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Ursula vuole chiudere sulle nomine, il nodo deleghe

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Chiudere la lista dei nuovi commissari martedì prossimo per avere il nuovo esecutivo formalmente efficace dal primo dicembre, a meno di un mese dalle elezioni americane: Ursula von der Leyen, in queste ore, ha un solo obiettivo in testa. Centrarlo, tuttavia, resta non facile. Le incognite attorno ai portafogli da assegnare ai vari commissari restano diverse, il Parlamento sloveno continua a tenere in sospeso il via libera al candidato di Lubiana, e le formazioni del centro e del centro-sinistra sono pronte ad una battaglia senza esclusione di colpi per dire la loro.

“Da qui a martedì è lunga, soprattutto se si parla di politica”, sono le parole con le quali, il portavoce della Commissione Eric Mamer, ha riassunto i mille dubbi che attanagliano i vertici di Palazzo Berlaymont. Lo stesso Mamer, invero, ha spiegato tuttavia che von der Leyen è “determinata” nel rispettare la scadenza prefissata. Martedì, a Strasburgo, vuole presentare la sua squadra al Conferenza dei presidenti, e poi illustrare le sue scelte alla stampa. Lunedì in un ultimo round di incontri con i gruppi della maggioranza, proverà a puntellare il suo castello. Con il rischio che una pedina sbagliata potrebbe far saltare tutto, in un quadro nel quale i rapporti tra il Ppe e gli altri gruppi filo-Ue – Socialisti, Liberali e Verdi – sono tornati ad essere a dir poco traballanti. “I Socialisti non sono mai stati così deboli, bocciare i candidati sostenuti dal Ppe potrebbe trasformarsi in un boomerang”, ha avvertito il capodelegazione di FI Fulvio Martusciello. Il primo vero ostacolo davanti a von der Leyen si annida invero non a Roma, ma nella piccola Slovenia. Nel Paese carsico il cambio di candidato deciso dal primo ministro Robert Golob ha innescato una rivolta politica bipartisan.

L’accusa, trasversale, è che sia stata von der Leyen a costringere Golob a far ritirare Tomaz Vesel sostituendolo con Marta Kos, in nome dell’equità di genere. La commissione parlamentari per gli Affari Esteri e Ue, che era chiamata a votare Kos, non è stata neppure convocata. Gli europarlamentari sloveni di Sds – forza che fa capo all’ex premier populista Janez Jansa ma che è dentro al Ppe – hanno annunciato che non voteranno per la candidata e hanno chiesto accesso ai documenti della Commissione e del governo sloveno relativi alle procedure di candidature. E l’ex diplomatica Marta Kos è stata accusata di aver collaborati con i servizi segreti iugoslavi. Von der Leyen, di fronte allo stallo sloveno, potrebbe andare comunque sulla sua strada, forzando la mano e presentando ugualmente la lista, con il nome di Kos al suo interno. Ma sarebbe una mossa che non distenderebbe il clima attorno alle nomine europee. Nomine sulle quali le deleghe da assegnare restano avvolte in una nube di incertezze. Le vice presidenze esecutive dovrebbero essere sei, come anticipato, e andare a Thierry Breton, Teresa Ribera, Valdis Dombrovskis, Raffaele Fitto, Maros Sefcovic, Kaja Kallas.

Del sestetto il più debole è Sefcovic, commissario uscente di lunga esperienza e apprezzato a Bruxelles, ma rappresentante di un Paese, la Slovacchia, che con il populista Robert Fico si avvicina a grandi passi alle posizioni orbaniane. Fitto potrebbe invece avere una delega diretta alla Coesione e al Pnrr, perdendo quella all’Economia, dossier che non è ancora chiaro se rientrerà in quelli sotto la sua vicepresidenza. Per l’Italia, in ogni caso, è importante che sotto l’ala di Fitto finisca una Direzione Generale (la dg Regio, ad esempio). Nel frattempo è stato Enrico Letta a spiegare che, se Fitto si mostrerà impegnato per l’Ue, dovrebbe avere “il più ampio sostegno possibile”: A Breton è in via di assegnazione il potente portafogli dell’Industria, a Ribera andrebbe la Concorrenza, a Dombrovskis l’Allargamento e il dossier della ricostruzione ucraina. Von der Leyen, per placare i Socialisti, dovrà assegnare gli Affari Sociali e le Politiche abitative ad un loro esponente, forse la romena Roxana Minzatu. Nel frattempo il gruppo S&D continua ad alzare la posta: l’ultima richiesta è quella di un commissario ad hoc allo Sviluppo.

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Politica

Stretta su sim e cannabis, primo sì a ddl sicurezza

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Via libera dell’Aula della Camera al ddl Sicurezza che ora passa al Senato dove la Lega ha già fatto sapere che chiederà una corsia preferenziale. I sì sono stati 162, i no 91 e 3 gli astenuti. Il provvedimento, molto contestato dalle opposizioni, introduce diverse novità: dalle bodycam che potranno essere indossate dagli agenti delle forze dell’ordine alla stretta sulle rivolte in carcere e sulle sim ai migranti, dal giro di vite sulle mamme detenute dall’aggravante per chi protesta col fine di impedire una opera pubblica strategica. E ancora: norme contro l’occupazione abusiva delle case, per la tutela legale delle forze dell’ordine, contro la cannabis light. Via libera all’odg leghista sulla castrazione chimica.

Ecco i 10 punti principali:

BODYCAM PER LA POLIZIA – Sì alle bodycam per le forze di polizia impegnate nel mantenimento dell’ordine pubblico, anche se non come dotazione obbligatoria. Non sono previsti, invece, numeri identificativi sulle divise degli agenti, richiesti da parte delle opposizioni.

VIDEOCAMERE NEGLI INTERROGATORI – Si introduce la possibilità di utilizzare le videocamere nell’ambito degli interrogatori delle forze dell’ordine. Una norma, viene spiegato, a tutela dagli abusi d’ufficio come dalle accuse di abuso d’ufficio.

NORMA ANTI-GANDHI – Carcere fino a un mese per chi da solo blocca una strada o una ferrovia e da sei mesi a due anni se il reato viene commesso da più persone riunite. La norma è stata soprannominata “anti-Gandhi” dalle opposizioni. Tra le aggravanti introdotte nel provvedimento c’è anche quella per i reati commessi nelle stazioni o nelle loro vicinanze.

DETENUTE MADRI – Diventa facoltativo e non più obbligatorio il rinvio della pena per le donne in gravidanza e le madri con figli sotto l’anno: un emendamento dei relatori, approvato in Aula, prevede che ogni anno il governo presenti una relazione sulla attuazione delle misure cautelari nei confronti delle donne incinte e delle madri con figli di età inferiore a tre anni.

STRETTA SULLA CANNABIS LIGHT – Stop alla coltivazione e la vendita delle infiorescenze, anche di cannabis a basso contenuto di Thc, per usi diversi da quelli industriali consentiti. Il commercio o la cessione di infiorescenze viene punito con le norme del testo unico sulle sostanze stupefacenti.

MISURE PER I NO TAV E PONTE – Arriva un’aggravante per punire la violenza o la minaccia a un pubblico ufficiale se commessa per impedire la realizzazione di un’opera pubblica o di una infrastruttura strategica.

TUTELA LEGALE DELLE FORZE DELL’ORDINE – Raddoppio delle spese legali, con un tetto fino a 10mila euro, per forze dell’ordine, forze armate o agenti indagati per fatti inerenti al servizio.

OCCUPAZIONE DELLE CASE – Viene istituito un nuovo reato contro l’occupazione abusiva degli immobili: sarà quello di ‘occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui’. La pena prevista è il carcere da due a sette anni.

SIM PER EXTRACOMUNITARI SOLO CON PERMESSO – I cittadini extracomunitari che vogliono acquistare Sim sul territorio nazionale dovranno presentare agli operatori, oltre ai documenti di identità, anche “copia del titolo di soggiorno”.

“RESISTENZA PASSIVA” IN CARCERE – Si introduce nel codice penale anche la “resistenza passiva” in carcere. Il testo prevede che hi “partecipa ad una rivolta mediante atti di violenza o minaccia o di resistenza all’esecuzione degli ordini impartiti, commessi in tre o più persone riunite, è punito con la reclusione da 1 a 5 anni”. In tale contesto “costituiscono atti di resistenza anche le condotte di resistenza passiva”.

CASTRAZIONE CHIMICA – Uscita di scena come emendamento in commissione, la possibilità di accesso alla castrazione chimica rientra come odg. L’impegno è ad aprire una commissione o un tavolo tecnico per valutare, in caso di reati di violenza sessuale, la possibilità per il condannato di aderire a percorsi di assistenza sanitaria, sia psichiatrica sia farmacologica, anche con un eventuale trattamento di “blocco androgenico”.

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L’ira di Calenda per le uscite, traditi gli elettori

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Sostenuto compattamente dai membri della Direzione – riferisce una nota – a sera Carlo Calenda ribadisce che il posizionamento di Azione è “distinto dal campo largo e dai populismi di destra e di sinistra” e “al centro dello schieramento politico così come hanno voluto gli elettori”, per offrire una sua proposta “riformista e pragmatica”. Parole che censurano l’addio al partito di Mariastella Gelmini, Mara Carfagna, Giusy Versace ed Enrico Costa, dopo la scelta di Calenda di sostenere il candidato di centrosinistra anche per la successione di Giovanni Toti in Liguria, dopo l’Emilia Romagna e l’Umbria. Calenda ha provato a fare buon viso, augurando loro “Buona strada”. Ma poi le ha accusate di cattivo gioco: “L’unico dispiacere è che quando si viene eletti all’opposizione, se si ha rispetto per gli elettori, normalmente non si passa in maggioranza a metà legislatura. E’ chiaro che tradiscono il mandato elettorale e ne rispondono agli elettori”.

Per il momento, le destinazioni delle tre ex di Azione non sono ufficiali. Certo è che lo schieramento a cui guardano è scontato e lo rivendicano loro stesse: il centrodestra. Qualche invito lo hanno già ricevuto: “Noi moderati – ha scritto Maurizio Lupi – da sempre è un partito impegnato a rafforzare l’area centrista, popolare, liberale, sussidiaria e riformatrice del centrodestra, che si riconosce nei valori e nei principi del Ppe, la nostra famiglia politica europea. Guardiamo con grande rispetto al disagio politico di chi si è impegnato a costruire una forza centrista e poi, pur non avendo una storia personale di sinistra, si è trovato di fatto nel cosiddetto Campo largo”.

E’ la scelta dello schieramento di riferimento a non essere piaciuta a Carfagna, Gelmini e Versace, non tanto il candidato in Liguria del centrosinistra, l’ex ministro Pd Andrea Orlando. Ma i messaggi di addio hanno fatto infuriare Azione. “Andare via dicendo che Azione ha scelto il campo largo è una menzogna – ha detto il capogruppo alla Camera di Azione, Matteo Richetti – perché se c’è una cosa che ci rinfacciano gli elettori è di non aver scelto”, visto che nei territori Azione a volte sta col centrodestra altre col centrosinistra. “Noi scegliamo in base ai programmi e ai candidati”. E poi, a scanso di equivoci: “Il motivo per cui Azione non entra nel campo largo è che o cominciamo a costruire coalizioni che assicurano la capacità di governare, oppure possiamo anche fare l’ammucchiata per mandare a casa Meloni e la destra, ma il minuto dopo abbiamo un onere a cui non sappiamo rispondere”.

Il messaggio è arrivato anche alla segretaria Pd, Elly Schlein, che al campo largo ci lavora eccome, cercando equilibri fra il presidente del M5s Giuseppe Conte, il leader di Iv Matteo Renzi, Calenda e tutti gli altri. Un progetto che convince anche il governatore campano, Vincenzo De Luca, che pure con Schlein non va troppo d’accordo. “Serve un’alleanza politica, una coalizione – ha detto de Luca – Anche con i 5 Stelle? Ci devono stare tutti”. Renzi, a margine di un evento a Napoli proprio con De Luca, non ha perso l’occasione per la stoccata: “Tutti sappiamo che la scelta di Calenda di distruggere il Terzo Polo era un errore – ha detto – Ha iniziato col distruggere il Terzo Polo, ora distrugge anche Azione. Ma è un problema loro”. Poi ha ribadito che lui, invece, nel campo largo ci sta: “Siamo impegnati a portare le ragioni del centro nel centrosinistra e quindi portare il centrosinistra a vincere grazie al voto dei moderati e dei riformisti. Se non c’è il voto dei moderati e riformisti il centrosinistra perde”.

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Conte chiede a base di esprimersi su mandati e garante

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Interpellato fuori dalla Camera sullo scontro con Beppe Grillo, il presidente M5s Giuseppe Conte preferisce non entrare nel merito. “Sul Movimento – dice – rispondo a qualsiasi domanda che riguarda i 22 mila contributi pervenuti per l’Assemblea Costituente”. Insomma, nella guerra aperta con il garante, l’ex premier tira dritto e torna a difendere il processo costituente. Proprio mentre sul sito del M5s si tirano le fila del confronto online e si dà il via al voto degli iscritti. Chiamati a scegliere dodici tra venti temi, che saranno poi discussi nella seconda fase della Costituente 5s. Tra questi, i più sentiti dalla base sono quelli che riguardano l’organizzazione del Movimento.

“Risulta prioritario – si legge nel lungo documento a disposizione degli attivisti – verificare se vadano modificati alcuni ruoli e funzioni, in particolare quelli del presidente e del garante dei valori, i loro ambiti di intervento e la durata del loro mandato”. Il presidente Conte aveva già messo in discussione il suo ruolo all’indomani delle elezioni europee. Ora, però, è chiaro che sui tavoli di confronto del Movimento potrebbe arrivare anche la figura del garante ricoperta da Grillo. E con questa almeno altre due questioni: il cambio del nome e del simbolo, e l’eventuale revisione del limite dei due mandati. Tutti i punti, insomma, su cui il fondatore M5s sta facendo muro da mesi. Non solo con post e lettere, ma anche con una diffida inviata a Conte, nel quale sanciva che nessuna discussione potesse riguardare i valori fondativi. Tra i corridoi di Montecitorio, si fa sempre più largo l’ipotesi che Grillo possa procedere per vie legali pur di delegittimare l’assemblea costituente.

Qualcuno, al tempo stesso, è convinto che il garante non voglia rinunciare alla battaglia politica. Con l’obiettivo di portare gli iscritti a scegliere: lui e il M5s delle origini oppure il presidente e il suo Movimento. In una sfida all’ultimo voto, che appare sempre più come un Referendum che ha solo due opzioni sulla scheda: Giuseppe Conte o Beppe Grillo. Con il rischio, per alcuni ancora molto alto, che l’epilogo dello scontro possa portare a una scissione. Intanto, a chi in Transatlantico paragona Daniele De Rossi a Grillo, citando le dinamiche interne alla squadra del cuore di Conte, il presidente risponde: “perché la Roma ha un garante?”. Il voto finale degli iscritti, però, è ancora di là da venire. E c’è chi teme che eventuali azioni legali finiscano per inceppare la macchina della Costituente. Già ritardata dal lavoro sui contributi arrivati dalla base M5s, e non solo. Perché più di 2 mila interventi sono arrivati dai non iscritti, ai quali il Movimento apre le consultazioni. Ora, attivisti e non, elettori e simpatizzanti, dovranno scegliere i dodici temi da portare nei tavoli di lavoro.

Dove siederanno 300 iscritti e 30 non iscritti, selezionati a sorte. Qui si elaboreranno le proposte concrete da porre al centro del confronto deliberativo, e quindi nell’assemblea finale. A dover superare la fase dei gironi, allora, insieme a ruoli apicali, nome, simbolo e limite dei mandati, ci sono diversi questioni nevralgiche per il Movimento. A partire dal “posizionamento nell’arco parlamentare”: con un bivio tra “autonomia” e “alleanze”. Nella casella ‘Revisione dello Statuto’ anche le modalità di finanziamento, il ruolo dei gruppi territoriali, il rinnovamento delle forme di democrazia diretta, l’opportunità di creare una scuola di formazione politica e la necessità di dotare il Movimento di un documento programmatico. Tra i venti temi, poi, alcune battaglie centrali come quelle su sanità, scuola e transizione ecologica. E quella sulla pace, con interventi che chiedono il ‘no’ netto all’invio di armi in Ucraina. Ma anche la chiusura delle basi americane nello Stivale e la discussione del ruolo della Nato e dell’Italia al suo interno.

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