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Strage a Nuoro, l’omicida si è accanito sulla moglie Giusy Massetti

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Sarebbero stati quattro i colpi di pistola, due alla tempia e due al torace, che hanno ucciso Giusy Massetti, la casalinga di 43 anni di Nuoro, caduta per prima nella strage familiare di mercoledì mattina, nella casa di via Ichnusa, per mano del marito, l’operaio forestale di 52 anni, Roberto Gleboni, morto suicida dopo aver quasi sterminato la famiglia. Sono le prime indiscrezioni che arrivano nel giorno delle autopsie sui corpi dello stesso omicida, di Martina Gleboni di 25 anni, figlia maggiore della coppia, e di Paolo Sanna, il 69enne vicino di casa, ucciso solo perché si è trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato: l’uomo infatti stava salendo nel suo appartamento al terzo piano quando si è trovato di fronte l’operaio forestale con la pistola in mano.

I tre corpi sono esaminati oggi all’ospedale Brotzu di Cagliari, dal medico legale Roberto Demontis. L’elemento dei 4 colpi di pistola metterebbe in luce una sorta di accanimento di Roberto Gleboni nei confronti della moglie, quasi a confermare le molte voci che girano in città, nonostante i due coniugi fossero molto riservati: ovvero che negli ultimi mesi Giusy avrebbe maturato la decisione di separarsi e che l’operaio non avrebbe sopportato questa scelta. Domani il professor Demontis effettuerà le autopsie sui corpi delle altre due vittime: Giusy Massetti, la moglie di Rovberto, e Francesco Gleboni, il figlio di 10 anni della coppia.

Scampati alla morte il figlio 14enne dell’omicida – preso di striscio dall’arma e ricoverato nel reparto di Otorinolaringoiatria – e la madre 84enne dell’operaio forestale, colpita gravemente alla testa dal figlio (ricoverata in Rianimazione ma fuori pericolo) prima che lui stesso si togliesse la vita nella cucina dell’anziana. Ieri il 14enne è stato sentito per tre ore in audizione protetta dagli investigatori. Avrebbe risposto a tutte le domande e confermato la versione data ai Carabinieri nei momenti successivi alla strage: “A casa urlavano tutti”, aveva già spiegato. Il contenuto dell’audizione protetta – alla quale hanno partecipato anche una psicologa e un tutore legale nominati dalla Procura – rimane sotto stretto riserbo. Stasera il Comune di Nuoro ha organizzato una fiaccolata “per manifestare vicinanza e solidarietà alle famiglie delle vittime”. Il corteo è partito dalla casa di via Ichnusa ed è arrivato davanti alla cattedrale.

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Esteri

Vertici azzerati, incognita sul futuro di Hezbollah

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Orfano del suo storico leader Hasan Nasrallah, che a molti pareva quasi immortale, e con i vertici militari decapitati nell’arco di poche settimane, Hezbollah appare in ginocchio rispetto allo strapotere di Israele e senza esser stato, almeno finora, sostenuto a sufficienza dall’Iran e dai suoi stessi alleati. Ma Hezbollah non sarà cancellato dalla carta geografica del Medio Oriente, affermano diversi analisti, convinti che il partito riemergerà, nonostante il duro colpo, grazie a una nuova generazione di quadri politici e combattenti, forse addirittura più agguerriti di quelli decimati nelle ultime settimane da Israele.

Per questo gli occhi sono ora tutti puntati sul futuro di Hezbollah e sul suo suo successore più papabile, Hashem Safieddin: se alcune fonti avevano riferito della sua morte assieme a Nasrallah, col passare delle ore si fa strada l’ipotesi che il cugino materno del defunto leader sia invece in un luogo sicuro in attesa di prendere formalmente le redini del partito. Il comando pro tempore sembra esser stato intanto assunto dal vice segretario generale di Hezbollah, lo shaykh Naima Qassem, una figura pubblica, da anni incaricata per rilasciare le interviste ai media ma senza il carisma né la popolarità di cui ha goduto per tre decenni Hasan Nasrallah. Hashem Safieddin, dal canto suo, è da più parti indicato come legato a doppio filo all’Iran. Tanto che i vertici della Repubblica islamica lo avevano designato successore di Nasrallah già nel lontano 2009. Safieddin, attuale presidente del consiglio esecutivo di Hezbollah, è originario del sud del Libano, ed è più giovane di Nasrallah di soli quattro anni.

I due hanno studiato assieme nelle scuole religiose e politiche in Iraq e in Iran. Come il defunto segretario generale, Safieddin è un sayyid, ovvero un discendente del profeta Maometto secondo la tradizione sciita. Questo lo rende il successore perfetto. A differenza di Nasrallah, che inizialmente aveva aderito al partito libanese Amal, Safieddin è descritto come un ‘prodotto politico iraniano’. Il possibile futuro leader di Hezbollah non è soltanto legato per via materna all’ex leader, ma ha legami organici e familiari con la Repubblica islamica: suo fratello Abdallah rappresenta il Partito di Dio a Teheran, mentre suo figlio Rida è sposato con Zeinab Soleimani, la figlia dell’ex capo della Brigata Qods dei Pasdaran iraniani, Qasem Soleimani, ucciso dagli Stati Uniti a Baghdad nel gennaio del 2000.

Tra le difficilissimi sfide che attendono il successore di Nasrallah ci sono quelle di epurare il partito da infiltrati e spie nemiche, di ricostruire una struttura di comunicazione interna non più penetrabile da Israele e, di formare quasi ex novo l’impalcatura militare del partito armato. Nell’arco di due mesi otto alti comandanti militari sono stati uccisi in attacchi israeliani: non solo i capi dei gruppi in prima linea nel sud ma anche i vertici anziani come Ali Karaki, Ibrahim Aqil, Fuad Shukr, tutti uccisi in bombardamenti aerei nella periferia sud di Beirut. Tutti uccisi durante riunioni “segrete” svoltesi allo scoperto dagli sguardi indiscreti nemici. Così come è stata la sorte in serata di Hassan Yassin, ucciso in raid di Israele che lo descrive come “capo di un’unità della divisione di intelligence” di Hezbollah.

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Cronache

Segre-Seymandi, il garante per la privacy assolve il finanziere per il video-scandalo

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Non è punibile il finanziere torinese Massimo Segre per il video che nell’estate del 2023 fece realizzare nel corso di una festa in cui annunciò, a sorpresa, la rottura del fidanzamento con l’imprenditrice Cristina Seymandi. Lo ha stabilito il Garante della Privacy al termine di un’istruttoria. In base a quanto riportato da alcuni quotidiani locali, Segre aveva assegnato a un investigatore privato l’incarico di filmare il suo discorso, nel quale spiegava di voler troncare la relazione con la donna. L’intenzione, a quanto pare, era utilizzare il video soltanto in caso di strascichi legali. E siccome si trattava di un party privato non aperto al pubblico e tanto meno ai giornalisti, secondo il Garante non sono state commesse violazioni delle norme sul trattamento dei dati personali. La notizia dell’esistenza del video si diffuse nella cerchia dei conoscenti della coppia, quindi trapelò sugli organi di informazione.

La coppia e l’annuncio delle corna on line, la causa civile su 700mila euro aggiornata a settembre

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Esteri

Operazione New Order, così i comandanti israeliani hanno ucciso il capo di Hezbollah Hassan Nasrallah

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La sala piena ma composta, i volti severi e concentrati, gli scambi fitti tra i vertici militari: Israele sceglie pochi secondi di video per raccontare il momento della svolta, quello in cui va in scena l’operazione ‘New Order’ per eliminare il capo di Hezbollah, Hassan Nasrallah. Con immagini che riportano alla mente quella ‘Situation Room’ in cui l’allora presidente degli Stati Uniti Barack Obama seguì con il suo team e i militari l’Operazione Neptune Spear, che portò all’uccisione del leader di al-Qaeda Osama bin Laden nel 2011.

Nel filmato – diffuso dall’Idf e censurato in alcune parti per non mostrare segreti militari – la tensione riempie la sala del Centro di comando dell’aeronautica israeliana, quando si avvicina il momento di attaccare. Alle redini l’operazione – che per gli analisti ha richiesto “incredibile preparazione” con il coinvolgimento dell’intelligence – c’è il capo di stato maggiore Herzi Halevi. Accanto a lui, il ministro della Difesa Yoav Gallant, nella sua consueta camicia nera, e il capo dell’Aeronautica Tomer Bar.

Contemporaneamente, dall’altra parte del mondo, è Benyamin Netanyahu a dare l’ok al raid su Beirut: l’immagine del premier israeliano seduto alla scrivania, al ‘telefono rosso’ da New York per dare luce verde al bombardamento è diventata subito simbolo del colpo micidiale sferrato contro il gruppo sciita libanese, il punto di massima tensione dopo giorni di escalation militare tra i due schieramenti. Non è chiaro quando sia stato dato l’ordine di attaccare: quello che è certo è che al momento del raid sulla capitale libanese, Netanyahu stava svolgendo un briefing con la stampa dopo il suo intervento all’Assemblea generale dell’Onu. Informato dell’attacco in corso dal suo consigliere militare, il premier israeliano ha lasciato in fretta e furia la conferenza stampa, per poi annunciare il suo rientro anticipato in Israele.

Il raid aereo, condotto dai jet da combattimento israeliani, ha preso di mira il quartier generale centrale di Hezbollah: 80 le bombe sganciate, del peso di una tonnellata ciascuna, per raggiungere le profondità del bunker dove si trovavano Nasrallah e altri vertici del Partito di Dio. Riuniti – stando all’Idf – sottoterra per “coordinare attività terroristiche contro i cittadini dello Stato di Israele”. Lo Squadrone 69 dell’Iaf, conosciuto come ‘The hammers’, ha guidato l’attacco con i suoi aerei F-15i, considerati i principali bombardieri dell’esercito israeliano.

Nelle loro comunicazioni in volo, c’è tutta la soddisfazione per un’operazione che cambierà radicalmente la guerra: “Credo che abbiamo dato una dimostrazione di vittoria qui. Speriamo davvero di aver decapitato questa organizzazione terroristica, ben fatto, siamo molto orgogliosi”, dice nell’audio diffuso dall’Idf il comandante Tomer Bar rivolgendosi al capo dello squadrone dei jet. “Grazie mille comandante”, la risposta del pilota prima di ribadire quello che è ormai un mantra della dirigenza militare israeliana: “Raggiungeremo chiunque e ovunque. E faremo tutto il necessario per portare gli ostaggi a casa e riportare i residenti a nord”.

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