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Mappa e tempi del nuovo esecutivo Ue, domina il Ppe

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Sei vicepresidenti esecutivi, undici donne su 27 commissari in totale, egemonia politica dei Popolari. La mappa dell’esecutivo Ue proposto da Ursula von der Leyen si basa innanzitutto su questi tre pilastri. Tra i vicepresidenti esecutivi, quattro sono donne e due uomini, in un rapporto inversamente proporzionale a quello che emerge nel totale dei commissari designati.

– I PARTITI. Da un punto di vista politico ed escludendo la presidente von der Leyen, 14 sono i commissari del Ppe, cinque dei Liberali, cinque dei Socialisti (con l’incognita Maros Sefcovic, membro degli slovacchi di Smer, attualmente sospesi). Raffaele Fitto è il solo esponente di Ecr, Oliver Varlhelyi, pur essendo un tecnico, è stato nominato dal kingmaker dei Patrioti, Viktor Orban.

– I TEMPI. I due slot scelti per le audizioni dei commissari designati sono il 15-18 ottobre e il 4-7 novembre. Von der Leyen punta al primo, per ottenere il via libera della Plenaria a novembre e l’entrata in vigore il primo dicembre. E’ quasi impossibile, invece, che la Commissione abbia poteri pienamente efficaci già il primo novembre. Anzi, le complesse procedure delle audizioni rendono ulteriori ritardi più che possibili.

– I COMMISSARI DESIGNATI: Presidente: Ursula von der Leyen. Vicepresidenti esecutivi: Teresa Ribera (Spagna) vicepresidente esecutiva per la transizione pulita, giusta e competitiva e la concorrenza; Henna Virkkunen (Finlandia) vicepresidente esecutiva per la sovranità tecnologica, sicurezza e democrazia; Stéphane Séjourné (Francia) vicepresidente esecutivo per la prosperità e la strategia industriale; Roxana Minzatu (Romania) vicepresidente esecutiva per le persone, le competenze e la preparazione; Raffaele Fitto (Italia) vicepresidente esecutivo per la coesione e le riforme; Kaja Kallas (Estonia) Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza. Commissari: Magnus Brunner (Austria) agli Affari interni e migrazione; Hadja Lahbib (Belgio)alla Preparazione, gestione delle crisi, uguaglianza; Ekaterina Zaharieva (Bulgaria) per Start-up, ricerca e innovazione; Dubravka Šuica (Croazia) al Mediterraneo; Costas Kadis (Cipro) alla Pesca e oceani; Jozef Síkela (Repubblica Ceca) per i Partenariati internazionali; Dan Jorgensen (Danimarca) a Energia e alloggi; Apostolos Tzitzikostas (Grecia) per Trasporti sostenibili e turismo; Olivér Várhelyi (Ungheria) Salute e benessere animale; Michael McGrath (Irlanda) Democrazia, giustizia e stato di diritto; Valdis Dombrovskis (Lettonia) all’Economia e produttività, implementazione e semplificazione; Andrius Kubilius (Lituania) alla Difesa e spazio; Christophe Hansen (Lussemburgo) Agricoltura e alimentazione; Glenn Micallef (Malta) all’Equità intergenerazionale, gioventù, cultura e sport; Wopke Hoekstra (Paesi Bassi) al Clima, crescita pulita e obiettivi net-zero; Piotr Serafin (Polonia) al Bilancio, anti-frode, pubbliche amministrazioni; Maria Luís Albuquerque (Portogallo) per i Servizi finanziari; Maroš Šefcovic (Slovacchia) al Commercio e sicurezza economica, relazioni interistituzionali e trasparenza; Marta Kos (Slovenia) all’Allargamento; Jessika Roswall (Svezia) all’Ambiente, resilienza idrica ed economia circolare competitiva.

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Esteri

Nasrallah: l’attacco di Israele dichiarazione di guerra

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Il fronte israelo-libanese del Medio Oriente in fiamme è diventato l’epicentro delle ostilità, facendo quasi passare in secondo piano la situazione a Gaza. In Galilea le sirene hanno risuonato continuamente per i razzi lanciati dagli Hezbollah, e gli israeliani hanno risposto con massicce incursioni aeree in Libano. I caccia dell’Idf hanno anche sorvolato a bassa quota Beirut, rompendo il muro del suono, come gesto di sfida al discorso di Hassan Nasrallah, che si attendeva giurasse vendetta per il maxi sabotaggio ai cercapersone e ai walkie talkie delle sue milizie. “E’ stata una dichiarazione di guerra da parte di Israele”, ha tuonato il leader sciita, senza tuttavia annunciare per il momento un contrattacco sul larga scala. “La punizione arriverà, ma non diremo quando e dove”, il suo unico avvertimento.

A cui è seguito il via libera dello stato maggiore israeliano ai piani di battaglia per il confine settentrionale. Il conteggio delle vittime non è ancora concluso, dopo la sorprendente operazione che in due giorni ha messo in scacco gli Hezbollah facendo esplodere migliaia di apparecchi di comunicazione in tutto il Paese ed anche in Siria, provocando almeno una quarantina di morti e tremila feriti. Un’azione non rivendicata dallo Stato ebraico, ma con i tratti distintivi del Mossad. Lo stesso Nasrallah, nell’intervento trasmesso in tv da una località segreta, ha ammesso che il suo movimento “ha subito un duro colpo, senza precedenti”. Allo stesso tempo ha accusato il nemico di aver “oltrepassato tutte le linee rosse” prendendo di mira “aree affollate di civili”. La sua retorica incendiaria contro Israele non ha tuttavia portato all’annuncio di un’escalation militare.

Il capo del partito di Dio si è limitato a promettere che il “fronte libanese resterà aperto finché non finirà l’aggressione contro Gaza” e che la rappresaglia ci sarà, senza tuttavia precisare “tempi e luoghi”. Ancora una volta, un apparente segnale di voler puntare più su una guerra psicologica con Israele che su un conflitto su larga scala. In linea con gli alleati iraniani. Il discorso di Nasrallah è stato oggetto di valutazione durante una riunione convocata da Benyamin Netanyahu con i suoi ministri, ma lo Stato ebraico continua a premere con l’obiettivo dichiarato di riportare nelle proprie case i 60mila residenti fuggiti dalle zone di confine, dove oggi sono stati uccisi due soldati israeliani. Negli ultimi giorni il governo, a partire dal premier, ha ripetuto che serve un “cambiamento fondamentale” per la sicurezza nel nord, mentre il ministro della Difesa Yoav Gallant ha parlato di una “nuova fase della guerra” in cui le “operazioni continueranno”. Anche se l’ex generale, spesso in rotta di collisione con Bibi, ha parlato di “opportunità significative ma anche di gravi rischi”. Proprio per scongiurare i gravi rischi legati alla polveriera libanese si moltiplicano i tentativi di mediazione della diplomazia occidentale.

I ministri degli Esteri di Stati Uniti, Francia, Italia, Germania e Gran Bretagna si sono riuniti a Parigi per fare il punto della situazione. Antony Blinken, in un bilaterale con Stephane Sejourne, ha invocato “moderazione da tutte le parti”, mentre Antonio Tajani ha portato nella capitale francese, per condividerle con i colleghi, le informazioni che arrivano dai militari italiani impegni in Unifil, a Beirut e al confine israelo-libanese. Dalla Cnn intanto è arrivata l’indiscrezione che Netanyahu non incontrerà Joe Biden a New York, a margine dell’Assemblea generale dell’Onu. Un ulteriore indizio che non lascia intravedere nulla di buono, neanche per quanto riguarda la trattativa sugli ostaggi a Gaza. Anche il capo del Pentagono Lloyd Austin ha rinviato il suo viaggio in Israele inizialmente previsto all’inizio della prossima settimana in seguito all’escalation delle tensioni. In questa persistente instabilità, le compagnie aeree sono corse ai ripari: sia Lufthansa che Air France hanno esteso lo stop ai voli nella regione, mentre Londra ha invitati i britannici a lasciare il Libano quanto prima paventando “un rapido peggioramento della situazione”.

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Esteri

‘Società fittizie del Mossad per i device bomba’

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Appare come un intricato rompicapo, dove ogni tassello ne nasconde un altro, la vicenda dei dispositivi di comunicazione esplosi nelle mani e nelle tasche dei miliziani di Hezbollah. Chi li ha prodotti? Chi li ha manomessi? Chi infine li ha forniti ai soldati del partito di Dio? Il New York Times conferma, citando tre funzionari informati, che dietro all’intera operazione ci sono i servizi segreti israeliani: il Mossad non si sarebbe limitato a manomettere i cercapersone in qualche fase della loro produzione o distribuzione, ma li avrebbe direttamente “fabbricati come parte di un elaborato stratagemma”. E per farlo avrebbe costituito la società ungherese Bac Consulting, con sede a Budapest: questa era stata indicata come “unica responsabile della progettazione e produzione” dei cercapersone in questione dalla taiwanese Gold Apollo, detentrice del marchio (ben visibile dalle immagini dei dispositivi esplosi), che ha negato ogni coinvolgimento.

La Bac, aggiunge il Nyt, forniva cercapersone anche ad altre aziende, ma solo quelli destinati a Hezbollah erano stati dotati di batterie con esplosivo Petn (tetranitrato di pentaeritrite). Le fonti hanno spiegato al giornale americano che gli israeliani hanno inoltre creato altre due società fittizie per mascherare il legame tra la Bac e il Mossad. I dispositivi sarebbero cominciati ad arrivare in Libano già dal 2022, ma gli israeliani ne avrebbero aumentato la produzione dopo che il leader Hassan Nasrallah aveva ordinato ai suoi di evitare l’uso dei telefoni cellulari, facilmente tracciabili dal Mossad, a favore dei più elementari cercapersone o walkie talkie, distribuiti a migliaia tra gli ufficiali del movimento sciita e ai suoi alleati iraniani. Mercoledì anche l’ad di Bac, Cristiana Barsony-Arcidiacono, ha respinto le accuse di aver prodotto i cercapersone esplosivi, e il governo di Budapest ha assicurato che la società “è un intermediario commerciale e non ha siti produttivi in Ungheria” e che quei dispositivi “non sono mai stati in territorio ungherese”. Citando fonti anonime, il sito magiaro Telex ha a sua volta indicato un’altra società, stavolta in Bulgaria: la Norta Global, con sede a Sofia, che avrebbe importato i cercapersone e organizzato la consegna al movimento libanese. Fondata nell’aprile 2022 dal norvegese Rinson Jose, ha registrato l’anno scorso un giro d’affari di circa 650.000 euro per consulenze amministrative a clienti fuori dall’Ue.

I servizi di sicurezza bulgari (Dans) hanno già aperto un’inchiesta “attraverso il fisco e il ministero dell’Interno per chiarire l’eventuale ruolo della società nella fornitura di strumenti di comunicazione a Hezbollah”. La Dans ha tuttavia escluso che i dispositivi siano arrivati legalmente in Unione europea attraverso la Bulgaria: “Nessun controllo doganale con i suddetti prodotti è stato registrato” dagli agenti, ha riferito in un comunicato. Secondo la tv bulgara, attraverso il Paese sono passati solo flussi di cassa: circa 1,6 milioni di euro. Anche la polizia di Oslo ha annunciato l’apertura di un’indagine preliminare sulle attività di Jose. Dei walkie talkie esplosi mercoledì a sud di Beirut e in altre località del Libano si sa – anche questo dalle immagini – che riportavano il marchio della giapponese Icom. La società con sede a Osaka ha reso noto di aver prodotto ed esportato il modello IC-V82, “anche in Medio Oriente, dal 2004 all’ottobre 2014” e di averne interrotto la produzione “circa 10 anni fa: da allora non sono stati più spediti dalla nostra azienda”. “Stiamo indagando sui fatti riguardanti questa questione – ha assicurato la stessa Icom -. Pubblicheremo informazioni aggiornate, non appena saranno disponibili, sul nostro sito web”.

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Americas Cup, Luna Rossa batte American Magic e sfiderà Ineos per accedere alla finale contro New Zealand

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Luna Rossa si è qualificata per la finale della Louis Vuitton Cup, dove affronterà Ineos Britannia.

L’equipaggio italiano del team Prada Pirelli ha ottenuto il punto decisivo contro American Magic nell’ottava regata della semifinale, chiudendo la serie con un punteggio di 5-3. Nonostante un iniziale vantaggio di 4-0, Luna Rossa ha visto un parziale recupero da parte degli statunitensi, che si sono portati sul 4-3, prima della reazione decisiva degli italiani. La finale contro Ineos Britannia si giocherà al meglio delle 13 regate a partire dal 26 settembre, e decreterà chi sfiderà Team New Zealand nell’America’s Cup, che si terrà dal 12 ottobre.

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