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Gli Obama attaccano Trump e lanciano Kamala, yes she can

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“Yes Kamala can”. La candidata democratica alla presidenza americana ha ricevuto ieri il miglior energizzante per la sua campagna, una doppia dose di Obama. La coppia d’oro della sinistra americana si è alternata sul palco di Chicago in un uno-due micidiale che ha elettrizzato i delegati allo United Center, galvanizzato i democratici in tutti gli Stati Uniti e messo al tappeto, per il momento solo a parole, Donald Trump. La prima a intervenire è stata l’ex first Lady, regale come sempre in un abito da guerriera contemporanea blu scuro firmato dal brand americano Monse che è già diventato iconico sui social media. “Qualcosa di magico sta accadendo non solo in questo stadio ma fuori da qui. La speranza sta tornando”, ha dichiarato Michelle subito rievocando la potenza di quella “hope” che nel 2008 riuscì a portare il primo presidente nero alla Casa Bianca. L’ex first Lady ha chiamato Kamala “la mia ragazza”, espressione di una solidarietà femminile e di una sorellanza che è uno dei motivi ricorrenti di questa kermesse democratica.

“E’ più che pronta a diventare presidente. E’ una delle persone più qualificate ed esperte che hanno mai corso per la presidenza ed è quella che ha più dignità”, ha affermato la signora Obama. Poi si è tolta i guanti e ha cominciato a prendere di mira Trump. “Chi glielo dice che il lavoro che vuole adesso è un lavoro da neri”, ha attaccato rievocando le frasi razziste del tycoon sui cosiddetti “lavori da neri”. E a proposito delle sue insinuazioni secondo cui Harris e altri democratici, tra cui il marito Barack, “non sono veri americani” ha chiarito: “Nessuno ha il monopolio su cosa significhi essere americano, nessuno”. Michelle non ha mai perdonato gli attacchi di Trump alla sua famiglia e certo non ha intenzione di farlo adesso. “Per anni, ha fatto tutto ciò che era in suo potere per cercare di farci temere dalla gente. La sua visione limitata e ristretta del mondo lo faceva sentire minacciato dall’esistenza di due persone di successo, laboriose, altamente istruite e che erano nere”. E ancora, lo ha definito “un misogino che sfrutta paure e bugie, un imbonitore e un seminatore di odio che continuava a giocare allo stesso vecchio gioco di truffa contro l’America”.

Una first lady inarrestabile ed incisiva che poi ha presentato sul palco il marito Barack – “l’uomo della mia vita che tutte le mattine si sveglia pensando al bene dell’America” – anche lui accolto dall’ovazione della folla impazzita per l’intenso abbraccio tra i due. “Sono l’unico stupido che parla dopo Michelle Obama”, ha esordito l’ex presidente e non a torto. Anche se le sue innegabili capacità oratorie hanno comunque entusiasmato i democratici fuori e dentro l’arena. “Trump è come il vicino di casa che continua ad usare il suo soffiatore di foglie ogni minuto di ogni giorno. Da parte di un vicino è estenuante, da parte di un presidente è pericoloso”, ha attaccato Barack che poi si è tolto i guanti pure lui e ha deriso il tycoon per i suoi “soprannomi infantili, le folli teorie cospirazioniste e l’ossessione per le dimensioni delle folle”, accompagnando quest’ultima frase con un gesto diventato virale sui social. Tornando serio, l’ex presidente ha definito Trump “un miliardario di 78 anni che non ha smesso di lamentarsi dei suoi problemi. Un flusso costante di lamentele e lamentele che in realtà stanno peggiorando ora che ha paura di perdere contro Kamala”.

Poi ha rivolto un omaggio al suo ex vice Joe Biden, “ha salvato la democrazia quando era in pericolo”, e alla fine ha battezzato Kamala con il suo mitico slogan. “Yes we can”. “Yes she can. Siamo pronti per la presidenza di Harris. Non vogliamo altri quattro anni di caos, è un film già visto e di solito il sequel è più brutto”, ha incalzato Obama che poi ha avvertito che la corsa sarà all’ultimo voto e che “tutti dobbiamo metterci al lavoro adesso”.

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Attacco a Hezbollah, esplodono migliaia di cercapersone

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Poco dopo le tre del pomeriggio, uno spettacolare attacco simultaneo ha fatto esplodere migliaia di cercapersone in dotazione ai miliziani di Hezbollah a Beirut, in diverse altre regioni del Libano e a Damasco. I video pubblicati sui social mostrano uomini che fanno tranquillamente la spesa al mercato quando all’improvviso saltano in aria ricoperti di sangue. I dispositivi di ultima generazione, in dotazione ai miliziani sciiti filoiraniani solo da poco tempo, sono scoppiati tutti insieme provocando caos, terrore, almeno 3 mila feriti, di cui 200 gravi, 7 morti accertati nella capitale siriana e 9 in Libano. Tra cui una bambina di 9 anni, figlia di un membro del partito di Dio che si trovava in casa nel villaggio di Saraain quando la deflagrazione l’ha colpita. Tra le vittime risulta anche il figlio di un deputato del gruppo di Hassan Nasrallah, oltre a leader e alti comandanti del gruppo islamista. Ferito anche l’ambasciatore iraniano in Libano Mojtaba Amani.

Una fonte di Hezbollah ha dichiarato che Nasrallah non è rimasto ferito, inducendo a pensare che anche lui avesse il cercapersone hackerato. Decine di ospedali libanesi sono andati in crisi per l’arrivo di centinaia di persone, il subbuglio e la mancanza di sangue per i feriti. Mentre l’operazione era appena stata messa a segno, non rivendicata da alcuno ma immediatamente attribuita a Israele dal mondo intero, l’aeronautica dello Stato ebraico ha lanciato raid micidiali contro strutture terroristiche nell’area di Ayita al-Sha’ab e al-Khyam, nel sud del Libano, e in profondità nel Paese, a 100 chilometri dal confine.

Secondo gli esperti, chiunque abbia pianificato e messo a punto l’attacco l’ha preparato a monte, introducendo mini cariche esplosive all’interno dei cercapersone sviluppando al contempo la capacità di far deflagrare simultaneamente i dispositivi con un unico comando. Il portavoce del governo libanese ha affermato che l’esecutivo ritiene Israele responsabile dell’attacco coordinato e lo considera una violazione della sovranità del Paese. Il consigliere di Nasrallah, Hossein Khalil, ha dichiarato che ora “il nemico dovrà aspettarsi tutto dal Libano dopo i crimini che ha commesso”. L’ufficio del premier israeliano ha invece preso le distanze da un portavoce che sui social ha adombrato la responsabilità di Gerusalemme. Pochi minuti dopo Benyamin Netanyahu e il ministro della Difesa Gallant si sono riuniti nella fossa della Kyria, il bunker del ministero a Tel Aviv, per un incontro d’emergenza tra il governo e i vertici della sicurezza.

I media israeliani hanno riferito di colloqui ‘drammatici’, a cui hanno preso parte i direttori delle agenzie di intelligence riportando inusuali movimenti militari delle unità sciite. Sul tavolo, nel bunker, la risposta di Hezbollah alle esplosioni sincronizzate e le azioni dell’Idf per contrastarle. Soprattutto tenendo conto che nella mattinata di martedì lo Shin Bet (la sicurezza interna) ha rivelato di aver neutralizzato il piano per uccidere un ex alto funzionario della sicurezza israeliana pianificato dai miliziani di Nasrallah che intendevano far esplodere un ordigno a distanza dal Libano. La bomba è stata trovata, l’allarme è salito. E non è detto che ‘il mistero delle esplosioni in contemporanea’, come lo hanno definito nel Paese dei Cedri, non sia una ritorsione immediata, tecnologicamente anni luce più avanzata dei metodi di Hezbollah.

L’Onu in serata ha dichiarato che “gli sviluppi in Libano sono estremamente preoccupanti, considerando il contesto molto instabile” e ha deplorato le vittime civili. Ora l’establishment della sicurezza israeliana stima che l’escalation non sia lontana e prevede che Hezbollah si stia preparando a lanciare un’operazione militare. Netanyahu e Gallant si sono dovuti sedere faccia a faccia, dopo la repentina giravolta politica di Bibi che lo voleva estromettere dal governo nel giro di poche ore passando la sua poltrona al falco di destra Gideon Sa’ar. Il rientro a casa degli sfollati del nord è diventato un obiettivo di guerra israeliano, e per il momento Gallant resta al suo posto.

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Criptovalute: Trump lancia piattaforma World liberty financial

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Donald Trump, insieme ai suoi figli ha lanciato una nuova piattaforma di criptovaluta, che dovrebbe competere con le istituzioni finanziarie tradizionali. World Liberty Financial intende offrire diversi servizi basati sulla cosiddetta finanza decentralizzata, un meccanismo che non utilizza piu’ un intermediario come una banca per effettuare transazioni con terzi. La finanza decentralizzata o DeFi si basa sulla tecnologia “blockchain”, che mantiene un registro delle transazioni teoricamente inviolabile, visibile a tutti. World Liberty Financial consentira’ di prestare e prendere in prestito criptovalute da altri utenti, un servizio che gia’ offrono molte piattaforme, una delle piu’ conosciute e’ Aave. “Questo e’ l’inizio di una rivoluzione finanziaria”, ha detto su X Donald Trump Jr., il figlio maggiore del candidato repubblicano alle presidenziali. Zachary Folkman e Chase Herro, capi del progetto, imprenditori gia’ affermati nel settore delle criptovalute, hanno indicato che la piattaforma utilizzera’ principalmente “stablecoin”, che sono garantiti da una valuta tradizionale, molto spesso il dollaro. Di conseguenza, il loro valore e’ stabile e sono esenti dalle fluttuazioni a volte brutali sperimentate dalla maggior parte delle altre valute digitali.

World Liberty Financial cerca di attirare quante piu’ persone possibile verso le criptovalute, “non per correre molti rischi sul prossimo bitcoin, ma per utilizzare le stablecoin e generare interessi o ottenere liquidita’”, ha spiegato Zachary Folkman. Nel secondo caso, l’utente deposita criptovalute come garanzia per ottenere un prestito di importo maggiore. Il progetto prevede anche la vendita, in un secondo momento, di token, che daranno diritto a partecipare alla governance della piattaforma e non potranno essere rivenduti. “Il 63% circa sara’ messo in vendita al pubblico, ha spiegato Corey Caplan, consulente del progetto, anche se non e’ stato comunicato alcun programma di rilascio. Inizialmente molto critico nei confronti delle criptovalute, da lui definite addirittura una “truffa”, Donald Trump ora ha cambiato radicalmente la sua posizione, al punto da presentarsi ora come un paladino delle valute digitali. Durante un’importante conferenza di settore alla fine di luglio a Nashville (Tennessee), ha promesso che, se rieletto, sarebbe stato “il presidente pro-innovazione e pro-bitcoin di cui l’America ha bisogno”. Donald Trump si schiera quindi in posizione opposta rispetto al governo Biden, favorevole ad una regolamentazione severa del settore.

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Meta bandisce Rt e altri media russi dalle sue piattaforme

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Meta ha dichiarato di aver bandito Rt, Rossiya Segodnya e altre reti di media statali russe dalle sue piattaforme. “Dopo un’attenta riflessione, abbiamo ampliato la nostra applicazione in corso contro media statali russi: Rossiya Segodnya, Rt e altre entità correlate sono ora bandite dalle nostre app a livello globale per attività d’interferenza straniera”, ha affermato oggi in un comunicato la società proprietaria di Facebook e Instagram.

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