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Cronache

Investito e ucciso in bici: fu un’esecuzione, 6 fermati

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Non è stato un incidente con un pirata della strada quello che lo scorso 9 agosto è costato la vita a Fabio Ravasio, un 52enne con una passione per lo sport investito poco prima delle 20 in via Vela a Parabiago, nel Milanese, ma una vera e propria esecuzione. I carabinieri di Legnano hanno fermato, su richiesta della Procura di Busto Arsizio, sei persone, fra cui la compagna, con l’accusa di omicidio in concorso aggravato dalla premeditazione dopo che, anche grazie alle confessioni, è stata ritrovata la vettura dell’investimento.

L’auto nera che viaggiava al confine fra Parabiago e Casorezzo proprio mentre in direzione contraria con la sua mountain bike arrivava Ravasio, conosciuto in paese anche per la sua passione per il ciclismo e il tennis, si è spostata sulla sua carreggiata e lo ha colpito frontalmente. Un urto fortissimo per cui è caduto violentemente a terra. E’ stato portato in ospedale ma è morto poche ore dopo. Anche la macchina, hanno spiegato alcuni testimoni, ha sbattuto contro il guard rail danneggiando la carrozzerie e le luci. Dalle immagini, i carabinieri hanno accertato che la targa della macchina con cui l’uomo è stato investito era stata contraffatta.

Hanno così controllato le targhe associabili all’auto nera e hanno scoperto che era intestata a una persona che conosceva Ravasio. Da qui sono partite le indagini sulla sua rete di conoscenze dell’uomo e il pubblico ministero, che ha coordinato i carabinieri della compagnia di Legnano, ha trovato “elementi rilevanti” per dimostrare che la morte del cinquantaduenne non era dovuta a un incidente stradale ma a un investimento fatto di proposito dal conducente dell’auto. Insomma che si è trattato di una ‘esecuzione’ vera e propria.

Alcune persone definite “di rilievo investigativo” sono state chiamate in Procura a Busto Arsizio e ieri sera hanno confessato spiegando il piano. Una “ampia confessione” su come il piano, messo in piedi con una “finalità patrimoniale”, ovvero per ereditare, è stato prima ideato, poi organizzato e infine realizzato. Hanno raccontato con precisione le loro responsabilità e quella degli altri, indicando il ruolo che ha avuto ciascuno e anche appunto la “finalità patrimoniale” e hanno indicato dove trovare l’auto che era nascosta nel garage di uno di loro. I sei fermati sono stati portati in carcere a Busto Arsizio dove ora sono a disposizione dell’autorità giudiziaria.

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Cronache

Ancora morti in carcere, due suicidi ad Avellino e Roma

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Ancora suicidi in cella, stavolta due nell’arco di poche ore. Si allunga la lista di persone che si sono tolte la vita in carcere: sono 72 dall’inizio dell’anno secondo i sindacati di polizia penitenziaria. Gli ultimi casi riguardano quello di un detenuto nigeriano di 32 anni, John Ogais, morto nell’istituto di Ariano Irpino, in provincia di Avellino: l’uomo era stato arrestato nel 2017 a Crotone sulla base delle testimonianze dei migranti che lo incolpavano tra l’altro, di essere un torturatore. Ogais, detto Rambo, già domenica scorsa dopo aver aggredito e mandato in ospedale quattro agenti della penitenziaria, aveva tentato di impiccarsi alla grata della cella facendo un cappio con le lenzuola: era stato salvato in extremis da un poliziotto. Nel carcere irpino era giunto il mese scorso e per tutta la giornata di ieri era stato sottoposto a sorveglianza attiva ma in serata è riuscito a mettere in atto i suoi propositi. È il nono episodio in un carcere campano da gennaio. Poche ore dopo nell’istituto romano di Regina Coeli è stato trovato impiccato all’alba un cinquantenne, arrestato il 25 agosto scorso per maltrattamenti in famiglia.

“A queste morti, vanno aggiunte quelle dei sette agenti della polizia penitenziaria che si sono tolti la vita nel 2024. Una strage senza fine e senza precedenti che certifica, ancora una volta, il fallimento più totale del sistema carcerario”, sostiene il segretario generale della Uilpa, polizia penitenziaria, Gennarino De Fazio. A segnalare “l’emergenza rispetto alla presenza di detenuti psichiatrici e l’assenza di personale specializzato che non può più essere negata” è il garante campano delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà Samuele Ciambriello, che al di là dei decessi, riferisce di “moltissimi atti di autolesionismo e manifestazioni di gesti estremi”. Intanto il ministero continua a lavorare per mettere a punto i nuovi provvedimenti previsti dal decreto carcere approvato nel luglio scorso.

“In un paio di mesi sarà pronto l’elenco del’albo delle comunità”, annuncia il sottosegretario alla Giustizia Andrea Ostellari, parlando delle strutture residenziali idonee all’accoglienza e al reinserimento sociale dei detenuti che hanno i requisiti per accedere alla detenzione domiciliare e alle misure penali di comunità, ma che non sono in possesso di un domicilio. Ostellari ha ricordato che sono settemila i detenuti che non escono dal carcere solo perché non hanno un domicilio. In Parlamento la Camera ha invece approvato l’articolo 26 del ddl sicurezza, emendato dal governo, che introduce nel codice penale anche la “resistenza passiva” in carcere. Chi “partecipa ad una rivolta mediante atti di violenza o minaccia o di resistenza all’esecuzione degli ordini impartiti, commessi in tre o più persone riunite, è punito con la reclusione da 1 a 5 anni”. In tale contesto “costituiscono atti di resistenza anche le condotte di resistenza passiva”.

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Abusi su due amiche moglie, condannato a 9 anni a Lodi

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Un trentenne di Lodi è stato condannato, oggi, a 9 anni di reclusione per due episodi di violenza sessale che, secondo l’accusa, avrebbe commesso nella stessa notte ai danni di due 25enni amiche di sua moglie. Gli abusi si sarebbero verificati nella primavera del 2022 al termine di una serata che aveva visto riunirsi alcune famiglie di connazionali sudamericani per festeggiamenti. Entrambe le giovani donne avrebbero bevuto birre e superalcolici per diverse ore.

Parte del gruppo, compresi il 30enne e le due donne, si era poi spostato in un altro appartamento, sempre a Lodi per riposarsi. Qui, l’uomo avrebbe primo molestato sessualmente una delle due donne e, poi, sarebbe andato nella camera dell’altra consumando una violenza confermata dal test del Dna. Secondo la difesa, nel primo caso il trentenne si sarebbe fermato non appena la giovane si era sottratta dall’andare oltre e, nel secondo caso, le modalità descritte renderebbero impossibile la mancanza di consenso da parte della donna. Il Tribunale ha disposto risarcimenti provvisionali di 10 e di 50mila euro a favore delle due persone offese costituitesi parte civile dopo aver chiesto supporto a un centro antiviolenza.

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Polizia: Giuseppe Linares nominato nuovo Questore di Catanzaro

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Giuseppe Linares, direttore del Servizio centrale anticrimine della Polizia di Stato, nominato dirigente generale di pubblica sicurezza dal prossimo 2 ottobre prossimo è il nuovo Questore di Catanzaro. Subentra a Paolo Sirna che è stato nominato Questore di Torino. Nato a Trapani il 5 maggio 1969, Linares è stato nominato funzionario di pubblica sicurezza nel 1992. Ha svolto le funzioni di Capo della Squadra Mobile e di Dirigente della Divisione Polizia Anticrimine della Questura di Trapani e Capo della Dia di Napoli. Docente presso la Scuola Superiore di Polizia nella materia di tecniche di misure di prevenzione personali e patrimoniali, è stato relatore presso le università di Bologna, Salerno e Napoli in tecniche investigative in materia di misure di prevenzione. L’1 gennaio 2018 è stato promosso dirigente superiore della Polizia di Stato e il primo di giugno 2018 ha assunto le funzioni di Direttore del Servizio Centrale Anticrimine della Polizia di Stato.

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