Oltre al dolore atroce per la perdita terribile di una figlia, sorella e compagna di vita, i familiari e il fidanzato di Sharon Verzeni, mentre le indagini andavano avanti e sembravano all’apparenza arenarsi, per un mese hanno dovuto subire, oltre alla pressione mediatica, una serie di illazioni anche su abitudini e frequentazioni della barista 33enne. E lo stesso Sergio Ruocco, che da 13 anni stava con lei, è stato spesso additato, senza che dall’inchiesta emergessero elementi, come sospettato dell’omicidio.
Mai da Bruno e Maria Teresa, però, il padre e la madre di Sharon, che già da quel 30 luglio, dopo che la notte prima la giovane era stata uccisa con quattro coltellate mentre passeggiava come faceva spesso per sentirsi bene, l’hanno accolto in casa e lo hanno sempre difeso, da tutto e da tutti. E così oggi nel primo pomeriggio, davanti alla villetta di Bottanuco, pochi chilometri da Terno d’Isola, dove Sharon viveva con Sergio, Bruno Verzeni ha voluto parlare ai cronisti con tono pacato, dopo che in carcere per l’assassinio della figlia è stato portato Moussa Sangare, che non la conosceva, che l’ha incrociata in bici, l’ha seguita e l’ha uccisa senza un motivo.
“A un mese dalla morte di nostra figlia, la notizia di oggi ci solleva, anche perché spazza via anche tutte le speculazioni che sono state fatte sulla vita di Sharon e di Sergio”, ha affermato il padre, leggendo un breve comunicato con a fianco la moglie, la figlia maggiore Melody e il figlio più giovane Christopher. “Grazie a coloro che hanno testimoniato e hanno permesso di arrivare ai risultati di oggi. Vogliamo che l’assurda e violenta morte di Sharon – ha proseguito Bruno Verzeni, con la voce a tratti rotta da dolore e fatica – non sia vana e provochi in tutti maggiore sensibilità al tema della sicurezza del nostro vivere. Ci affidiamo a Dio per aiutare noi e Sergio a convivere con il nostro dolore e con il pensiero di quello che nostra figlia ha subito”.
Poi, i ringraziamenti “innanzitutto” alla Procura di Bergamo “per la competenza e la tenacia che ha dimostrato” e “ai nostri avvocati per i preziosi consigli e per la loro vicinanza”. Ruocco, dal canto suo, l’aveva ribadito più volte: “È stata una persona che Sharon non conosceva”. Sempre le stesse parole da lui, anche quando il pressing delle indagini è sembrato andare proprio nella sua direzione, tra audizioni ripetute, ma sempre come testimone e mai come indagato, come precisava la Procura, e sopralluoghi nella casa di Terno assieme agli investigatori. Ed è rimasto calmo, per quanto poteva, anche quando si parlava di fantomatiche frizioni o liti nella coppia, contrasti che ai genitori di Sharon non risultavano affatto, o dell’avvicinamento della 33enne nell’ultimo periodo a Scientology.
“Nessuno poteva volere del male a Sharon, se noi avessimo avuto in mente un nome lo avremmo detto subito ai carabinieri, l’ho sempre detto”, ripete ancora Ruocco, professione idraulico e che da qualche giorno, malgrado la disperazione, è tornato a lavorare, coi colleghi e gli amici che gli hanno sempre manifestato vicinanza e affetto, perché lo conoscevano. Per loro non c’erano ombre su di lui. Lui che tutti i giorni, con i familiari di lei, si reca sulla tomba della donna che avrebbe voluto sposare. Questo era il loro piano: una vita normale assieme. Prima che Sharon, in una di quelle passeggiate notturne che spesso faceva anche con Sergio, incontrasse uno sconosciuto, uno che, secondo i pm, quella notte aveva “l’obiettivo dichiarato, l’impulso di andare ad accoltellare qualcuno”.