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Muro contro muro in Vigilanza, stallo su presidente Rai

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È muro contro muro in Commissione di Vigilanza sulla votazione per la presidenza Rai. La maggioranza ha scelto di disertare la riunione plenaria della bicamerale convocata questa mattina per decidere una data per procedere con il voto, facendo così mancare il numero legale. La mossa ha provocato le proteste dell’opposizione, che ha lanciato accuse di boicottaggio e mancanza di rispetto per le istituzioni, prontamente respinte al mittente. La presidente della bicamerale Barbara Floridia ha quindi deciso di convocare una nuova seduta plenaria venerdì alle 12, questa volta per esprimere direttamente il parere vincolante, ma tutto lascia presupporre che anche quell’appuntamento si concluda con un nulla di fatto e che tutto slitti alla prossima settimana.

Lo scontro aveva avuto un preludio già ieri in ufficio di presidenza, quando Fratelli d’Italia e Forza Italia si erano opposti alla fissazione di una data, accusando la minoranza di non voler aprire un dialogo sul nome di Simona Agnes. Mancano, infatti, almeno due voti per raggiungere la necessaria soglia dei due terzi e il centrodestra teme che la sua candidatura, anche se sono possibili in teoria più tentativi per provare a raggiungere il quorum, possa essere bruciata. Da qui la situazione di stallo, durante la quale sarà il consigliere anziano Antonio Marano, espressione della Lega, a svolgere le funzioni di presidente.

Non a caso gli esponenti del Carroccio sono rimasti più defilati in questa fase, mentre Forza Italia insiste per la sua candidata e continua a sperare nel raggiungimento del sostegno necessario. L’opposizione teme che si vogliano dilatare i tempi per provare a creare qualche crepa tra le proprie fila, approfittando delle nomine alle testate, in particolare al Tg3, che dovrebbero arrivare forse già il mese prossimo sul tavolo del Cda. È una poltrona, quella del tg della terza rete, che orbita da sempre in area centrosinistra e questa volta potrebbe finire al M5s, visto che due nomi graditi al movimento come Bruno Luverà e Senio Bonini sembrano essere in pole.

“Il comportamento della maggioranza è molto grave – attacca il capogruppo Pd in Commissione, Stefano Graziano -. Non è mai successo in precedenza di non procedere ad un atto dovuto. C’è la volontà di bloccare la Vigilanza Rai. Lo avevamo detto, e siamo stati facili profeti, che bisognava prima procedere alla riforma della legge e poi alla nomina del Cda”. Il suo collega di partito Antonio Nicita parla espressamente di “boicottaggio istituzionale dal sapore eversivo”. Per il capogruppo M5s, Dario Carotenuto, la maggioranza “ha dimostrato una grave mancanza di rispetto verso le istituzioni, tanto più per un organo di garanzia quale la vigilanza Rai. “La maggioranza fugge per non fare i conti con la propria incapacità politica”, rincara la dose la deputata di Italia Viva Maria Elena Boschi. Accuse “ridicole e sconclusionate” secondo il capogruppo di Fratelli d’Italia, Francesco Filini.

“La cosa assurda – sostiene – è che ci chiedono di andare noi a votare quando loro hanno già annunciato di non voler partecipare ed è matematicamente impossibile che si possano raggiungere i due terzi dei voti. Purtroppo la sinistra ha scelto lo scontro istituzionale come terreno politico. Lo abbiamo visto con la Consulta e lo vediamo con la Rai. È un modo di fare che li qualifica”. Prova, invece, a gettare acqua sul fuoco il presidente di Noi Moderati Maurizio Lupi. “Eleggere il giudice della Consulta o il presidente del consiglio d’amministrazione della Rai è un dovere delle istituzioni, della politica, sia della maggioranza sia delle opposizioni – afferma -. Rivolgo un appello alla sinistra: l’Aventino, si guardi alla storia, non è mai servito a nessuno. Adesso bisogna procedere con il dialogo, ma senza pregiudizi e preclusioni”.

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Precari e licenziamenti facili, ok Camera al ddl Lavoro

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Approvato alla Camera il ddl Lavoro, che ora dovrà passare al Senato per il via libera definitivo. Al centro del provvedimento, che ha cominciato il suo iter nel Consiglio dei ministri del Primo maggio 2023, nuove misure sui contratti di somministrazione e sui licenziamenti. Soddisfazione nei banchi della maggioranza, mentre le opposizioni protestano contro uno strumento che “aumenta la precarietà”. Tra le misure più discusse, c’è quella che allarga le maglie delle disposizioni in tema di licenziamenti rispetto a quanto stabilito dal Jobs Act del governo Renzi.

In particolare, l’articolo 19 del collegato al lavoro prevede la risoluzione del rapporto di lavoro imputabile alla volontà del lavoratore (dimissioni volontarie) nei casi in cui un’assenza ingiustificata si protragga oltre il termine previsto dal contratto collettivo o, in mancanza di previsioni contrattuali, per un periodo superiore a quindici giorni. Secondo la maggioranza, è una maniera per impedire che i lavoratori, sfruttando la leva delle assenze ingiustificate, inducano i datori al licenziamento per poi accedere opportunisticamente alla Naspi. In caso di dimissioni volontarie, infatti, non è possibile richiedere l’indennità. Per FdI, “è una norma che evita le truffe”. Secondo le opposizioni sarebbe invece una norma che “supera il divieto delle dimissioni in bianco”.

“Nel provvedimento non c’è traccia di dimissioni in bianco, è una fake”, replica la Lega. Con un’altra misura contestata dalle opposizioni, si interviene, di fatto per estenderlo, sul tetto del 30% previsto per i lavoratori con contratto di somministrazione a tempo determinato sul totale del numero dei lavoratori con contratti stabili. La nuova norma esclude dal computo di questo limite i casi in cui la somministrazione riguardi lavoratori assunti a tempo indeterminato da parte di un’agenzia o lavoratori con determinate caratteristiche o assunti per determinate esigenze. Vincoli più leggeri anche per il ricorso al lavoro stagionale, che si allarga a fattispecie come l’intensificazione dell’attività lavorativa in determinati periodi dell’anno oppure per esigenze tecnico-produttive o collegate ai cicli stagionali dei settori produttivi o dei mercati di destinazione.

Tra le altre misure, c’è anche quella che ridefinisce la durata del periodo di prova dei contratti a tempo determinato: tra i due e i quindici giorni per i contratti con durata non superiore a sei mesi, e da due ai trenta giorni per i contratti dai sei ai dodici mesi. Dopo la protesta in piazza a Roma, che aveva unito le sigle sindacali Cgil e Uil e i partiti Pd, M5s e Avs, la battaglia delle opposizioni prosegue nell’Aula di Montecitorio. “Questa legge trasforma il mercato del lavoro nel supermarket della precarietà”, dichiara la segretaria del Pd Elly Schlein. “Il lavoro precario sta tornando al centro di questo provvedimento nella parola stessa ‘somministrazione'”, commentano i deputati di Avs. “Un provvedimento schizofrenico” per il M5s. Alle proteste delle opposizioni, replica la ministra del Lavoro Marina Elvira Calderone. “Leggo interpretazioni sui numeri e sugli interventi normativi – dice – che non sono assolutamente nella realtà delle cose. Per esempio sui contenuti del Ddl lavoro si è detto che ripristinavamo le ‘dimissioni in bianco’: i tecnici sanno benissimo che non è nulla di tutto questo”.

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Guido Crosetto chiarisce: nessun gelo con Giorgia Meloni e nessun dissapore con l’intelligence

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Un colloquio disteso sulla manovra economica e una parentesi leggera sulle voci apparse nella rassegna stampa. È così che il ministro della Difesa Guido Crosetto e la premier Giorgia Meloni (nella foto di Imagoeconomica in evidenza) hanno affrontato le indiscrezioni riguardanti una presunta tensione tra loro. I due, che condividono anni di militanza in Fratelli d’Italia, hanno commentato con un sorriso le voci, ma Crosetto ha voluto chiarire pubblicamente la sua posizione con due post sui social, smorzando qualsiasi dubbio sui suoi recenti “assenti” alle riunioni del Consiglio dei Ministri.

Crosetto: “Nessun gelo con Giorgia Meloni”

In risposta al retroscena apparso sul Corriere della Sera, che suggeriva un possibile raffreddamento nei rapporti con Meloni a causa delle sue assenze al Consiglio dei Ministri, Crosetto ha scritto su X (ex Twitter): “Non c’è e non c’è mai stato gelo. Come sempre, ci sentiamo più volte al giorno. Soprattutto nell’ultimo periodo”. Ha inoltre spiegato che non sempre ci sono argomenti che riguardano la Difesa nelle riunioni e che queste non possono sempre essere fissate tenendo conto degli impegni internazionali di ogni ministro.

Un gesto concreto per fugare ogni dubbio

Per evitare ulteriori speculazioni, Crosetto ha deciso di partecipare alla prossima riunione del Consiglio dei Ministri, nonostante avesse pianificato di assentarvisi: “Era mia intenzione essere assente anche domani, ma ci andrò per evitare altri inutili commenti”. Un segnale di distensione per fugare ogni possibile fraintendimento. Il ministro ha anche illustrato il suo fitto programma di incontri e colloqui con Meloni, legati a temi come la crisi in Medio Oriente, le questioni in Albania, e la preparazione di incontri internazionali come quello con Zelensky e il G7 della Difesa.

Il “caso” delle chat di governo

Un altro punto delicato riguarda una presunta fuga di informazioni all’interno di una chat di gruppo tra membri del governo e dirigenti di Fratelli d’Italia. Crosetto, infastidito dalla pubblicazione di alcune conversazioni private sui giornali, aveva manifestato l’intenzione di presentare un esposto alla magistratura per “violazione del segreto di corrispondenza”, senza però procedere formalmente.

Chiarimenti sul rapporto con l’intelligence

Il ministro della Difesa è stato chiamato a rispondere anche al Copasir, dopo alcune dichiarazioni critiche rilasciate al procuratore di Perugia, Raffaele Cantone, in cui lamentava “rapporti non particolarmente buoni con l’Aise”(l’agenzia dell’intelligence esterna). Crosetto ha riferito che l’incontro con i membri della commissione parlamentare è stato positivo e sereno, aggiungendo che non ci sono problemi con l’intelligence e che è molto soddisfatto del dibattito.

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Il Senato approva il tetto di 45 giorni alle intercettazioni: polemiche e allarme dai magistrati

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Nell’Aula di Palazzo Madama si è approvato con 83 sì, 49 no e 1 astenuto il disegno di legge presentato dal senatore di Forza Italia, Pierantonio Zanettin, che fissa il tetto massimo di 45 giorni alle intercettazioni. La maggioranza esulta, mentre le opposizioni protestano. Unica eccezione è Italia Viva, che invece condivide il provvedimento. I magistrati lanciano l’allarme: se questo testo, che ora dovrà passare alla Camera, diventerà legge, “migliaia di inchieste saranno a rischio”.

Modifiche sostanziali durante l’esame in Commissione Giustizia

Il provvedimento, incardinato a Palazzo Madama nel novembre 2023, ha subito modifiche sostanziali durante l’esame in Commissione Giustizia. Inizialmente, come sottolinea la relatrice Erika Stefani (Lega), era composto di tre articoli e la norma portante era quella che vietava di intercettare le telefonate tra avvocati e assistiti. Successivamente, questa misura è stata recepita nel ddl Nordio e il progetto di legge, pur mantenendo il titolo originario, è diventato il contenitore di un’altra norma: quella che mette il tetto di 45 giorni agli ‘ascolti’, a meno che non si tratti di reati di mafia e terrorismo o non emergano “elementi specifici e concreti” che dovranno essere oggetto di espressa motivazione.

Proteste delle opposizioni e preoccupazioni per le indagini

Il testo, così modificato, è stato approvato in Commissione ad aprile, ma “senza che ci sia stata un’adeguata istruttoria”, come denuncia in Aula il senatore M5S Roberto Scarpinato. Ad accelerarne l’arrivo in Aula è stato il capogruppo di Forza Italia al Senato, Maurizio Gasparri, che, nell’ultima Conferenza dei Capigruppo, ha chiesto e ottenuto che il ddl arrivasse in Assemblea “il più presto possibile”. Tutti gli emendamenti delle opposizioni sono stati respinti.

I senatori del Movimento 5 Stelle, con Scarpinato e Ada Lopreiato, protestano e ribadiscono come siano a rischio anche le indagini sulle violenze alle donne, a cominciare dal reato di stalking, “che dura molto più di 45 giorni”.

Critiche anche dal Partito Democratico

Anche i Democratici contestano il provvedimento, parlando, come fa il capogruppo in Commissione Giustizia, Alfredo Bazoli, di “termini draconiani”. “Va bene il tetto alle intercettazioni”, dice Bazoli, “ma il limite di 45 giorni è troppo stretto”, perché “così sono a rischio anche le indagini per omicidio”. “Il numero di 45 giorni”, incalza Bazoli, “è stato scelto a caso senza alcuna verifica né istruttoria. È una tagliola clamorosa” che mette a rischio reati come strage, corruzione, bancarotta fraudolenta e violenza sessuale. “Possibile che non ci si renda conto dei rischi? È un testo scritto male, superficiale. Fermatevi!”, è l’appello di Bazoli. Ma la maggioranza va avanti.

Italia Viva sostiene il provvedimento

Forte anche del sostegno di Italia Viva, che con Matteo Renzi e Ivan Scalfarotto ricorda come anche la Cassazione abbia chiesto un tetto alle intercettazioni. “È un tema di diritti umani”, afferma Renzi, “e chi chiede limiti non fa un regalo ai criminali, ma difende la Costituzione”.

La “terza gamba” della riforma delle intercettazioni

Zanettin spiega che il ddl è la “terza gamba della grande riforma delle intercettazioni”, nata dall’indagine durata mesi in Commissione Giustizia. Le prime due tranche, spiega, sono state il divieto di intercettare le conversazioni tra avvocato e cliente e la riforma della disciplina del sequestro di smartphone e pc, oggetto di altri due distinti provvedimenti già approvati.

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