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Scontro Ue sulle armi a Kiev, Budapest attacca Borrell

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L’Unione Europea riparte dopo la pausa estiva – perlomeno in termini d’incontri ufficiali – e subito s’incarta sull’ormai caldissima questione delle restrizioni all’uso delle armi fornite all’Ucraina. Il dibattito, per la verità, dura da mesi ma la sortita nel Kursk da parte di Kiev ha cambiato la prospettiva. “Ci troviamo in uno scenario nuovo adesso”, ha evidenziato il ministro degli Esteri Dmytro Kuleba, invitato a Bruxelles dall’alto rappresentante Josep Borrell appositamente per perorare la causa davanti ai 27. “L’Ucraina deve poter usare le armi in pieno, altrimenti sono inutili”, ha rimarcato Borrell. Suscitando subito l’ira di Budapest: “Queste sono proposte folli, va fermato”. Il punto, come al solito, è che sono i singoli Paesi a decidere come l’Ucraina debba usare le armi. Alcuni hanno rimosso ogni tabù fin da subito, altri sono più cauti.

Il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani ha ribadito che la posizione di Roma non cambia: “Il nostro materiale bellico può essere usato solo all’interno del territorio ucraino”. Ma perché l’operazione di Kursk rappresenterebbe un salto di qualità? “Abbiamo dimostrato che possiamo battere Mosca se siamo appropriatamente equipaggiati e che le linee rosse della Russia sono vuote, non c’è il rischio di un’escalation”, ha spiegato Kuleba. “Ma dobbiamo poter colpire gli obiettivi militari legittimi, come gli aeroporti da dove partono gli attacchi alle nostre infrastrutture”. Il ministro ucraino ha poi lanciato una delle critiche più forti agli alleati dall’inizio della guerra. “Ci sono troppi ritardi tra gli annunci sugli aiuti militari e le effettive consegne: sono ritardi che paghiamo con vite umane”. Un’analisi condivisa dal collega lituano Gabrielius Landsbergis.

“Da giugno – ha rivelato – l’Ucraina non riceve munizioni, i Patriots promessi non sono stati ancora consegnati. Allora io mi domando: non siamo anche noi parte del problema?”. Una ricostruzione però contestata da Borrell, secondo il quale nelle ultime settimane le consegne di munizioni da parte dell’Europa “sono aumentate”. Il dibattito, ad ogni modo, nasconde una realtà ben più complessa (e amara). Da qualche settimana iniziano a girare cifre su quanti finanziamenti servirebbero davvero per permettere a Kiev di fermare Vladimir Putin e ribaltare il corso del conflitto ed è una forchetta compresa tra i 400 e i 900 miliardi di euro. Ecco perché i principali sostenitori dell’Ucraina – Usa e Germania – iniziano ad essere restii a prolungare quello che ormai pare uno sforzo inutile. Da qui la necessità di trovare un’exit strategy.

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Medjugorje, il Vaticano oggi fornirà una valutazione sulle presunte “apparizioni” della Vergine Maria

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Il Vaticano sta per fornire la sua attesa valutazione sulle presunte “apparizioni” della Vergine Maria nel villaggio di Medjugorje, situato nel sud della Bosnia. Dopo quasi 15 anni di studi, giovedì il cardinale Víctor Manuel Fernández, a capo dell’ufficio dottrinale del Vaticano, terrà una conferenza stampa sull’argomento, che il Vaticano ha definito “l’esperienza spirituale di Medjugorje”.

Dal 1981, sei bambini e adolescenti affermano di aver avuto visioni della Madonna, visioni che, secondo alcuni di loro, continuano regolarmente. Questo ha reso Medjugorje una meta di pellegrinaggio per milioni di credenti cristiani. Tuttavia, le apparizioni non sono mai state riconosciute ufficialmente dal Vaticano, che ha più volte espresso dubbi sulla loro autenticità.

Papa Francesco ha dichiarato che, pur avendo dubbi sulle visioni attuali, non si può negare l’impatto spirituale di Medjugorje sui pellegrini. Nonostante ciò, il Vaticano ha chiarito che non dichiarerà l’autenticità delle visioni, ma fornirà un orientamento dottrinale che permetta ai fedeli di esprimere la loro devozione senza contraddire la fede.

L’annuncio del Vaticano avrà un impatto significativo su Medjugorje, un luogo che dipende fortemente dal turismo religioso, con il 2024 previsto come un anno record di visite.

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Hezbollah sotto attacco, un colpo strategico senza precedenti del Mossad e delle Israel Defense Forces

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Le esplosioni che hanno recentemente colpito Hezbollah tra Libano e Siria hanno inflitto un durissimo colpo al “Partito di Dio”. Migliaia di feriti, una milizia disorientata e la catena di comando vulnerabile: questo è il quadro che emerge dalle operazioni orchestrate dall’intelligence israeliana, che ha ottenuto un risultato devastante senza ricorrere a un singolo attacco convenzionale. In pochi minuti, il Mossad e i servizi delle Israel Defense Forces (IDF) hanno messo in ginocchio la milizia guidata da Hassan Nasrallah, un risultato che in una guerra tradizionale sarebbe stato possibile solo dopo una lunga e costosa serie di attacchi.

Gli esperti sottolineano come questo attacco abbia reso temporaneamente inabili al combattimento migliaia di miliziani di Hezbollah, con ospedali e basi libanesi sovraffollati di feriti. Le esplosioni non hanno causato un elevato numero di morti, ma i danni fisici riportati dai membri della milizia sono stati gravi: ferite profonde, amputazioni, perdita della vista e dell’udito. Molti di questi combattenti non torneranno operativi prima di alcune settimane o mesi, mentre altri non saranno più in grado di combattere.

Un attacco non letale ma devastante

Le esplosioni, pur non essendo mortali, hanno causato danni significativi alle capacità operative di Hezbollah. Le testimonianze riportano ferite devastanti: mani esplose dopo aver afferrato i cercapersone, mutilazioni, e gravi traumi fisici che segneranno questi miliziani per tutta la vita. Questo non solo riduce il numero di combattenti pronti all’azione, ma li rende facilmente identificabili per le forze di intelligence israeliane, aumentando il rischio per Hezbollah.

La crisi della leadership e l’incubo logistico

Per Nasrallah, questo attacco rappresenta un vero incubo. La difficoltà nel rimpiazzare rapidamente i feriti, mantenendo un livello operativo efficiente, è una delle principali preoccupazioni. A differenza di altre organizzazioni, Hezbollah non può semplicemente reclutare chiunque: ha bisogno di combattenti addestrati, molti dei quali hanno già partecipato alle operazioni in Siria o hanno lanciato missili contro Israele. Inoltre, la base di reclutamento è limitata alla comunità sciita, in particolare ai fedeli di Nasrallah, escludendo il movimento Amal, complicando ulteriormente il processo di rimpiazzo.

Un colpo alla comunicazione: l’offensiva digitale

Uno degli effetti più gravi di questo attacco è la paralisi delle comunicazioni all’interno del movimento. Hezbollah, nel tentativo di evitare cyberattacchi, aveva recentemente abbandonato l’uso dei cellulari in favore dei cercapersone (pager), considerati più sicuri. Tuttavia, questo sistema si è rivelato vulnerabile, e ora l’organizzazione si trova in difficoltà. Senza cercapersone, dovrà tornare a utilizzare vecchi sistemi di comunicazione, come linee telefoniche obsolete, che sono facilmente intercettabili da Israele e da altri avversari.

La sfida per Hezbollah è dunque doppia: da un lato, gestire una crisi umanitaria e militare senza precedenti; dall’altro, trovare nuovi metodi di comunicazione sicuri e immediati. Questo scenario di paralisi inquieta i vertici del movimento, soprattutto in vista di un possibile attacco terrestre da parte di Israele.

Questo attacco non convenzionale ha dimostrato la potenza strategica dell’intelligence israeliana, capace di infliggere un duro colpo a Hezbollah senza entrare direttamente in conflitto armato. Il “Partito di Dio” si trova ora in una posizione estremamente vulnerabile, e la capacità di reagire sarà cruciale per il suo futuro.

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Venezuela, El Pais: saccheggiati 4 miliardi di petrolio

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La compagnia pubblica Petroleos del Venezuela S.A. (PDVSA) sarebbe al centro di uno dei maggiori scandali di corruzione nel Paese. Secondo un’inchiesta pubblicata dal quotidiano spagnolo El País, un gruppo di ex gerarchi chavisti e imprenditori ha saccheggiato circa 4,2 miliardi di dollari (oltre 3,7 miliardi di euro) alla compagnia. Questo colossale furto non ha solo colpito le finanze dell’azienda, ma ha anche avuto un impatto devastante sull’economia venezuelana, sostiene il quotidiano.

Lo schema di corruzione è stato operativo tra il 2007 e il 2012, durante i governi dell’ex presidente Hugo Chávez. I coinvolti, tra cui alti funzionari di PDVSA e imprenditori legati al regime, hanno utilizzato una complessa rete di tangenti e commissioni illegali per dirottare fondi. Aziende, principalmente cinesi, pagavano commissioni fino a un 10% per aggiudicarsi contratti milionari con la compagnia statale Uno dei personaggi chiave in questo intrigo è Diego Salazar, cugino dell’ex ministro di Energia ed ex presidente di PVDSA, Rafael Ramírez. La rete di corruzione non includeva solo funzionari e impresari: tra di loro c’erano regine di bellezza, ambasciatori, attrici e avvocati.

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