.

Nella lettera che la presidente della Commissione, lunedì in tarda serata, ha inviato ai leader Ue c’è una sorta di vademecum dei prossimi passi di Bruxelles sulla migrazione. E c’è soprattutto, l’endorsement all’iniziativa italo-albanese. “Abbiamo dato il buon esempio”, il protocollo firmato con Tirana apre “una strada nuova, ma che rispecchia perfettamente lo spirito europeo”, ha spiegato Meloni nelle comunicazioni in Parlamento. E al Pd che la contestava ha risposto ricordando che “la quasi totalità dei Paesi membri concordano con queste politiche, siete voi ad essere isolati”. Quasi contemporaneamente la Commissione spiegava che con le attuali norme comunitarie il modello Albania non è legalmente percorribile, ma l’esecutivo Ue “sta esaminando come regolamentare i rimpatri in Paesi terzi”.

Non sarà un esame facile. E l’endorsement di von der Leyen, seppur messo nero su bianco, per ora è più teorico che pratico. Alla Commissione, infatti, vogliono prima valutare con attenzione l’operatività del protocollo con Tirana che, come spiegato dallo stesso premier Edi Rama (“ho declinato altre richieste”), ha una sua specificità italiana. C’è inoltre un’altra faccia della medaglia in questa corsa alla Fortezza Europa. Ed è il volto di un’Ue ancora divisa, stretta tra la spinta dei falchi sulla migrazione, i dubbi di Berlino e Parigi, la resistenza della Spagna. Il dibattito rischia di sfociare in uno scontro aperto. Le conclusioni rischiano di ridursi a poche righe solo per evitare che saltino completamente. Lo stesso riferimento all’attuazione del Patto sulla migrazione e asilo non trova d’accordo tutti. E a complicare le cose c’è il fatto che, a presiedere la riunione, sarà Viktor Orban.

“La discussione sulla migrazione sarà il più delicato”, hanno ammesso fonti europee in vista di un vertice che, sul tavolo, avrà altri temi caldissimi, dall’Ucraina – con la presenza di Volodymyr Zelensky – alla guerra tra Israele e Hezbollah. Ma sulla migrazione il dato politico è dirimente. E dirimente è l’avanzare delle destre in quasi tutti i Paesi europei, che sta indurendo tutte le posizioni in campo. Non a caso, tra i 27, l’unica voce apertamente contraria al modello Albania è quella di Pedro Sanchez. “Siamo contrari ai centri di deportazione di migranti in Paesi terzi alla Ue”, ha scandito il premier spagnolo rivendicando il successo della politica migratoria di Madrid. Le parole di Sanchez coincidono perfettamente con la posizione dei socialisti, sempre più preoccupati dall’idea che la migrazione sia uno dei dossier sui quali il Ppe possa fare asse con i gruppi sovranisti. Ma anche all’interno del Consiglio europeo i Popolari sono numericamente in netto vantaggio e la sponda dei governi di destra, come quello italiano, appare sempre più salda.

Anzi, Meloni giovedì passerà all’offensiva. Con Danimarca e Olanda, l’Italia ha convocato una riunione a margine del summit Ue con i cosiddetti Paesi like-minded, ovvero con le cancellerie con le quali si può creare un fronte comune sulla migrazione. Alla riunione ci saranno una socialista, Mette Frederiksen, e un premier tecnico, Dick Schoof, che si regge però sui sovranisti capitanati da Geert Wilders. La riunione è in via di definizione, come i suoi partecipanti. Sicura è la partecipazione della Polonia, probabile quella di Austria e Grecia. La Germania è stata invitata ma difficilmente ci sarà. A Parigi, al momento, non risultano inviti. E senza l’ok franco-tedesco qualsiasi ipotesi di hotspot nei Paesi terzi non può avere vita facile.

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Reddito cittadinanza non dovuto, a processo Bossi jr

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False attestazioni per ottenere il reddito di cittadinanza non dovuto: per questo va a processo Riccardo Bossi (nella foto Imagoeconomica in evidenza), il primogenito del Senatur fondatore della Lega Nord Umberto Bossi. La decisione è stata presa nella mattinata di oggi nell’udienza davanti al Gup del Tribunale di Busto Arsizio, in provincia di Varese. A chiedere il processo è stato il pubblico ministero Nadia Calcaterra mentre i legali di Bossi, che non era in aula, hanno chiesto (e ottenuto) l’ammissione al rito abbreviato, rito alternativo che garantisce per legge uno sconto di pena di un terzo in caso di condanna. L’Inps si è costituita parte civile.

La prossima udienza è stata fissata al 14 gennaio 2025, in quella data è prevista la discussione del procedimento ma potrebbe arrivare già anche la sentenza. Bossi jr non ha mai commentato le accuse a suo carico e davanti ai pm si è avvalso della facoltà di non rispondere. Secondo gli inquirenti tra il 2020 e il 2023 ha incassato indebitamente il reddito di cittadinanza. Stando a quanto ricostruito dal Pm Calcaterra il figlio del Senatur ha percepito 280 euro ogni mese per 43 mensilità per un ammontare complessivo di 12.800 euro. L’erogazione del reddito di cittadinanza era collegata al canone di locazione di un appartamento. Appartamento dal quale, però, quando gli inquirenti hanno iniziato gli accertamenti Bossi era già stato sfrattato da un anno in quanto moroso: non aveva pagato l’affitto.

Di qui la contestazione. Riccardo Bossi non è nuovo a vicende giudiziarie di questo tipo. Nel 2020 era stato denunciato per non aver pagato un salatissimo conto di una cena a base di champagne in un noto ristorante di Milano. Poche settimane prima aveva fatto la stessa cosa a Firenze. Nel 2014 era stato condannato dal tribunale di Busto per il mancato pagamento del conto in una notissima gioielleria della cittadina del varesotto, dove aveva acquistato un prezioso orologio e altri gioielli tra i quali un collier in oro del valore di svariate migliaia di euro. Nel 2017 era stato condannato dal tribunale di Varese per non aver saldato conti relativi a lavori eseguiti in casa (si parla dell’installazione di luci a led) e alla manutenzione dell’auto (il cambio delle gomme).

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Appalti a Salerno, indagato il consigliere regionale Luca Cascone

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A meno di due settimane dall’arresto del presidente della Provincia di Salerno Franco Alfieri, esponente di punta del Pd campano, la Guardia di Finanza sferra un altro colpo perquisendo gli uffici del consigliere regionale salernitano Luca Cascone (nella foto Imagoeconomica in evidenza), eletto con la lista De Luca presidente. Turbata libertà degli incanti in concorso e turbata libertà del procedimento di scelta del contraente le ipotesi di reato contestate a Cascone ed altri cinque indagati – funzionari pubblici e imprenditori – nell’ambito di una indagine della procura di Salerno che riguarda in particolare tre appalti banditi dalla Provincia.

Sei gli indagati: oltre Cascone – 50 anni – sono finiti sotto inchiesta e perquisiti anche Andrea Campanile (27 anni), componente dello staff del sindaco di Capaccio-Paestum Franco Alfieri; Angelo Michele Lizio (67), direttore settore viabilità della Provincia di Salerno; Nicola Aulisio (52), dirigente della società della Cogea Impresit; Federica Turi (38), responsabile dell’area manutenzione del comune di Capaccio e Giovanni Vito Bello (64), responsabile dell’area Lavori pubblici del comune di Capaccio.

In questo filone d’inchiesta, gli appalti nel mirino degli inquirenti della Procura e della Guardia di Finanza di Salerno sono tre: la realizzazione della superstrada Fondovalle Calore, per oltre 32 milioni di euro, destinata a mettere in collegamento diversi centri urbani tra cui anche il comune di Capaccio-Paestum; la realizzazione della strada denominata “Aversana” (per una somma iniziale di oltre 19 milioni di euro via via aumentata in maniera consistente) e la costruzione del cosiddetto “sottopasso” a Ogliastro Cilento (Salerno).

Il procedimento, oggetto di numerose perquisizioni, è uno sviluppo dell’inchiesta sugli appalti al comune di Capaccio-Paestum sfociata nelle scorse settimane in sei misure cautelari una delle quali a carico del sindaco di Capaccio e presidente della Provincia di Salerno Franco Alfieri, sospeso da entrambe le cariche, e che secondo gli inquirenti si sarebbe adoperato per pilotare l’iter amministrativo delle commesse al fine di ottenere un tornaconto di natura personale pur non avendone titolo.

“Fiducia assoluta che tutto ciò si chiarirà al più presto perché – scrive il consigliere regionale Cascone sui social – nonostante ci sia chi specula su tutto, sono sereno, anzi serenissimo, io sono una persona perbene. Totale fiducia nell’attività degli inquirenti e della magistratura. Il mio unico pensiero va alla mia famiglia – aggiunge – cui mio malgrado creo preoccupazioni di cui si farebbe volentieri a meno”.

All’attacco l’opposizione in Regione con il capogruppo della Lega Severino Nappi: “Le persone coinvolte in queste molteplici inchieste – sottolinea – avranno certamente modo di chiarire la loro posizione. Resta però il tema di fondo di un sistema di potere che noi denunciamo da anni e che è potuto andare avanti soltanto con la connivenza silenziosa e la cooperazione delle sinistre, a cominciare dal Pd”.

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