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Economia

NaturaSì, nel 2023 fatturato consolidato a 415 milioni

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NaturaSì ha festeggiato i primi 40 anni di attività in un evento a Jesolo (Venezia) e ha tracciato un primo bilancio economico per l’anno in corso con numeri in crescita per il 2024. Fino ad agosto di quest’anno, l’incremento delle vendite è stato del 10,3%. Il 2023 ha chiuso il bilancio con un fatturato consolidato di circa 415 milioni di euro. In un contesto economico segnato dall’inflazione, il settore biologico ha dimostrato una solida crescita.

“Questi dati, infatti, riflettono una crescente consapevolezza dei consumatori italiani sull’importanza di scelte alimentari sostenibili e salutari – ricordano dall’azienda -, confermato da un incremento del +8% nei volumi di vendita nei primi mesi dell’anno. Inoltre, NaturaSì ha pianificato investimenti significativi per il 2024, con un budget di 6 milioni di euro destinato alla ristrutturazione di dodici negozi esistenti e all’apertura di quattro nuovi punti vendita”. Una tendenza alimentata da una maggiore consapevolezza dell’importanza di preservare l’ambiente, e quindi di sostenere le tecniche agroecologiche che aiutano a contrastare la crisi climatica. Nel 2023, NaturaSì poteva contare su 300 aziende agricole sul territorio italiano, 320 negozi, 1.200 collaboratori, oltre 9.000 prodotti commercializzati certificati biologici, 500 prodotti con i marchi NaturaSì, SìEssenziali e Le Terre di Ecor.

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Economia

Manovra spinge Pil 0,3 punti: nessuno lasciato indietro

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Il Piano strutturale di bilancio “non lascia indietro nessuno”. “Mette al centro il lavoro”. E si concentra sui pilastri delle pensioni e della sanità. Ma visto che la sostenibilità del welfare dipende dalla demografia, rafforza anche le politiche per la famiglia. Il ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti traccia attraverso il nuovo documento di finanza pubblica da inviare all’Europa la silhouette della prossima manovra. Che contribuirà a dare una spinta al Pil 2025 di 0,3 punti, circa 6 miliardi. Il piatto forte del menu sono il taglio del cuneo e l’Irpef a tre aliquote strutturali: il resto dipende dalle risorse in arrivo dalla lotta all’evasione e dal concordato.

“La situazione economica, occupazionale e di finanza pubblica dell’Italia è in miglioramento”, malgrado “la caduta dei livelli produttivi dell’industria” e il “preoccupante allargamento” dei conflitti, afferma Giorgetti nella prefazione. Ma avverte anche che per affrontare le sfide del Paese serviranno “ingenti risorse negli anni a venire”. Il Psb fissa un Pil sopra l’1% per tre anni, fino al 2026; nei successivi tre sarà sotto quella soglia. Per il 2024 si stima un +1%, che salirà al +1,2% nel 2025 (con 0,3 punti di scarto rispetto allo 0,9% stimato a legislazione vigente, cioè al netto delle misure di politica economica che verranno attuate). Per il 2026 è previsto un +1,1%. L’Ufficio parlamentare di bilancio, che ha validato le stime tendenziali del Psb, solleva qualche dubbio proprio sul 2026: il profilo di crescita “è prossimo alle proiezioni dell’Upb, salvo che nel 2026, quando risulta più sostenuto per due decimi di punto percentuale”. Osservato speciale resta l’elevato stock del debito. E’ “la sfida più grande”, dice Giorgetti, che rivendica la linea della cautela: “il sentiero di politica fiscale che il Piano propone è realistico, credibile e prudente”.

Il debito è stimato in crescita progressiva fino al 2026 (al 137,8% del Pil): la discesa, frenata dall’effetto del Superbonus, inizierà solo dal 2027. Contribuiranno alla riduzione, precisa il ministro, privatizzazioni e i proventi legati ai crediti sulle riduzioni delle emissioni ambientali. Il Piano prevede anche un miglioramento del deficit: scenderà sotto il 3% nel 2026 (al 2,8%), fino ad arrivare sotto il 2% (all’1,8%) nel 2029. Il Psb, inviato nella notte da Palazzo Chigi alle Camere, è un documento molto più corposo della vecchia Nadef: nelle 217 pagine, suddivise in tre capitoli, l’arco temporale di previsione si allarga a cinque anni (anziché tre), e compare una vasta sezione dedicata alle riforme e agli investimenti (richiesti per estendere il periodo di aggiustamento da 4 a 7 anni). Ci sono la piena attuazione degli impegni assunti con il Pnrr e poi una serie di riforme che vanno dal fisco alla giustizia: un insieme di azioni che, si stima, “potrebbero condurre ad un aumento del Pil del 3,8% entro il 2031”. Dal Piano inizia a prendere forma anche la prossima manovra. Che avrà 33 collegati, dalle pensioni alle famiglie numerose, dal lavoro alla povertà, fino all’ippica e alla caccia.

La legge di bilancio confermerà, rendendoli strutturali, il taglio del cuneo e l’accorpamento delle aliquote Irpef su tre scaglioni. Sarà poi sarà salvaguardato il livello della spesa sanitaria, arriveranno le risorse necessarie al rinnovo dei contratti pubblici, al finanziamento di misure per la natalità (assegno unico, congedi, bonus mamme lavoratrici e asili nido) e al rifinanziamento delle missioni di pace. Sul piano fiscale la linea è di potenziare la tax compliance a costi ridotti. Mentre prosegue il dialogo con le banche in vista di un possibile contributo volontario. “Discutendo come facciamo con tutti discutiamo anche col settore bancario, ma non solo, su come potranno concorrere allo sforzo collettivo che tutti quanti siamo chiamati a fare”, spiega Giorgetti parlando ad incontro alla Banca Popolare di Sondrio. L’idea è coinvolgere chi “in qualche modo in questo momento registra performance”: che, chiarisce, non significa “tassare gli extraprofitti ma tassare giustamente i profitti”.

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Economia

Lavori del Pnrr ancora fermi, fondi a rischio

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Velocizzare i cantieri del Pnrr, che rischia altrimenti di non rispettare la scadenza del 2026 e di perdere i finanziamenti europei; sbloccare i pagamenti alle imprese, che troppo spesso finiscono per portare da sole sulle loro spalle i costi delle opere pubbliche; rivedere le soglie delle gare dei contratti pubblici previsti dal Codice degli appalti, che così com’è limita il libero mercato. E’ lungo il cahier de dolehances che l’Ance presenta al governo a nome del settore delle costruzioni alle prese con una “bulimia normativa” che in 30 anni ha prodotto ben 671 provvedimenti sulle opere pubbliche. Guardando al futuro del settore e a quello che accadrà non solo in questi anni caratterizzati dagli investimenti del Pnrr ma anche dopo il 2026, la presidente dell’associazione Federica Brancaccio ha innanzitutto richiamato gli enti pubblici alla puntualità nei pagamenti.

“La prima precondizione affinché le opere vengano fatte – ha spiegato – è che siano pagate a chi le realizza nei tempi previsti e con prezzi congrui. Le imprese devono essere pagate, – ha insistito – non si può lasciare sulle loro spalle il costo dell’opera. Se non ci sono abbastanza soldi per fare tutto, allora bisogna fare meno”. Un esempio su tutti è il ritardo nei pagamenti relativi al dl Aiuti, “ancora tragicamente arretrati”. Le imprese sono in attesa di almeno 1,1 miliardi perché le istruttorie sono lente e non c’è cassa disponibile, ha spiegato Brancaccio. I ritardi, ma questa volta dei cantieri, sono fonte di preoccupazione anche per il Pnrr. Molti appalti sono stati aggiudicati, ma i lavori, in molti casi, non risultano consegnati ed avviati, lamenta l’Ance. Il rischio serio è quindi quello di “non riuscire a collaudare le opere entro la scadenza imposta dall’Europa per il 2026, con il risultato di perdere il finanziamento”.

Ultimo capitolo, non secondario, è infine quello del nuovo Codice degli appalti da cui “emerge un problema di mercato”. Secondo il vicepresidente, Luigi Schiavo, i principi di concorrenza sono infatti messi a rischio dalla scelta di liberalizzare sino alla soglia comunitaria le procedure negoziate senza gara.

Per questo “le soglie andrebbero riviste al rialzo, garantendo al di sopra di determinati importi l’invito di tutti i soggetti potenzialmente interessati”. L’Ance è consapevole della chiusura del ministero delle Infrastrutture sulla questione, ma auspica comunque ancora “un parziale ripensamento”, motivato peraltro anche dalla preoccupazione espressa dalla Commissione Ue.

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Ambiente

Idrogeno verde in raffineria con Ip gruppo api

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La transizione energetica nel Nord-Ovest segna un passo avanti con un progetto di Ip gruppo api di produzione di idrogeno verde, da fonti rinnovabili. La raffineria Sarpom di Trecate, in provincia di Novara, entro il 2026 produrrà infatti idrogeno verde, che servirà alla raffineria stessa per decarbonizzare i propri processi industriali e per rifornire due aree di servizio Ip, una in Piemonte, a Casale Monferrato (Alessandria) e l’altra in Lombardia, a Cassano d’Adda (Milano), agevolando così la mobilità sostenibile. Il progetto, denominato Hydrogen Valley del Nord-Ovest, prevede un investimento totale di 30 milioni di euro tra fondi pubblici e privati.

Sarà sostenuto anche da due bandi del Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) che Ip gruppo api si è aggiudicata: uno della Regione Piemonte e del ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica e uno del ministero delle Infrastrutture e dei trasporti. “Questo progetto – ha sottolineato Ugo Brachetti Peretti, presidente di Ip gruppo api – è strategico per il Nord-Ovest e per il Paese. Le raffinerie e la rete dei distributori di carburante sono essenziali per garantire la sicurezza energetica italiana e per accelerare su una transizione davvero efficace, che consenta all’industria e ai trasporti di non fermarsi.

Puntiamo sull’idrogeno – ha aggiunto – insieme a carburanti tradizionali di qualità, biocarburanti, elettrico, perché siamo convinti che il futuro dell’industria e dei trasporti è multi-energia. E perché crediamo che l’idrogeno in particolare sia una soluzione efficace per decarbonizzare i settori ad alta intensità energetica come le raffinerie e il trasporto pesante. La partnership tra pubblico e privato è importante per accelerare in questa direzione”.

“Grazie, perché la giornata di oggi, nel nome della competitività del nostro Paese, è fondamentale” ha detto il vicepresidente del Consiglio e ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, Matteo Salvini, in un videomessaggio fatto arrivare alla presentazione mentre era impegnato nel Consiglio dei ministri. “Il progetto realizzato dal gruppo api a Trecate è fino ad oggi il più rilevante, in termini di investimenti e di produzione di idrogeno, tra i tre che la Regione Piemonte ha potuto finanziare nell’ambito del bando regionale per le Hydrogen Valley” hanno evidenziato il presidente della Regione Piemonte, Alberto Cirio, con Elena Chiorino, vicepresidente, e l’assessore regionale all’ambiente e all’energia, Matteo Marnati.

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