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Allarme transizione digitale, mancano 362mila specialisti

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La transizione digitale delle imprese italiane rischia di rallentare a causa della crescente difficoltà nel reperire personale qualificato. E’ l’allarme lanciato da Confartigianato che, in base ad una rilevazione, ha calcolato che le aziende hanno necessità di 699mila lavoratori con competenze digitali avanzate 4.0, ma non riescono a trovarne più della metà (51,8%). Si tratta di 362mila lavoratori che devono essere capaci di gestire tecnologie come l’intelligenza artificiale, il cloud computing, l’Industrial Internet of Things (IoT), la data analytics, i big data, la realtà virtuale e aumentata e la blockchain.

Il quadro si fa ancora più critico per le micro e piccole imprese, dove il 54,9% delle mansioni che richiedono competenze digitali rimangono scoperte. A livello territoriale è il Trentino-Alto Adige, con la provincia di Bolzano in testa, a segnare la maggior difficoltà a reperire queste professionalità, con il 65,8% di ricerche a vuoto (69,2% a Bolzano) seguita dal il Friuli-Venezia Giulia, con una quota pari al 62,6% del totale richiesto che non trova adeguate professionalità.

“Le nostre aziende – sottolinea il Presidente di Confartigianato Marco Granelli – devono poter contare su lavoratori in grado di padroneggiare le nuove tecnologie. Serve un’adeguata politica formativa e un dialogo sempre più stretto tra la scuola, il sistema dell’istruzione professionale e le imprese”. Imprese che, secondo il rapporto di Confartigianato, per reagire alla carenza di personale, attrarre giovani talenti e trattenere i lavoratori con più elevate skills ed esperienza, hanno adottato una serie di strategie. In particolare, il 32,6% dei piccoli imprenditori punta su aumenti salariali, il 28,5% su flessibilità degli orari di lavoro e il 24,9% sulla collaborazione con le scuole, soprattutto quelle ad indirizzo tecnico e professionale.

Secondo Confartigianato, infatti, per il 72% dei lavoratori necessari alle piccole imprese è richiesto un titolo secondario tecnico o con qualifica o diploma professionale o una laurea in materie scientifiche, tecnologiche ed ingegneristiche (STEM). Della classifica stilata da Confartigianato sulle regioni e province in cui il problema del personale introvabile è più acuto e supera la media nazionale, emerge che, se il Trentino-Alto Adige è la regione con il maggior mismatch tra ricerca e offerta, se si guarda ai numeri assoluti è la Lombardia la regione nella quale mancano più figure con e-skill: 80.250 specialisti, vale a dire il 52,3% del totale ricercato.

Dopo il Trentino-Alto Adige, seguono il Friuli-Venezia Giulia (7.350 le figure professionali introvabili, pari al 62,6% del totale richiesto dalle imprese della regione), l’Umbria (3.750, pari al 60,3%), le Marche (9.030, pari al 57,1%), il Veneto (31.720, pari al 56,3%) e l’Emilia-Romagna (29.760, pari al 55,8%). Mostrano percentuali superiori alla media nazionale anche la Toscana (22.550, pari al 54%), la Liguria (7.900, equivalente al 53,1%), il Piemonte (25.860, pari al 53%), la Lombardia (80.250, vale a dire il 52,3%) e l’Abruzzo (6.930, pari al 52%). Il problema è ancora più evidente su scala provinciale.

Bolzano guida la classifica delle province con il più alto mismatch tra domanda e offerta di manodopera qualificata, con il 69,2% dei posti di lavoro altamente qualificati difficili da coprire, pari a 7.110. Seguono Trieste (1.390, pari al 68,3%), Terni (880, pari al 67,5%), Udine (3.420, pari al 66,5%) e Cuneo (4.030, pari al 66%). Anche province come Lucca (64,2%), Lodi (63,6%), Gorizia (61,9%) e Trento (61,4%) riscontrano gravi difficoltà nel trovare lavoratori con competenze digitali avanzate.

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Champions, il Milan battuto dal Liverpool e contestato a San Siro

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Una serata difficile per il Milan a San Siro, dove i rossoneri sono stati sconfitti 3-1 dal Liverpool. Nonostante l’iniziale vantaggio firmato da Pulisic dopo soli 3 minuti su assist di Morata, gli uomini di Fonseca hanno ceduto alla pressione degli inglesi, complici gravi errori difensivi e un calo progressivo nella prestazione.

Il Liverpool ha sfruttato due calci piazzati per ribaltare il risultato: prima Konaté di testa su punizione, poi Van Dijk su corner, chiudendo il primo tempo in vantaggio. Nel secondo tempo, Szoboszlai ha inferto il colpo decisivo, rendendo vano il tentativo del Milan di tornare in partita.

 

La difesa rossonera, con Tomori e Calabria in campo, non è riuscita a contenere l’attacco dei Reds, mentre Maignan ha alternato buoni interventi ad errori, uscendo infine per infortunio. A sostituirlo, il 19enne Lorenzo Torriani, a cui è toccato il difficile compito di difendere la porta contro i campioni inglesi.

Non sono mancate le polemiche, con il Milan che ha protestato per un presunto tocco di mano in area di Gakpo nel secondo tempo, ignorato dall’arbitro e dal VAR. In tribuna Zlatan Ibrahimovic, che ha rilasciato dichiarazioni pungenti nel prepartita, ha ribadito il suo ruolo di leader dentro e fuori dal campo.

Ora Fonseca dovrà trovare una reazione veloce, poiché all’orizzonte si profila il derby, una sfida fondamentale per la stagione del Milan, che finora ha raccolto solo una vittoria in cinque partite.

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Draghi contro i falchi: il debito comune è necessario

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Le critiche di Berlino e dei falchi del Nord sono arrivate forti e chiare, la risposta di Mario Draghi non poteva essere da meno. Nel giorno della nascita della nuova Europa targata Ursula von der Leyen, l’ex premier ha colto l’occasione dell’Aula di Strasburgo al gran completo per dare ancora una volta la scossa alla politica continentale, tornando a riaffermare il ruolo cruciale di nuovi eurobond per dare vita a quel doppio piano Marshall necessario a rilanciare la competitività. “Chi si oppone al debito comune, si oppone agli obiettivi Ue”, è stato l’attacco frontale dell’ex numero uno dell’Eurotower, che ha voluto sottolineare come quegli stessi obiettivi siano “già stati concordati da tutti”, parte dell’impegno a partecipare alla casa comune. Arrivato davanti alla plenaria dell’Europarlamento poco prima delle due di pomeriggio, Super Mario ha rivolto agli eurodeputati lo stesso messaggio deciso già espresso a Bruxelles e a Milano nei giorni scorsi. In gioco, ha rimarcato, c’è “il destino” dell’Europa che, davanti alla sfida lanciata da Stati Uniti e Cina, rischia di diventare nel tempo “meno prospera, meno equa, meno sicura” e “meno libera di scegliere” per se stessa.

Una prospettiva che tiene “tutti in ansia”, è stata la nuova sottolineatura dell’ex governatore prima di illustrare i punti principali di un report che vuole essere bussola e ‘trait d’union’ delle rinnovate politiche di von der Leyen. Svelando la sua nuova rosa, la tedesca ha ribadito la volontà di seguirne “le raccomandazioni” per un’Europa “più fluida, più interconnessa, più coordinata”. Un impegno riflesso in tutte le lettere di missione con le quali la tedesca ha investito i suoi nuovi commissari designati, chiamati ad attingere a piene mani dal documento redatto da Draghi e dal report complementare sul mercato unico firmato Enrico Letta. Ai vertici di Palazzo Berlaymont, le indicazioni dell’ex presidente della Bce si rintracciano nei compiti affidati al nuovo vicepresidente esecutivo per la Politica industriale, il francese Stéphane Séjourné, e alle colleghe parigrado Teresa Ribera e Henna Virkkunen, responsabili – nel caso della spagnola – di mantenere la coerenza sulle politiche green Ue e ridisegnare le regole sugli aiuti di Stato per favorire i progetti di interesse comune (Ipcei), e – nel caso della finlandese – di cambiare marcia sullo sviluppo in-house di cloud, IA, capacità di calcolo e chip quantistici.

Nessun riferimento esplicito a quel debito comune inviso alla stessa von der Leyen, consapevole dell’opposizione dei frugali e di Berlino resa manifesta dal ministro delle Finanze, Christian Lindner. La sfida davanti allo sforzo finanziario titanico (servono 750-800 miliardi l’anno di investimenti aggiuntivi tra pubblico e privato) necessario a tradurre le ambizioni dell’Ue in realtà è però ineludibile. Per ora, il fulcro dei finanziamenti legati alla competitività sarà nelle mani del rigorista dei conti pubblici, Valdis Dombrovskis, chiamato a garantire “coerenza” tra le politiche di bilancio dei Ventisette ma anche responsabile – insieme a Séjourné – dello sviluppo di “un nuovo strumento di coordinamento” legato al “futuro fondo europeo per la competitività”. Le preoccupazioni e i dubbi sul debito comune sono “legittimi”, ha concesso Draghi, ma questo sforzo “non è per la spesa pubblica generale o per i sussidi”, ma “per realizzare gli obiettivi fondamentali” comuni. “A me – l’ammonimento finale – spetta il compito di presentare la diagnosi. A voi, rappresentanti eletti, quello di tradurre questo programma in azione”. Superando “le divisioni” e trovando “un consenso”.

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Esodo da Azione per campo largo, dopo Costa vanno via anche Gelmini e Carfagna

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Il campo largo, seppur ancora in fase embrionale, fa perdere pezzi a Azione: quattro addii in 48 ore. Le alleanze per le regionali con Pd, Avs e M5s e la prospettiva nazionale di un’intesa di centrosinistra innescano l’esodo degli ex forzisti dal partito di Carlo Calenda: dopo il deputato Enrico Costa, tornato tra gli azzurri, è la volta delle ex ministre Mariastella Gelmini e Mara Carfagna e della senatrice Giusy Versace. “La decisione di entrare nel campo largo in un’alleanza che comprende il Movimento 5 Stelle e la sinistra di Bonelli e Fratoianni nelle tre regioni che andranno al voto in autunno, mi costringe a prendere atto con rammarico che non posso rimanere”, spiega Gelmini dopo un lungo faccia a faccia con Calenda.

Dura la risposta del partito: “Rispettiamo le scelte personali ma riteniamo grave e incoerente passare dall’opposizione alla maggioranza a metà legislatura contravvenendo così al mandato degli elettori”. In Azione si prende atto “con rammarico della decisione di Mariastella Gelmini, Giusy Versace e Mara Carfagna di lasciare un partito che le ha accolte e valorizzate in un momento particolarmente critico del loro percorso politico”. Una nota in cui si può leggere in controluce tutta l’amarezza e il disappunto di Calenda che aveva nominato le ex ministre una presidente e una portavoce del suo partito. Gelmini parla di un “confronto sereno e leale” con il leader di Az, nei cui confronti “la stima e la gratitudine restano immutati”.

“Non provengo dalla sinistra e non intendo aderirvi adesso: ero e resto una moderata popolare e continuerò con linearità le medesime battaglie”. Ora andrà ad ingrossare le file del gruppo misto del Senato, ma a livello politico voci insistenti parlano di un suo prossimo passaggio a Noi Moderati con Maurizio Lupi. Un’ipotesi molto accreditata in ambienti parlamentari, che coinvolgerebbe anche Carfagna. Ma i rispettivi staff non confermano. In giornata va via anche Versace: “Già prima dell’estate avevo manifestato a Carlo Calenda il mio disagio, nonché il mio disappunto rispetto all’ipotesi di aderire a un campo largo anche in Liguria.

Le scelte politiche, benché legittime, portano il partito in una direzione che non è quella che auspicavo”. L’addio di Mara Carfagna fa scendere a quota dieci i deputati di Azione: il gruppo alla Camera resiste ma sul filo. Anche il suo disagio era noto da tempo: da centrista e moderata una eventuale collocazione più a sinistra non l’avrebbe trovata d’accordo. Se lei e Gelmini davvero abbracciassero il partito di Maurizio Lupi la strategia di rafforzare l’ala moderata della maggioranza segnerebbe un punto a suo favore. Anzi due.

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