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Cronache

Ancora un’aggressione a don Coluccia: ma io non mi arrendo, torno subito in strada

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“Non mi fermeranno, tornerò in strada”. Lo aveva promesso un anno fa, dopo l’agguato a Tor Bella Monaca, e domenica don Antonio Coluccia, il prete anti-spaccio, ha riportato la sua voce al corteo per la legalità. Questa volta l’appuntamento era al Quarticciolo, quartiere complicato alla periferia est di Roma. Ma anche questa volta, come ad agosto dello scorso anno, il sacerdote è stato vittima dell’ennesima aggressione, prima con insulti e minacce, poi con una sassaiola.

A scongiurare il peggio sono stati gli uomini della scorta che hanno portato via don Coluccia proteggendolo dalla pioggia di oggetti. Solidarietà bipartisan è stata espressa dal mondo politico e dal governo. “La violenta aggressione subita a Roma, nel quartiere Quarticciolo dove era in corso un corteo per la legalità, è quanto di più vigliacco possa esserci”, ha commentato la premier Giorgia Meloni. ‘Armato’ dei soliti megafono e fischietto, don Coluccia domenica scorsa ha organizzato un corteo di “presidio e disturbo” con i residenti del Quarticciolo contro il dilagare dello spaccio. Ma la situazione è presto degenerata quando dalle finestre qualcuno ha urlato contro il sacerdote paragonandolo a Tommaso Buscetta, uno dei primi boss mafiosi a collaborare con la giustizia.

“Non ti vogliamo – hanno strillato dai balconi -, se torni ti ammazziamo”. Alle minacce, però, è seguito un fitto lancio di oggetti che ha costretto gli uomini della scorta a far allontanare don Coluccia dalla strada. “Non mi arrendo – sono state le sue parole, ancora una volta -. Continuerò a dare speranza ai cittadini che vivono in questi contesti difficili”. La solidarietà al parroco anti-mafia è arrivata da tutto il mondo politico, governo in testa. Il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, e il presidente della Regione Lazio, Francesco Rocca, hanno chiamato don Coluccia con il governatore che ha anche chiesto all’Ater un censimento delle case popolari occupate abusivamente nel quartiere “per poter accelerare gli sgomberi”.

Lo scorso anno, quando un pregiudicato tentò di investire il sacerdote proprio durante un corteo a Tor Bella Monaca, la premier Meloni incontrò a palazzo Chigi don Coluccia, non solo per esprimergli vicinanza ma anche per ribadire l’impegno del governo nel contrasto alla criminalità nelle zone più ‘calde’ della Capitale. E proprio su quelle strade oggi alcune persone hanno accerchiato e aggredito una troupe della Tgr Lazio che era stata inviata sul posto proprio per realizzare un servizio su quanto avvenuto a don Coluccia. “Diverse persone – si legge in una nota – hanno circondato giornalista e troupe, cercando di intimidire la squadra, strattonando l’operatore, urlandogli contro di spegnere la telecamera e cercando di cancellare quanto già ripreso. Solo l’intervento degli agenti della polizia con un blindato e varie pattuglie ha evitato che la situazione degenerasse”.

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Cronache

Deteneva 12 kg droga, armi e munizioni, arrestato 32enne di Acerra a Lecce

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Più di dodici chili di droga, hashish, marijuana e cocaina, tre pistole pronte all’uso, centinaia di proiettili, una lanciarazzi e circa 5mila euro in contanti ritenuti il provento dello spaccio. È questo il bilancio del sequestro effettuato nel corso di una operazione messa a segno dai carabinieri del Nucleo Investigativo di Lecce, che hanno arrestato un pregiudicato 32enne della zona. L’uomo, Antonio Baldassarre 32enne di Acerra (Napoli) ma residente a Lecce, aveva nascosto l’ingente quantitativo di droga e le armi all’interno di due garage nella sua disponibilità. Il nervosismo mostrato durante il controllo ha insospettito i militari. Dopo aver consegnato ai carabinieri un sacchetto contenente 2 kg e mezzo di hashish occultato sotto il sellino della moto, i militari hanno fatto scattare la perquisizione nei due garage di pertinenza dove poi è stato scoperto l’ingente quantitativo di sostanze stupefacenti.

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Uccide la moglie e si presenta ai carabinieri

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Femminicidio a Sestri Levante questa mattina. Un uomo di 74 anni, Giampaolo Bregante, ha sparato alla moglie, Cristina Marini. Dopo l’omicidio si è presentato dai carabinieri e ha confessato. Secondo le prime informazioni l’uomo ha detto di avere ucciso la moglie per “porre fine alla sua depressione e visto che la moglie si rifiutava di prendere le medicine per le cure”. Sul posto sono arrivati i medici del 118 e i carabinieri del nucleo investigativo. I militari sono coordinati dal pm Stefano Puppo.

Comandante di lungo corso, Giampaolo Brigante è conosciuto come una persona tranquilla, amante del mare. Ieri era con alcuni suoi amici a giocare a pinnacolo, come tutti i giorni. “Amava raccontare le sue avventure per mare sui traghetti – raccontano gli amici – Era preoccupato solo per la depressione della moglie ma non faceva trapelare nulla”. Il primo ad accorrere sul luogo dell’omicidio è stato il figlio Righel avvisato dal padre dopo che aveva sparato alla moglie, assieme ai carabinieri che avevano ricevuto la telefonata da parte dell’omicida. Il corpo di Cristina Marini si trovava riverso in cucina. Giampaolo Bregante è stato quindi condotto nella caserma di via Val di Canepa a disposizione del magistrato di turno.

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San Gennaro fa il miracolo e il Cardinale chiede giustizia sociale per Napoli

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Questa mattina, alle 10 in punto, il miracolo di San Gennaro si è ripetuto nel Duomo di Napoli, portando con sé un profondo significato religioso e sociale. Come da tradizione, l’annuncio della liquefazione del sangue del santo Patrono è stato dato dall’arcivescovo di Napoli, don Mimmo Battaglia, ai fedeli che gremivano la cattedrale. Il sangue, contenuto nella famosa ampolla, era già sciolto al momento in cui è stato portato sull’altare maggiore, trasportato dai seminaristi. La celebrazione eucaristica, come sempre, ha attirato numerosi fedeli e personalità illustri, tra cui il sindaco di Napoli Gaetano Manfredi, il governatore Vincenzo De Luca, il principe Carlo di Borbone, il principe Emanuele Filiberto di Savoia e l’attrice Marisa Laurito.

La tradizione del miracolo di San Gennaro, atteso tre volte l’anno – il sabato precedente la prima domenica di maggio, il 19 settembre e il 16 dicembre – è un momento di grande devozione per i napoletani, che vedono in questo evento un segno di protezione e speranza.

Durante la sua omelia, l’arcivescovo Battaglia ha collegato il miracolo del sangue con la sofferenza e le difficoltà vissute dalla città. “Questo sangue si mescola sempre con il sangue dei poveri, degli ultimi, con il sangue versato a causa della violenza e del degrado sociale”, ha dichiarato, ricordando tragedie recenti come il crollo di Scampia e l’esplosione di Forcella. Con queste parole, Battaglia ha voluto sottolineare la necessità di una risposta collettiva e solidale alle sfide che Napoli affronta quotidianamente.

L’arcivescovo ha proseguito il suo discorso ponendo l’accento sull’importanza di affrontare le emergenze sociali come opportunità per costruire un futuro di giustizia e pace. Ha menzionato l’emergenza educativa e abitativa come priorità che richiedono interventi immediati, ma che al tempo stesso offrono la possibilità di disegnare una nuova traiettoria per la città. “Occorre avere il coraggio di superare la logica della competizione ad oltranza per abbracciare quella della cooperazione”, ha esortato Battaglia, invitando la comunità a riscoprire il valore della solidarietà e della cura reciproca.

Napoli, città dalle profonde contraddizioni ma anche dalle grandi risorse umane, è stata al centro di un appello accorato a ripartire da quei gesti semplici ma fondamentali che la sorreggono ogni giorno: “Ricorda sempre di custodire con tutto te stessa e ripartire ogni giorno dalle poche cose che contano”, ha detto Battaglia, invitando i napoletani a non voltare mai lo sguardo di fronte alla sofferenza altrui e a lottare per una città più giusta e pacifica.

Il miracolo di San Gennaro, dunque, non è solo un evento religioso, ma un invito a riscoprire la dimensione della solidarietà, della cooperazione e della speranza, elementi essenziali per costruire una Napoli migliore e più equa. Concludendo, l’arcivescovo ha invocato la protezione del santo Patrono affinché il segno del suo sangue “ravvivi sempre in noi il desiderio di realizzare per la nostra terra e per il mondo intero il sogno di Dio”.

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