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Salute

Obesità, 6 milioni di casi in Italia ma ancora non riconosciuta come malattia cronica

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Una malattia cronica, progressiva e recidivante. Così l’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce l’obesità, una condizione spesso accompagnata da sottovalutazione e da stigma e colpevolizzazione verso chi ne soffre. Colpisce oltre un miliardo di persone nel mondo; 6 milioni (il 12% della popolazione) solo in Italia, con altre 25 milioni di persone che sono in sovrappeso. Sovrappeso e obesità rappresentano la quinta causa di morti globali e almeno 2,8 milioni di adulti muoiono ogni anno in conseguenza di questa patologia. Nonostante ciò, nel nostro Paese, l’obesità non è riconosciuta dal servizio sanitario nazionale come malattia cronica non trasmissibile a sé stante, anche se è in corso l’iter parlamentare finalizzato al riconoscimento.

“Nonostante i passi in avanti degli ultimi anni, l’obesità resta per i professionisti e i sistemi sanitari una condizione molto complessa da affrontare, con carenze culturali e assistenziali importanti, dovute alla sua multifattorialità, al suo decorso cronico e progressivo, alle molte complicanze cliniche associate e, in ultima analisi, alla difficoltà nell’ottenere risultati duraturi nella riduzione del peso corporeo”, ha affermato Rocco Barazzoni, presidente della Società Italiana di Obesità (Sio). Perdere peso, infatti, per le persone con obesità è tutt’altro che semplice. L’eccesso di peso è influenzato da diversi fattori: biologici, genetici e ambientali.

Per questo le modifiche dello stile di vita non sempre sono sufficienti a produrre risultati che migliorino la salute nel lungo termine. La perdita di peso, inoltre, solo poche volte viene mantenuta nel lungo periodo. Questo in parte perché, quando una persona riduce l’introito calorico per perdere peso, il corpo può aumentare la produzione degli ormoni che regolano la fame e il desiderio di cibo producendo un circolo vizioso che si autoalimenta.

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Economia

Impenna la spesa privata, 4,5 milioni rinunciano a cure

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La spesa per la salute pagata di tasca propria dagli italiani vede un’impennata del 10% nel solo 2023 ed, è insieme alle liste d’attesa, la causa che porta 4,5 milioni di persone, in Italia, a rinunciare alle cure. Questi numeri, uniti alle diseguaglianze regionali, alla migrazione sanitaria e ai pronto soccorso affollati “dimostrano che la tenuta del Servizio sanitario nazionale è prossima al punto di non ritorno”. Mentre per la spesa sanitaria c’è un gap di 52 miliardi con la media dei Paesi dell’Ue. A denunciare una “sanità pubblica in emergenza” è la fondazione Gimbe, ma il ministro della salute che rassicura “nella Legge di bilancio ci saranno risorse adeguate per la sanità”.

Mentre spetta al presidente della Repubblica Sergio Mattarella sottolineare, ancora una volta, il valore del Servizio sanitario come “risorsa preziosa e pilastro essenziale per la tutela del diritto alla salute”. Alla vigilia del G7 Salute che si sta per aprire ad Ancona, il settimo rapporto Gimbe sul Servizio Sanitario nazionale scatta la fotografia. Rispetto al 2022, nel 2023 l’aumento della spesa sanitaria totale è stato sostenuto esclusivamente dalle famiglie come spesa diretta o tramite fondi e assicurazioni. Mentre resta stabile la spesa sanitaria pubblica italiana, che rispetto alla media dei Paesi Ocse membri dell’Unione Europea, vede un gap che sfiora i 52,4 miliardi e ci “rende fanalino di coda, con una differenza ormai incolmabile con altri Paesi”.

La conseguenza è che sempre più persone, spiega Nino Cartabellotta, presidente di Gimbe, “sono costrette a pagare di tasca propria un numero crescente di prestazioni sanitarie”: si chiama spesa ‘out-of-pocket’ e, se nel periodo 2021-2022 ha registrato un incremento medio annuo dell’1,6%, nel 2023 si è impennata aumentando del 10,3% in un solo anno. Ed è questo uno dei motivi principali che nel 2023, hanno portato 4 milioni e mezzo di persone a rinunciare a visite o esami medici per diversi motivi. “La grave crisi di sostenibilità del Servizio sanitario nazionale è frutto del definanziamento attuato negli ultimi 15 anni da tutti i Governi”, osserva Cartabellotta. Ma “le previsioni non lasciano intravedere alcun rilancio del finanziamento pubblico per la sanità”: secondo il Piano Strutturale di Bilancio (Psb), il rapporto spesa sanitaria/pil si riduce dal 6,3% nel 2024-2025 al 6,2% nel 2026-2027. E, a fronte di una crescita media annua del pil nominale del 2,8%, nel triennio 2025-2027 il Psb stima una crescita media della spesa sanitaria del 2,3%. “Questi dati – spiega Cartabellotta – confermano che il definanziamento prosegue”.

E vanno di pari passo con una “crisi del personale senza precedenti”, schiacciato tra turni massacranti, burnout e basse retribuzioni. Mentre la messa a terra dei progetti della Missione Salute del Pnrr “già risente delle diseguaglianze tra Nord e Sud del Paese”. A fronte di questo Gimbe chiede un patto maggioranza-opposizione. E sono stati proprio i due principali leader dell’opposizione, Elly Schlein e Giuseppe Conte ad assistere, entrambi in presenza ma lontani fra loro, alla presentazione del rapporto.

“Chiediamo maggiori risorse per la sanità pubblica”, ha detto la segretaria del Pd, che rilancia la proposta: “la spesa che le famiglie mettono di tasca loro è aumentata di 4,3 miliardi cioè la stessa cifra che il governo ha messo sulla riforma dell’Irpef. Quindi chiederemo, anche in questa manovra, di mettere quei 4,3 miliardi sulla sanità pubblica perché, se questo non accadrà, ricadrà sulle famiglie”. Il ministro della Salute Orazio Schillaci ribatte: “nessuno nel governo vuole tagliare la sanità pubblica, cosa che l’opposizione ricorda costantemente”. Quindi precisa che gli obiettivi principali della prossima legge di bilancio sono “pagare meglio il personale” e “avere un piano pluriennale per assumere nuovi medici”.

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In Evidenza

Nobel per la Medicina a Ambros e Ruvkun per i micro Rna

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Il Nobel per la Medicina 2024 è stato assegnato a Victor Ambrose e Gary Ruvkun per la scoperta dei micro Rna. E’ il meccanismo che ha aperto la via a molte terapie. Gli americani Ambros e Ruvkin sono stati premiati per avere scoperto nelle molecole chiamate microRna, che giocano un ruolo fondamentale nel regolare l’attività dei geni. Grazie ad esso le cellule. Risultato di milioni di anni di evoluzione, queste molecole sono essenziali nel libretto di istruzioni che controlla l’attività dei geni perchè contribuiscono al normale sviluppo dii ogni organismo vivente. Per questo le anomalie presenti nei microRna possono giocare un ruolo importante in malattie come i tumori, o in difetti congeniti dell’udito, della vista o dello scheletro. La scoperta di queste molecole ha aperto la strada alla possibilità di controllarle e quindi alla ricerca di nuove terapie.

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Salute

Arriva l’assistente infermiere, i sindacati protestano

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Nonostante una raccolta firme con migliaia di adesioni e il parere fortemente critico espresso anche dalla comunità internazionale, che si è appellata alle istituzioni per un cambio di rotta, l’Assistente Infermiere sta arrivando nelle corsi di strutture pubbliche e private. Gli infermieri temono la nuova figura, un “ibrido” che secondo i sindacati non garantisce la sicurezza garantita da una formazione più completa, indispensabile per mettere le mani sui pazienti. A spiegarlo sono Antonio De Palma, Presidente di Nursing Up, e Walter De Caro, Presidente di CNAI (la Consociazione Nazionale Associazioni Infermiere/i). Gli infermieri sono pronti a protestare contro la nuova figura per la quale e’ arrivato queste settimana il via libera in Conferenza Stato-Regioni. “Governo e Regioni hanno ignorato i pareri negativi degli esperti nazionali ed internazionali tra cui quello Federazione Europea degli Infermieri (EFN)”.

La nuova figura con 500 ore di formazione, per fare alcuni esempi, potrà intervenire sul paziente per la medicazioni, le iniezioni e anche per l’uso del sondino oro-tracheale, “con i rischi che ne conseguono” spiega De Palma. Oltre alla petizione, il 20 novembre gli infermieri scenderanno in piazza per protestare assieme ai medici per il destino del Servizio Sanitario Nazionale. Le principali criticità sollevate dalla comunità scientifica includono la formazione degli Assistenti Infermieri che potrebbe non essere sufficientemente rigorosa, compromettendo la qualità dell’assistenza e la sicurezza dei pazienti e la mancanza di esperienza e competenze adeguate potrebbe aumentare il rischio di errori clinici. La nuova figura, a metà fra l’infermiere e l’operatore sociosanitario, potrà operare nella sanità pubblica e privata. In sostanza, spiega il decreto, sarà “un operatore in possesso della qualifica di Oss che ha seguito di un ulteriore percorso formativo consegue la qualifica di assistente infermiere”. Il suo compito sarà quello di “collaborare con gli infermieri assicurando le attività sanitarie oltre a svolgere le attività proprie del profilo di operatore socio sanitario”. E l’obiettivo, come sancisce lo stesso atto, serve “alla generale necessità di rispondere in maniera differenziata ai crescenti bisogni di salute della popolazione”.

Del resto oggi la carenza di infermieri in Italia è di almeno 65.000 unità, secondo la Corte dei conti, ma nei prossimi dieci anni usciranno dalla professione per raggiunti limiti di età, rispetto al decennio precedente, almeno il quadruplo dei professionisti. L’Italia è il Paese OCSE con meno infermieri per 1.000 abitanti: 6,4 contro una media europea di 9,5 ed è fanalino di coda (sempre nell’OCSE) per laureati in infermieristica ogni 100.000 abitanti: solo 17 contro una media di 48. Il decreto sull’Assistente Infermiere, a parere dei sindacati serve anche a eludere gli investimenti attesi ma, spiegano “studi autorevoli, dimostrano che la mortalità si riduce del 30% quando almeno il 60% del personale assistenziale ha una formazione specifica infermieristica”.

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