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Economia

Crociere, l’Italia punta a 14 milioni di passeggeri

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Crociere e overtourism? Un non problema. Ne sono convinti esperti del settore turistico e di gestione dei flussi, operatori del comparto, vertici delle compagnie, che si sono confrontati sul tema a Roma in un evento organizzato da Clia, associazione internazionale delle compagnie crocieristiche, alla presenza della ministra del Turismo, Daniela Santanchè, e hanno spiegato che “oggi l’80% dei viaggiatori mondiali si concentra in appena il 10% delle destinazioni turistiche, ma le situazioni di sovraffollamento si verificano solo laddove i flussi non sono pianificati”.

Del resto l’Italia è il primo paese di destinazione europeo e il terzo di provenienza (dopo la Germania e Regno Unito e Irlanda) e i passeggeri movimentati nel 2023 sono stati 13,7 milioni con l’obiettivo di superare i 14 milioni entro quest’anno. “Il tasso di crescita previsto per il settore crocieristico nei prossimi anni è equiparabile a quello complessivo dei viaggi aerei (il 6%), tuttavia questa percentuale si calcola su circa 31,7 milioni di passeggeri unici nel primo caso e su 4 miliardi nel secondo. È evidente che i problemi futuri del sovraffollamento turistico non verranno dal settore crocieristico” spiega Francesca Benati, ceo di Amadeus.

“Le crociere – dice la ministra Santanchè – rappresentano un turismo molto importante, basti pensare che in Italia abbiamo 9 porti su 20 del Mediterraneo: non sarò mai contro le crociere, non le considero un tabù, ma dobbiamo trovare insieme il modo migliore per regolamentare i flussi turistici”.

“Le crociere – afferma Francesco Galietti, direttore Clia Italia – rappresentano meno del 2% del turismo mondiale, ma il settore lavora continuamente sulle best practice, basandosi sulla pianificazione e sulla collaborazione con le autorità locali. In alcuni casi come per esempio Venezia, dove gli sbarchi dei crocieristi sono meno di un terzo di quelli del 2019 mentre i flussi complessivi in entrata aumentano tanto da indurre a tasse e limitazioni, c’è la dimostrazione concreta che le crociere non impattano significativamente su situazioni di sovraffollamento turistico”.

Un report di McKinsey & Company prevede che il turismo mondiale entro fine 2024 dovrebbe raggiungere 1,5 miliardi di persone, per un giro d’affari di 8.600 miliardi di dollari pari al 9% del pil globale e da esso emerge che la destinazione con il maggior numero di pernottamenti per chilometro quadrato al mondo è Dubrovnik. Proprio nella città croata le compagnie hanno scaglionato gli arrivi delle navi durante la settimana grazie a un Memorandum of Understanding definito “decisivo” dal sindaco di Dubrovnik, Mate Franković, che ora vorrebbe replicare lo stesso accordo in altri ambiti.

“Le crociere hanno, tra gli altri, due importanti vantaggi: permettono una programmazione anticipata dei flussi e favoriscono la destagionalizzazione, rendendo così le presenze più omogenee e più stabili nel corso dell’intero anno” spiega Leonardo Massa, Vice President Southern Europe di Msc Crociere.

“Gli orari di attracco delle navi sono stabiliti anche con 2 o 3 anni di anticipo, fornendo preziose informazioni per la pianificazione dei flussi” aggiunge Alessandro Carollo, vicepresidente Royal Caribbean. Secondo Luigi Stefanelli, Southern Europe Region Associate Vice President di Costa Crociere “nel corso degli anni il settore delle crociere è riuscito a instaurare un rapporto di collaborazione molto costruttivo con le destinazioni, che ha portato valore alle comunità locali, creando posti di lavoro e stimolando l’economia attraverso la spesa diretta e indiretta.

“Nel 2023, Civitavecchia – secondo Antonio Preiti, AD della Fondazione Roma & partners – è stato il primo porto italiano per passeggeri movimentati con 3,3 milioni, il secondo Genova (1,7 milioni), seguito da Napoli (1,65 milioni), Palermo (940mila), Savona (861mila), La Spezia (710mila), Livorno (640mila) e Venezia (500mila). Barcellona nel 2023 ha registrato solo 250 mila passeggeri movimentati in più di Civitavecchia, ma ha riscontrato evidenti problemi di overtourism, al contrario di Roma”.

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Tim tratta in esclusiva col Mef su Sparkle

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La vendita di Sparkle non solo porta nelle casse di Tim altri 700 milioni di euro ma risolverebbe una ‘anomalia’ nella struttura del gruppo che ormai si è dato un’impronta da ‘società di servizi’. Non è da escludere poi che la società dei cavi internazionali possa confluire nella rete unica a cui punta il Mef che, se realizzata entro il 2026, sbloccherebbe quei 2,5 miliardi di ‘earn out’ legati alla cessione di Netco a Kkr. La Borsa, dove il titolo ha fatto un altro piccolo passo avanti (+2% a 0,26 euro) e gli analisti leggono l’operazione come positiva e si aspettano che Tim accetti la proposta del Mef e, con una quota di minoranza, del fondo spagnolo Asterion, attraverso la controllata Retelit.

E Tim non perde tempo. Il cda, dopo meno di 24 ore, si riunisce, esamina la proposta e dà mandato all’amministratore delegato, Pietro Labriola, di avviare interlocuzioni con gli offerenti, in via esclusiva, finalizzate ad approfondire i profili economici e finanziari dell’operazione e a ottenere la presentazione – entro il 30 novembre – di un’offerta vincolante secondo i migliori termini e condizioni.

L’offerta che c’è ora in campo, rispetto alla precedente di 625 milioni di euro più 125 milioni di euro di earn-out, è qualitativamente migliorativa perché i 700 milioni offerti dal Mef e da Asterion sarebbero ‘tutti subito’. “Gli 0,7 miliardi di euro di liquidità in entrata si aggiungerebbero agli 0,24 miliardi proventi dalla vendita di Inwit – ricordano gli analisti di Mediobanca – con un ulteriore taglio di 1 miliardo di euro alla posizione debitoria di Tim, portando il rapporto di leva finanziaria (ebitda/debito) ben al di sotto di 2 volte”.

Equita e Intermonte hanno invece colto le recenti dichiarazioni del direttore generale del Mef Marcello Sala a un convegno che ha espressamente indicato l’obiettivo del governo di avere “un’unica società nel Paese per la fibra ottica”. “Riteniamo che il governo italiano sia estremamente interessato a evitare un default di Open Fiber anche per il rischio di perdere 1,8 miliardi di euro di fondi Pnrr se il progetto Italia a 1Giga non sarà completato entro giugno 2026” scrivono gli analisti.

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Economia

Zuckerberg batte Bezos, è il secondo più ricco al mondo

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Mark Zuckerberg supera Jeff Bezos e diventa il secondo uomo più ricco al mondo alle spalle di Elon Musk. Zuckerberg vale 210,7 miliardi di dollari contro i 209,2 di Bezos. Musk ha una fortuna di 262,8 miliardi. E’ quanto emerge dal Bloomberg Billionaires Index.

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Economia

Salvo l’uso di ‘bistecca’ e ‘salsiccia’ per prodotti veg

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In Francia e in Unione Europea l’uso di nomi tipicamente associati alla carne per i prodotti a base vegetale è salvo: i cibi a base di proteine vegetali potranno continuare a chiamarsi ‘salsicce’, ‘bistecche’ o ‘hamburger’ e nessuno Stato membro può impedirlo. Lo ha messo nero su bianco la Corte di Giustizia dell’Ue accogliendo, in forma di sentenza, l’istanza di quattro organizzazioni francesi attive nel settore dei prodotti vegetali e vegani (l’Association Protéines France, l’Union vegetarienne européenne, l’Association végétérienne de France e la società Beyond Meat Inc.) che hanno contestato al governo di Parigi un decreto che vietava l’uso di termini come ‘bistecca’ o ‘salsiccia’ per indicare prodotti a base vegetale.

Un decreto pensato, secondo Parigi, per tutelare la trasparenza delle informazioni sui cibi, ma finito prima sul tavolo del Consiglio di Stato francese, e poi direttamente alla Corte di Lussemburgo. Per i giudici comunitari le norme sull’etichettatura alimentare tutelano già “sufficientemente i consumatori”, anche in questi casi. Dunque, uno Stato membro “non può impedire con un divieto generale ed astratto” ai produttori di alimenti a base di proteine vegetali di adempiere all’obbligo di indicare la denominazione di questi alimenti con “denominazioni usuali” o “descrittive”. A meno che il Paese non abbia adottato una “denominazione legale” per indicarli e purché le modalità di vendita o di promozione di quel prodotto non siano fuorvianti per i consumatori, inducendoli all’errore.

La Corte dell’Ue parla alla Francia, ma in realtà parla a tutta Europa, dove l’uso di termini associati a cibi contenenti proteine animali a quelli vegetali è sempre più dibattuto, soprattutto per via della diffusione di questi ultimi sul mercato europeo. Le prime divisioni a Bruxelles sono emerse nel 2020, quando nel quadro dei negoziati sulla Politica agricola comune (Pac) al Parlamento europeo di Strasburgo ci fu il tentativo di inserire nella revisione delle norme una serie di emendamenti per eliminare l’uso delle denominazioni di carne per i prodotti a base vegetale. Ma il blitz fallì e il blocco di emendamenti al regolamento sull’organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli fu respinto. Il dibattito è rimasto aperto ed è, tra l’altro, particolarmente sentito in Italia. La sentenza, ad esempio, potrebbe non piacere a Lega e FdI, che del divieto di etichettatura tradizionale per i prodotti veg ne hanno fatto da tempo una bandiera.

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