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Schlein lancia la campagna per riconquistare la Liguria

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“Oggi a Genova ha piovuto e ci siamo chiesti se fosse il caso di spostarci al chiuso. Ma abbiamo detto ‘proviamo’ perché noi vogliamo stare in mezzo alla gente non al chiuso negli alberghi con i soliti giri, è in piazza che vogliamo stare per vincere in Liguria e costruire un’alternativa per una Regione che se la merita tanto”. La segretaria nazionale del Pd Elly Schlein con un comizio nel cuore dei vicoli di Genova, in una piazza intitolata al ‘prete di strada’ don Andrea Gallo, ha lanciato così questa sera la campagna elettorale per riconquistare la Liguria dopo nove anni d’egemonia del centrodestra.

A sostegno della candidatura dell’ex ministro e deputato Andrea Orlando, la leader dem fa le prove del campo largo, anzi larghissimo, dal M5S a Italia Viva, sul cui simbolo però i pentastellati pongono un veto lasciando aperta la porta solo per alcuni candidati in una delle liste centriste in corsa. In contemporanea con l’apertura della campagna elettorale del candidato del centrodestra alla presidenza della Regione Liguria Marco Bucci, che sceglie un hotel cittadino anziché una piazza per lanciarla, Schlein incontra i sostenitori all’aperto.

“La prima grande questione da affrontare in Liguria è la difesa della sanità pubblica universalistica dai tagli e dalla privatizzazione strisciante della destra, che anche qui in Liguria non ha fatto eccezioni – ha detto ancora Schlein -. La cosa più pericolosa è che se vuoi smantellare la sanità pubblica non devi fare una delibera regionale, non devi neanche cambiare una legge, basta fare ciò che stanno facendo: togliere l’ossigeno, tagliare i finanziamenti senza avere nemmeno il coraggio di ammetterlo perché continuano a parlare di un grandioso investimento storico quando in realtà la spesa sanitaria sta scendendo sul Pil da quando è a Palazzo Chigi. Non è disattenzione o sciatteria, i liguri l’hanno visto sulla loro pelle. È un disegno perché la destra vuole una sanità a misura di portafoglio”. “Bucci è la continuità di Toti, è l’ora di dire ‘basta’ alle consorterie in Liguria – dichiara Schlein -. Con la candidatura del sindaco di Genova Toti ha trovato il modo di non dimettersi. Orlando è la figura più forte e autorevole per incarnare il cambiamento di cui ha bisogno la Liguria”. “È una sfida fondamentale per riportare la democrazia al posto delle consorterie e dell’oligarchia” dice ancora la segretaria denunciando “la doppia morale della destra: dopo mesi a dirci che Toti era vittima di un complotto ora che patteggia c’è silenzio totale.

Invece Meloni commenta il processo in corso a Salvini mostrando mancanza di rispetto per il principio della separazione dei poteri e scarso senso istituzionale”. Nel campo ‘larghissimo’ tessuto da Schlein in Liguria renziani e calendiani sono però divisi nella stessa coalizione. Italia Viva si presenta insieme a +Europa e Partito Socialista Italiano nella lista ‘Riformisti uniti per la Liguria’. Azione insieme ad Alleanza Civica Liguria e Movimento Repubblicani Europei nel ‘Patto Civico Riformista’, un’altra lista centrista pro Orlando. Ma al di là delle scaramucce tra Azione e Italia Viva il campo costruito da Schlein in Liguria è larghissimo. Il terremoto dell’inchiesta che ha portato alle dimissioni dell’ex presidente di Regione Giovanni Toti spinge centrosinistra e M5S a serrare le fila con la sola incognita della pattuglia di ex pentastellati e rappresentanti della società civile che sostiene il candidato di Uniti per la Costituzione, l’ex senatore M5S ed ex presidente della Commissione parlamentare antimafia Nicola Morra.

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Rottamazione e web tax, pioggia di emendamenti

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Valanga di emendamenti alla manovra. Dalla modifica della web tax allo stop all’aumento della tassazione sulle criptovalute, dalla nuova rottamazione fino all’aumento delle risorse alla sanità, sono nero su bianco le proposte con cui maggioranza e opposizione proveranno a modificare la legge di bilancio. E mentre i giochi entrano nel vivo alla Camera, al Senato la battaglia politica si gioca sul decreto legge Fisco, che ha sul tavolo altri cavalli di battaglia dei partiti, come il canone Rai o lo scudo penale. Gli emendamenti depositati alla commissione Bilancio di Montecitorio entro la scadenza fissata per oggi alle 16 sono 4.562, molti più dei circa 3mila dello scorso anno, quando però alla maggioranza era stato imposto il divieto a presentare proposte di modifica.

Il grosso delle proposte arriva dalle opposizioni: il più prolifico è il M5s con oltre 1.200 emendamenti, seguito da Pd (992) e Avs (352). La maggioranza si rifà quest’anno presentando poco più di un quarto di tutte le proposte: dei circa 1.200 emendamenti del centrodestra, sono FI e Lega a fare la parte del leone (501 degli azzurri e 428 del partito di via Bellerio); segue FdI (190, meno di due proposte a deputato) e Noi Moderati (142). Nel pacchetto di emendamenti della Lega spicca una nuova rottamazione, la quinquies, per le cartelle dal primo gennaio 2000 al 31 dicembre 2023. Proposta che va ad aggiungersi al tentativo analogo presentato da Forza Italia nel decreto Fisco. Un doppio canale che aumenta le chances perché la misura alla fine veda la luce. Il partito guidato da Matteo Salvini chiede anche di intervenire sul tetto al bonus mobili, di allargare il bonus mamme alle lavoratrici domestiche senza dimenticare il tema delle pensioni e della flessibilità in uscita.

Ed è anche pressing sulla tassazione delle criptovalute: l’obiettivo principale sarebbe quello di cancellare l’incremento al 42% dell’aliquota previsto in manovra. In alternativa, la proposta di mediazione è per un un mini-aumento, arrivando dall’attuale 26% al 28%. Forza Italia invece si fa sentire presentando un corposo pacchetto di emendamenti sull’editoria, che contiene anche l’esenzione dalla web tax della Rai, ma anche di tv radio e testate giornalistiche online. Forse un’implicita risposta al pressing che la Lega sta portando avanti per confermare anche nel 2025 il taglio del canone della televisione pubblica, su cui gli azzurri hanno già alzato un muro.

Proposta, quella leghista, che ha superato intanto il vaglio delle ammissibilità. Via libera anche al rinvio della seconda rata di acconto dell’Irpef per gli autonomi e alle proposte di FI su scudo penale e rottamazione quinquies. Salta invece la tassazione light per chi vende la casa ristrutturata col Superbonus: la proposta di FdI finisce tra i 133 emendamenti inammissibili, di cui 61 sono della maggioranza. Per incidere sulla manovra, le opposizioni – con l’eccezione di Iv – provano intanto a non disperdere le forze, dando un segnale con un emendamento unitario firmato da tutti i leader, per chiedere più fondi per il finanziamento del Sistema sanitario nazionale. “Sfidiamo Meloni su proposte concrete”, dice dal Pd la capogruppo Chiara Braga, spiegando che gli emendamenti Dem puntano anche su istruzione, lavoro e salario, transizione ecologica e diritti sociali e civili. “Un’altra idea di Italia”, il leit motiv.

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Alta tensione all’Eurocamera, il sì a Fitto è in bilico

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La tensione alle stelle, il rischio che i veti reciproci dei gruppi portino a conseguenze imprevedibili, la sensazione che, martedì, la partita non sarà chiusa: la notte prima degli esami di Raffaele Fitto viaggia sul filo della suspense. Sul candidato italiano alla vice presidenza esecutiva della Commissione converge il grande scontro in atto tra Socialisti e Ppe. Con i primi decisi a costringere i secondi ad abbandonare ogni tentazione di aprire alle destre. Dall’altra parte i Popolari sono pronti a legare il destino di Fitto a quello di altri candidati, la spagnola Teresa Ribera su tutti. E l’impressione è che toccherà direttamente a Ursula von der Leyen scendere in campo per un’ultima mediazione.

Sono sei i vicepresidenti esecutivi in pectore impegnati nelle audizioni di martedì. Si comincia con Raffaele Fitto e Kaja Kallas, si finisce con Henna Virkkunen e Teresa Ribera. In mezzo l’esame di Roxana Minzatu e Stephane Sejourné. Quattro, su sei, rischiano il rinvio. Senza il sì di Socialisti, Renew e Greens Fitto non ha la maggioranza dei 2/3. I tre partiti centro-progressisti potrebbero allora congelare la loro valutazione, tenendo quindi aperto il collegio dei coordinatori dei gruppi (sono loro a votare nei primi due scrutini) nella commissione Regi che esaminerà il ministro italiano.

In tal caso, la rappresaglia del Ppe (oltre che di Ecr) sarebbe nell’ordine delle cose: ad essere congelate sarebbero anche le valutazioni della socialista Ribera e del liberale Sejourné. In un gioco di veti che porterebbe S&D, Renew e Verdi a sospendere a loro volta l’approvazione della popolare Virkkunen. Le ore che hanno preceduto quello che, a Bruxelles, chiamano con un filo di ironia il Super Tuesday, sono state segnate da un crescendo di tensione. Nella riunione dei Socialisti, ad emergere, è stata la linea dura, guidata dalle delegazioni francese e tedesca.

“Il problema è politico – viene spiegato – e von der Leyen lo deve risolvere”. Ma qual è? L’apertura alle destre inaugurata dal leader del Ppe Manfred Weber. Un’ apertura che, in S&D, immedesimano anche nella concessione della vice presidenza esecutiva a Fitto. “Ribera è socialista: l’accordo tra noi e il Ppe sin dall’inizio della legislatura è stato tra forze europeiste, è un accordo che va rispettato. Non è accettabile che si metta sullo stesso piano Ribera e Raffaele Fitto. Se cade l’accordo ne risponderà Weber”, è stato l’avvertimento lanciato dalla presidente del gruppo socialista Iratxe Garcia Perez. La linea dei Greens coincide con quella di S&D. L’incognita, però resta legata ai Liberali.

Il gruppo Renew si è riunito in tarda serata. L’apertura ai sovranisti del Ppe non è gradita neanche a queste latitudini ma, in Renew, potrebbe emergere la più classica delle Realpolitik: votare Fitto per evitare che i due candidati liberali siano a loro volta bloccati. Ed è su questa ipotesi che, in Ecr, fanno affidamento.

“Stupiscono i continui veti dei Socialisti e l’incapacità del Pd di sostenere l’interesse nazionale. O il Pd vorrebbe sostenere Fitto ma non è in grado di farsi rispettare dalla sua famiglia politica, oppure non sta difendendo l’interesse nazionale italiano, perché accecato dal proprio odio ideologico”, hanno sottolineato fonti di Fdi. Uno stop, sia pur momentaneo, a Fitto, potrebbe avere conseguenze politiche che vanno oltre l’Eurocamera.

Difficile, infatti, che la premier Giorgia Meloni non reagisca. D’altra parte, in Fdi ci si aspetta anche che il premier spagnolo Pedro Sanchez si muova per tutelare la sua candidata, Ribera, destinata ad avere il portafoglio più importante tra quelli dei vice. Si correrà, insomma, sul filo del rasoio. Ed è tutt’altro che escluso che von der Leyen appaia al Pe per mediare in prima persone e salvare il suo team.

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Nessun chiarimento con la premier Meloni, sciopero confermato di Cgil e Uil: la Cisl si sfila

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Quasi sei ore di confronto sulla manovra a Palazzo Chigi non cambiano le posizioni di Cgil e Uil. È confermato lo sciopero generale del 29 novembre, hanno annunciato i leader Maurizio Landini e Pierpaolo Bombardieri, al termine di un incontro fiume in cui hanno regalato a Giorgia Meloni rispettivamente il libro di Camus “L’uomo in rivolta” e una calcolatrice. Un siparietto che alleggerito l’atmosfera all’inizio ma senza modificare lo scenario di netta contrapposizione. Né ha fatto breccia nelle due sigle sindacali l’impegno della premier per un nuovo intervento sull’Irpef in base alle “risorse che avremo a disposizione e che arriveranno anche alla chiusura del concordato preventivo”.

Un bilancio che sarà nuovamente aggiornato dopo il 12 dicembre, quando scadrà la nuova finestra di un mese del concordato come previsto dal decreto legge che il Consiglio dei ministri si appresta a varare nelle prossime ore, per poi farlo confluire come emendamento nel decreto fiscale, all’esame della commissione Bilancio del Senato. Reso strutturale il passaggio da 4 a 3 aliquote Irpef, con l’accorpamento dei primi due scaglioni di reddito, l’intenzione dell’esecutivo, ha chiarito Meloni, “è intervenire anche sullo scaglione successivo”. L’epilogo dell’incontro non ha sorpreso Meloni. Che per il protrarsi della riunione con le sigle sindacali non è andata a Bologna per il comizio del centrodestra per le Regionali, preceduto da giorni di polemiche politiche per gli scontri. Nel suo intervento in videocollegamento la leader di FdI ha ribadito il proprio stupore per i “toni senza precedenti” usati da sindacati, per quella esortazione alla “rivolta sociale”. E ha raccontato di aver domandato a Landini e Bombardieri come mai non avessero indetto lo sciopero “quando il tasso di disoccupazione era doppio o i governi di sinistra usavano i soldi dei cittadini per salvare le banche: nessuna risposta”.

“Non si è potuto fare un passo avanti”, è la sintesi del segretario della Cgil, ribadendo il “pessimo” giudizio sulla manovra, su cui il governo ha confermato che i margini di modifica “sono limitati”. Per Landini l’aumento salariale per il pubblico impiego “non può essere il 6% proposto nell’accordo separato”, rispetto alla crescita dell’inflazione, e “l’unica spesa che viene aumentata è quella per armi e difesa”. Bombardieri coglie da Meloni la “disponibilità a discutere della detassazione degli aumenti contrattuali”, pronto al confronto “se il governo decide di cambiare le scelte”. Ma per ora non basta: “Si sono specchiate due visioni diverse della manovra”. Il segretario generale della Cisl Luigi Sbarra giudica invece “convincenti” le risposte su “sostegno ai redditi, lavoro, pensionati e famiglie”.

A dispetto dei suoi colleghi non ha portato “gadget” alla premier “ma proposte per migliorare la politica di sviluppo di questo Paese”, come ha spiegato prima dell’inizio della riunione a Palazzo Chigi, a cui hanno partecipato sette ministri, da quello dell’Economia Giancarlo Giorgetti al vicepremier Antonio Tajani, ma non Matteo Salvini. Accettando la nuova calcolatrice, Meloni ha notato con sarcasmo che Bombardieri potrà usarla “per fare un rapido calcolo” e verificare “la cifra record” messa dal governo sul capitolo sanità.

La premier difende i vari capitoli della manovra, dalle pensioni minime che “anche nel 2025 e nel 2026 saranno rivalutate oltre il livello di inflazione indicato dall’Istat”, alle misure per la famiglia, passando per il quoziente familiare nelle tax expenditures. Tutto ciò, ha aggiunto, segna “un cambio di passo”, non più “misure più utili a raccogliere consenso nell’immediato” ma “le basi per una crescita duratura”. Nella sua analisi torna sempre l’eredità del superbonus, che pesa “38 miliardi nel 2025”, senza cui “qualsiasi provvedimento di questa legge di bilancio avrebbe potuto essere più che raddoppiato”. Nonché la rivendicazione che “la credibilità e il coraggio di questo Governo hanno consentito di poter far partecipare banche e assicurazioni alla copertura” della manovra.

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