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Libertà su cauzione per Durov, il patron di Telegram non può lasciare Francia

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Un’ora di udienza, poi la decisione: il multimiliardario Pavel Durov, il patron di Telegram fermato in Francia, è adesso in libertà condizionata ma gli è stato vietato di lasciare il Paese. Lo ha comunicato il procuratore di Parigi Laure Beccuau precisando che a Durov è stata concessa la libertà condizionale dietro una cauzione di cinque milioni di euro e a fronte dell’obbligo di presentarsi due volte a settimana in una stazione di polizia e rimanga in Francia. Sono gli ultimi sviluppi di una vicenda che è andata arricchendosi di dettagli, misteri e colpi di scena ora dopo ora: in giornata infatti era emerso che Durov in Francia era sotto inchiesta anche per gravi violenze contro uno dei suoi figli.

Questo poco prima che gli fosse concessa la libertà condizionata. Il fondatore di Telegram è stato fermato sabato scorso all’aeroporto Le Bourget di Parigi e posto sotto ‘fermo precauzionale’, cui il giudice istruttore ha poi deciso di porre fine ordinando il trasferimento in tribunale per rispondere dei 12 capi di imputazione che gli sono stati notificati per la mancata collaborazione nelle inchieste che vedono coinvolta l’app Telegram in attività criminali come il traffico di droga e la diffusione di immagini pedopornografiche Nel frattempo il Wall Street Journal ha rivelato che Durov incontrò il presidente francese Emmanuel Macron nel 2018 e in quell’occasione gli venne chiesto di spostare la sede legale del suo social media a Parigi.

Ma lui rifiutò. Fonti contattate dal giornale americano hanno anche raccontato che nel 2017 il patron di Telegram fu al centro di un’operazione di spionaggio organizzata dai servizi segreti francesi in collaborazione con quelli degli Emirati Arabi Uniti, dov’è la sede sociale dell’app, denominata ‘Purple Music’. Un’iniziativa nata dalle preoccupazioni sorte in base all’utilizzo di Telegram fatto da militanti islamici, trafficanti di droga e criminali informatici. Dalle informazioni emerse finora Durov – in possesso di cittadinanza russa, francese e degli Eau – avrebbe mantenuto strette relazioni anche con la Russia e fonti ucraine hanno parlato di un suo recente incontro con il presidente russo Vladimir Putin. A parlare per primo di un caso di violenze su minori è stato invece il sito ‘Politico’, il quale avrebbe visionato atti giudiziari in base ai quali risultava un mandato di arresto spiccato dalle autorità francesi addirittura lo scorso marzo, che sarebbe stato emesso in seguito a un’inchiesta avviata su abusi sessuali nei confronti di minori, probabilmente la stessa inchiesta venuta ora alla luce in base alle rivelazioni raccolte dall’Afp.

Si tratterebbe in particolare della denuncia presentata nel 2023 dalla madre del bambino, che ora vive con lei in Svizzera. Noto per la sua riservatezza, Durov, 39 anni, avrebbe accumulato finora un patrimonio stimato in oltre 15 miliardi di dollari e respinge le accuse che gli vengono mosse per mancanza di collaborazione con gli investigatori nelle indagini avviate per scoprire i responsabili di attività criminali condotte anche grazie a Telegram. Dopo che il giudice istruttore ha deciso la fine della sua custodia cautelare, durante la quale Durov è rimasto in stato di fermo presso l’ufficio nazionale anti-frode, l’uomo è stato condotto in tribunale per rispondere alle domande del magistrato al fine di stabilire se mantenerlo in stato di accusa e convalidare l’arresto oppure rilasciarlo e a quali condizioni.

Quindi la decisione per la libertà condizionata, che gli consente di non essere trasferito in cella ma che allo stesso tempo non scogòlie i nodi della misteriosa vicenda. Il fermo del fondatore della app che conta attualmente 900 milioni di utilizzatori ha suscitato molte prese di posizione in suo favore, tra cui quelle del patron di X Elon Musk e di diverse autorità russe. Che hanno accusato la Francia di aver imbastito un caso politico e di voler portare avanti un’operazione di censura rispetto alla libertà d’informazione, tutti rilievi respinti dalle autorità francesi, a partire dal presidente Macron.

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Medjugorje, il Vaticano oggi fornirà una valutazione sulle presunte “apparizioni” della Vergine Maria

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Il Vaticano sta per fornire la sua attesa valutazione sulle presunte “apparizioni” della Vergine Maria nel villaggio di Medjugorje, situato nel sud della Bosnia. Dopo quasi 15 anni di studi, giovedì il cardinale Víctor Manuel Fernández, a capo dell’ufficio dottrinale del Vaticano, terrà una conferenza stampa sull’argomento, che il Vaticano ha definito “l’esperienza spirituale di Medjugorje”.

Dal 1981, sei bambini e adolescenti affermano di aver avuto visioni della Madonna, visioni che, secondo alcuni di loro, continuano regolarmente. Questo ha reso Medjugorje una meta di pellegrinaggio per milioni di credenti cristiani. Tuttavia, le apparizioni non sono mai state riconosciute ufficialmente dal Vaticano, che ha più volte espresso dubbi sulla loro autenticità.

Papa Francesco ha dichiarato che, pur avendo dubbi sulle visioni attuali, non si può negare l’impatto spirituale di Medjugorje sui pellegrini. Nonostante ciò, il Vaticano ha chiarito che non dichiarerà l’autenticità delle visioni, ma fornirà un orientamento dottrinale che permetta ai fedeli di esprimere la loro devozione senza contraddire la fede.

L’annuncio del Vaticano avrà un impatto significativo su Medjugorje, un luogo che dipende fortemente dal turismo religioso, con il 2024 previsto come un anno record di visite.

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Hezbollah sotto attacco, un colpo strategico senza precedenti del Mossad e delle Israel Defense Forces

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Le esplosioni che hanno recentemente colpito Hezbollah tra Libano e Siria hanno inflitto un durissimo colpo al “Partito di Dio”. Migliaia di feriti, una milizia disorientata e la catena di comando vulnerabile: questo è il quadro che emerge dalle operazioni orchestrate dall’intelligence israeliana, che ha ottenuto un risultato devastante senza ricorrere a un singolo attacco convenzionale. In pochi minuti, il Mossad e i servizi delle Israel Defense Forces (IDF) hanno messo in ginocchio la milizia guidata da Hassan Nasrallah, un risultato che in una guerra tradizionale sarebbe stato possibile solo dopo una lunga e costosa serie di attacchi.

Gli esperti sottolineano come questo attacco abbia reso temporaneamente inabili al combattimento migliaia di miliziani di Hezbollah, con ospedali e basi libanesi sovraffollati di feriti. Le esplosioni non hanno causato un elevato numero di morti, ma i danni fisici riportati dai membri della milizia sono stati gravi: ferite profonde, amputazioni, perdita della vista e dell’udito. Molti di questi combattenti non torneranno operativi prima di alcune settimane o mesi, mentre altri non saranno più in grado di combattere.

Un attacco non letale ma devastante

Le esplosioni, pur non essendo mortali, hanno causato danni significativi alle capacità operative di Hezbollah. Le testimonianze riportano ferite devastanti: mani esplose dopo aver afferrato i cercapersone, mutilazioni, e gravi traumi fisici che segneranno questi miliziani per tutta la vita. Questo non solo riduce il numero di combattenti pronti all’azione, ma li rende facilmente identificabili per le forze di intelligence israeliane, aumentando il rischio per Hezbollah.

La crisi della leadership e l’incubo logistico

Per Nasrallah, questo attacco rappresenta un vero incubo. La difficoltà nel rimpiazzare rapidamente i feriti, mantenendo un livello operativo efficiente, è una delle principali preoccupazioni. A differenza di altre organizzazioni, Hezbollah non può semplicemente reclutare chiunque: ha bisogno di combattenti addestrati, molti dei quali hanno già partecipato alle operazioni in Siria o hanno lanciato missili contro Israele. Inoltre, la base di reclutamento è limitata alla comunità sciita, in particolare ai fedeli di Nasrallah, escludendo il movimento Amal, complicando ulteriormente il processo di rimpiazzo.

Un colpo alla comunicazione: l’offensiva digitale

Uno degli effetti più gravi di questo attacco è la paralisi delle comunicazioni all’interno del movimento. Hezbollah, nel tentativo di evitare cyberattacchi, aveva recentemente abbandonato l’uso dei cellulari in favore dei cercapersone (pager), considerati più sicuri. Tuttavia, questo sistema si è rivelato vulnerabile, e ora l’organizzazione si trova in difficoltà. Senza cercapersone, dovrà tornare a utilizzare vecchi sistemi di comunicazione, come linee telefoniche obsolete, che sono facilmente intercettabili da Israele e da altri avversari.

La sfida per Hezbollah è dunque doppia: da un lato, gestire una crisi umanitaria e militare senza precedenti; dall’altro, trovare nuovi metodi di comunicazione sicuri e immediati. Questo scenario di paralisi inquieta i vertici del movimento, soprattutto in vista di un possibile attacco terrestre da parte di Israele.

Questo attacco non convenzionale ha dimostrato la potenza strategica dell’intelligence israeliana, capace di infliggere un duro colpo a Hezbollah senza entrare direttamente in conflitto armato. Il “Partito di Dio” si trova ora in una posizione estremamente vulnerabile, e la capacità di reagire sarà cruciale per il suo futuro.

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Venezuela, El Pais: saccheggiati 4 miliardi di petrolio

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La compagnia pubblica Petroleos del Venezuela S.A. (PDVSA) sarebbe al centro di uno dei maggiori scandali di corruzione nel Paese. Secondo un’inchiesta pubblicata dal quotidiano spagnolo El País, un gruppo di ex gerarchi chavisti e imprenditori ha saccheggiato circa 4,2 miliardi di dollari (oltre 3,7 miliardi di euro) alla compagnia. Questo colossale furto non ha solo colpito le finanze dell’azienda, ma ha anche avuto un impatto devastante sull’economia venezuelana, sostiene il quotidiano.

Lo schema di corruzione è stato operativo tra il 2007 e il 2012, durante i governi dell’ex presidente Hugo Chávez. I coinvolti, tra cui alti funzionari di PDVSA e imprenditori legati al regime, hanno utilizzato una complessa rete di tangenti e commissioni illegali per dirottare fondi. Aziende, principalmente cinesi, pagavano commissioni fino a un 10% per aggiudicarsi contratti milionari con la compagnia statale Uno dei personaggi chiave in questo intrigo è Diego Salazar, cugino dell’ex ministro di Energia ed ex presidente di PVDSA, Rafael Ramírez. La rete di corruzione non includeva solo funzionari e impresari: tra di loro c’erano regine di bellezza, ambasciatori, attrici e avvocati.

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