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Cronache

Canadese muore in una tempesta di neve in val Gardena

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Settembre è il mese delle alte vie, i cammini di più giorni in alta quota. I temporali sono infatti meno frequenti e nei rifugi si trova facilmente posto. La montagna non va però mai sottovalutata, come conferma la tragedia che la scorsa notte si è consumata in val Gardena, nella quale un’escursionista canadese di 57 anni ha perso la vita in una tempesta di neve. Il marito 56enne è stato ricoverato in ospedale a Bolzano, dopo una notte all’addiaccio, ma non è in pericolo di vita. I due canadesi stavano effettuando l’Alta Via delle Dolomiti, conosciuta anche come ‘Alta via 2’. Si tratta di un cammino in alta quota a tappe per escursionisti esperti, da rifugio a rifugio, che – se fatto per intero – porta da Bressanone a Feltre.

La tragedia si è verificata durante la terza tappa, dal rifugio Genova al rifugio Puez. Con buone condizioni meteorologiche i 15 chilometri e 850 metri di dislivello, con un breve tratto attrezzato, possono essere percorsi in circa sei ore. Ieri però qualcosa è andato storto. Alle otto di sera non erano ancora arrivati al rifugio Puez a 2.475 metri. Mancavano circa due chilometri di cammino piuttosto pianeggiante, ma i due erano stremati e, a causa del buio e delle neve, facevano fatica a trovare il sentiero. A causa della scarsa visibilità gli elicotteri non hanno potuto raggiungere i due. Si sono messi così in cammino il soccorso alpino e dal rifugio Puez il gestore con una futura guida alpina. Quando i due hanno trovato la coppia, la donna aveva ormai perso i sensi e, nonostante i disperati tentativi di rianimazione, è morta sul posto.

Gli uomini del soccorso alpino sono invece partiti a piedi dalla Vallunga. L’intervento nella tempesta di neve è stato molto difficile a causa del buio e le raffiche di vento oltre i 50 km/h. Quando il soccorso alpino è arrivato sul posto la donna era ormai morta. Un primo tentativo di raggiungere i due è stato effettuato con i visori notturni dall’elicottero Pelikan 2, che però ha dovuto desistere a causa della tempesta di neve. Verso mezzanotte e mezza si è poi messo in volo, senza successo, anche l’Aiut Alpin Dolomites. Nel frattempo è stata allestita una piccola tenda da spedizione, nella quale l’uomo e due soccorritori hanno trovato riparo durante la notte. Gli altri tre uomini del soccorso alpino sono invece tornati a valle, mentre il gestore e il suo accompagnatore al rifugio Puez. Questa mattina all’alba, l’Aiut Alpin Dolomites, nonostante il fortissimo vento, che stava ancora soffiando in quota, è riuscito a recuperare l’uomo durante unna difficilissima operazione con dieci metri di verricello e portarlo all’ospedale di Bolzano. La salma della donna solo in un secondo momento, quando le condizioni meteorologiche sono migliorate, è stata portata a valle.

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Cronache

San Gennaro fa il miracolo e il Cardinale chiede giustizia sociale per Napoli

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Questa mattina, alle 10 in punto, il miracolo di San Gennaro si è ripetuto nel Duomo di Napoli, portando con sé un profondo significato religioso e sociale. Come da tradizione, l’annuncio della liquefazione del sangue del santo Patrono è stato dato dall’arcivescovo di Napoli, don Mimmo Battaglia, ai fedeli che gremivano la cattedrale. Il sangue, contenuto nella famosa ampolla, era già sciolto al momento in cui è stato portato sull’altare maggiore, trasportato dai seminaristi. La celebrazione eucaristica, come sempre, ha attirato numerosi fedeli e personalità illustri, tra cui il sindaco di Napoli Gaetano Manfredi, il governatore Vincenzo De Luca, il principe Carlo di Borbone, il principe Emanuele Filiberto di Savoia e l’attrice Marisa Laurito.

La tradizione del miracolo di San Gennaro, atteso tre volte l’anno – il sabato precedente la prima domenica di maggio, il 19 settembre e il 16 dicembre – è un momento di grande devozione per i napoletani, che vedono in questo evento un segno di protezione e speranza.

Durante la sua omelia, l’arcivescovo Battaglia ha collegato il miracolo del sangue con la sofferenza e le difficoltà vissute dalla città. “Questo sangue si mescola sempre con il sangue dei poveri, degli ultimi, con il sangue versato a causa della violenza e del degrado sociale”, ha dichiarato, ricordando tragedie recenti come il crollo di Scampia e l’esplosione di Forcella. Con queste parole, Battaglia ha voluto sottolineare la necessità di una risposta collettiva e solidale alle sfide che Napoli affronta quotidianamente.

L’arcivescovo ha proseguito il suo discorso ponendo l’accento sull’importanza di affrontare le emergenze sociali come opportunità per costruire un futuro di giustizia e pace. Ha menzionato l’emergenza educativa e abitativa come priorità che richiedono interventi immediati, ma che al tempo stesso offrono la possibilità di disegnare una nuova traiettoria per la città. “Occorre avere il coraggio di superare la logica della competizione ad oltranza per abbracciare quella della cooperazione”, ha esortato Battaglia, invitando la comunità a riscoprire il valore della solidarietà e della cura reciproca.

Napoli, città dalle profonde contraddizioni ma anche dalle grandi risorse umane, è stata al centro di un appello accorato a ripartire da quei gesti semplici ma fondamentali che la sorreggono ogni giorno: “Ricorda sempre di custodire con tutto te stessa e ripartire ogni giorno dalle poche cose che contano”, ha detto Battaglia, invitando i napoletani a non voltare mai lo sguardo di fronte alla sofferenza altrui e a lottare per una città più giusta e pacifica.

Il miracolo di San Gennaro, dunque, non è solo un evento religioso, ma un invito a riscoprire la dimensione della solidarietà, della cooperazione e della speranza, elementi essenziali per costruire una Napoli migliore e più equa. Concludendo, l’arcivescovo ha invocato la protezione del santo Patrono affinché il segno del suo sangue “ravvivi sempre in noi il desiderio di realizzare per la nostra terra e per il mondo intero il sogno di Dio”.

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Fiumi, frane e migliaia di evacuati: in Romagna torna la paura

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– Dopo un anno e mezzo torna la paura. Dopo l’alluvione che nel maggio 2023 ha devastato la Romagna, un altro evento climatico estremo è tornato a colpire una parte di quelle zone. Forti piogge, persistenti e ininterrotte, hanno causato tracimazioni di fiumi, allagamenti e frane e hanno costretto un migliaio di persone a lasciare le loro abitazioni, soprattutto nel Ravennate. Le criticità maggiori hanno riguardato i fiumi Lamone; Marzeno e Senio, nel Ravennate e il Montone, nel Forlivese. Le piene dei corsi d’acqua hanno risparmiato i centri cittadini con gli argini che nella massima parte dei casi hanno retto la portata delle acque. Gravissima e ancora tutta da monitorare anche la situazione frane in Appennino. La Regione Emilia-Romagna ha seguito l’evolversi della situazione dei corsi d’acqua in piena per le forti precipitazioni di questi giorni. La macchina della protezione civile si è messa in moto e la conoscenza del pericolo ha facilitato gli interventi, grazie anche alla consapevolezza della popolazione e alla diffusione dei comportamenti di prevenzione.

Non ci sono stati interventi significativi da parte del 118. Le situazioni più complesse, al momento, riguardano il Senio nella zona di Cotignola, il Lamone a Bagnacavallo e l’Idice nel Bolognese. Ci sono molte situazioni critiche in Appennino, a partire da Modigliana, dove ieri sera è avvenuta la prima tracimazione. Al momento l’attenzione principale riguarda le piene dei fiumi, dei quali si attende il passaggio del colmo in molte zone che già furono alluvionate nel maggio 2023. Per il rischio di esondazione di un fiume dalla nottata la circolazione ferroviaria è sospesa tra Forlì e Faenza, tra Ravenna e Castelbolognese, tra Ravenna e Ferrara, e tra Ravenna e Faenza. E’emergenza maltempo anche nelle Marche.Ad Ancona è straripato il torrente Aspio, intere zone della città e gran parte delle strade sono chiuse e le frazioni Paterno-Montesicuro sono isolate per alcune frane

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Colpo al clan Fabbrocino: 13 arresti per estorsioni e racket nell’area vesuviana

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Un’operazione condotta dai carabinieri del Nucleo Investigativo del Gruppo di Castello di Cisterna ha inferto un duro colpo al clan Fabbrocino, una delle organizzazioni criminali storiche operanti nell’area vesuviana. L’operazione ha portato all’arresto di 13 persone, tra cui figure chiave del gruppo criminale, accusate di estorsioni, racket e altre attività illecite. L’ordinanza, emessa dal gip Leda Rossetti su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, segna un’importante svolta nella lotta contro il clan, che nonostante la morte del fondatore Mario Fabbrocino nel 2019, continuava a esercitare la propria influenza sul territorio.

Il clan e la sua organizzazione

Il clan Fabbrocino, attivo da decenni, operava principalmente nei comuni di San Gennaro Vesuviano, Palma Campania, Ottaviano e San Giuseppe Vesuviano. Grazie alle indagini, durate anni e basate su intercettazioni, pedinamenti e appostamenti, gli inquirenti sono riusciti a ricostruire la struttura del gruppo criminale. Il clan era ben organizzato, con figure responsabili della gestione delle estorsioni, dell’intimidazione e delle “spedizioni punitive” verso chi non si piegava alle loro richieste. Non mancavano i capi storici e gli emergenti, che dirigevano le operazioni e mantenevano il controllo sul territorio.

Tra i capi arrestati figurano nomi noti, come Biagio Bifulco, ritenuto il reggente del clan e scarcerato appena un anno e mezzo fa, e Mario Fabbrocino, nipote e omonimo del fondatore del clan. Entrambi sono accusati di aver guidato le operazioni estorsive e di aver imposto il controllo su diverse attività economiche, con la forza e l’intimidazione.

Il racket e il controllo economico

La principale attività del clan era il racket delle estorsioni, che rappresentava la base del loro potere criminale. Tra le vicende più significative ricostruite dagli inquirenti, emerge quella di un imprenditore nel settore dei trasporti, che avrebbe versato 4mila euro al mese al boss Biagio Bifulco. In cambio, il boss imponeva a un importante gruppo imprenditoriale di utilizzare la ditta di trasporti gestita dall’imprenditore estorto.

L’attività del clan si estendeva anche al settore dell’edilizia, con l’imposizione dell’acquisto di materiale presso aziende compiacenti. Questo controllo economico capillare sul territorio garantiva al clan introiti consistenti e consolidava il loro potere. Nell’operazione, sono state sequestrate anche due società ritenute riconducibili al gruppo criminale.

Le tecniche di comunicazione del clan

Per evitare di essere scoperti dalle forze dell’ordine, i membri del clan utilizzavano pizzini e un linguaggio criptico nelle loro comunicazioni. Le riunioni operative spesso avvenivano in luoghi insospettabili, come alcune stanze all’interno del cimitero di Palma Campania, dove si pianificavano le attività illecite e si discutevano gli affari del clan.

Un clan radicato, ma colpito duramente

Nonostante la morte del fondatore Mario Fabbrocino, il clan ha continuato a operare con grande efficienza, mantenendo un forte controllo sul territorio. Tuttavia, l’operazione delle forze dell’ordine rappresenta un colpo significativo alla sua struttura organizzativa. Dodici degli arrestati sono stati portati in carcere, mentre uno ha ottenuto l’obbligo di firma in caserma.

Le indagini continueranno per smantellare ulteriormente la rete criminale che per anni ha vessato imprenditori e commercianti, imponendo tangenti e condizionando l’economia locale. L’intervento della magistratura e delle forze dell’ordine è stato fondamentale per mettere fine a una lunga stagione di estorsioni e violenze, restituendo un po’ di speranza ai cittadini e alle imprese del territorio vesuviano.

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