L’inchiesta condotta dalla Procura di Perugia, guidata da Raffaele Cantone, su presunti accessi abusivi a sistemi informatici e altre irregolarità, sta sollevando interrogativi sempre più inquietanti. Al centro della vicenda ci sono due principali indagati: Pasquale Striano, tenente della Guardia di Finanza, e Antonio Laudati, ex sostituto procuratore nazionale antimafia, ora in pensione. Entrambi sono accusati di accesso abusivo a sistemi informatici, falso e abuso d’ufficio, quest’ultimo reato recentemente abrogato dal Parlamento.
La Procura ha richiesto per entrambi gli arresti domiciliari prima dell’estate, temendo che potessero ostacolare l’inchiesta o influenzarne gli esiti. Tuttavia, a fine luglio, il giudice delle indagini preliminari ha respinto l’istanza, pur confermando la gravità delle accuse. I pubblici ministeri, non convinti dalla decisione, hanno quindi fatto appello al tribunale del Riesame, che discuterà la questione il prossimo 23 settembre.
L’inchiesta, iniziata grazie a una denuncia del ministro Guido Crosetto, si concentra su un presunto sistema di raccolta illecita di informazioni riservate, avvenuta sotto la copertura della Procura nazionale antimafia fino all’autunno 2022. Le intercettazioni e altre prove raccolte indicano che Striano, mentre era in servizio alla Pna, ha effettuato migliaia di interrogazioni nelle banche dati riservate riguardanti ministri, politici, imprenditori, personaggi pubblici e società. Dopo che l’indagine è emersa, Striano avrebbe incontrato altri indagati e suoi ex superiori per concordare versioni o discutere di altre attività sospette.
Laudati, dal canto suo, è accusato di aver cercato di ottenere informazioni sulle indagini in corso, in particolare quelle condotte dal nuovo procuratore nazionale antimafia, Giovanni Melillo, che a fine 2022 lo aveva rimosso dal ruolo di responsabile del servizio che gestiva le segnalazioni di operazioni sospette. Laudati avrebbe anche tentato di contattare varie cariche istituzionali per interferire con l’indagine.
Il giudice delle indagini preliminari ha respinto la richiesta di custodia cautelare sostenendo che, una volta che l’inchiesta è diventata di pubblico dominio, anche l’eventuale raccolta di informazioni da parte degli indagati sarebbe legittima. La Procura contesta questa tesi, sottolineando che gli indagati erano consapevoli dell’indagine, ma non dei suoi dettagli, e non si sono presentati agli interrogatori, lasciando i pubblici ministeri all’oscuro delle loro difese.
Ora, il tribunale del Riesame sarà chiamato a decidere sulla questione. Nel frattempo, con la divulgazione degli atti a disposizione delle difese, anche la commissione parlamentare antimafia sarà informata sui nuovi sviluppi.
Nelle audizioni dello scorso marzo, sia Melillo che Cantone hanno evidenziato la gravità della situazione, con Cantone che ha parlato di un “verminaio” nascosto dietro i numerosi e inquietanti accessi ai sistemi informatici compiuti da Striano sotto la direzione di Laudati. L’indagine non riguarda solo segnalazioni di operazioni sospette, ma si estende a tutte le banche dati disponibili, con accessi considerati abusivi in quanto privi di alcun legame con il ruolo ufficiale della Procura nazionale.
Tra i coinvolti figurano anche alcuni giornalisti e altri destinatari delle informazioni raccolte da Striano. Restano dubbi sugli scopi e i mandanti di quella che potrebbe essere stata una vera e propria “fabbrica di dossier”, un’ipotesi che richiede ulteriori approfondimenti.