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Dl carceri è legge, Nordio chiede incontro a Mattarella

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L’Aula della Camera approva in via definitiva il decreto carceri con 153 si, 89 no e 1 astenuto, proprio mentre a Palazzo Chigi la premier Giorgia Meloni incontra il Guardasigilli Carlo Nordio, i sottosegretari Ostellari, Delmastro, Sisto e i presidenti delle Commissioni Giustizia di Senato e Camera Giulia Bongiorno e Ciro Maschio per fare il punto sui prossimi “passi da fare” per affrontare l’emergenza carceri che “resta una priorità”. Al termine del vertice, Nordio fa sapere di aver chiesto un incontro al presidente della Repubblica Sergio Mattarella e di voler proporre “modifiche alle norme sulla custodia cautelare”. La sua idea è anche quella di proporre al Csm di potenziare la copertura di organico per la magistratura di sorveglianza e di prevedere che i detenuti tossicodipendenti scontino la pena in comunità.

Come chiesto anche da FI con i suoi emendamenti al Senato. Un vertice inusuale che subito innesca un incendio a Montecitorio dove le opposizioni, furiose, parlano di un vero e proprio sgarbo istituzionale che “umilia” il Parlamento. Sono momenti concitati e il ministero della Giustizia è costretto a precisare che la riunione – su richiesta di Chigi, evidenzia – non rappresentava “alcuna sovrapposizione” con i lavori del Parlamento. Quasi contemporaneamente le opposizioni chiamavano in causa il presidente Fontana per chiedere “l’immediata convocazione di una conferenza dei capigruppo” e definire “un’azione riparatoria” da parte del Guardasigilli. Passano pochi minuti e – ciò ben rende il clima caldissimo di questa serata di chiusura del lavori parlamentari – il presidente della Camera interviene a sua volta con una nota che cerca di calmare gli animi.

Nella nota ribadisce “la centralità del Parlamento, le cui prerogative devono essere garantite attraverso il confronto delle idee e l’assunzione delle responsabilità da parte di tutti i soggetti interessati”. Parole che sembrano chiudere – salvo una nuova coda polemica riaccesa da Foti – la vicenda. Il via libera del dl in Aula era già avvenuto tra mille polemiche e al termine di un aspro scontro alimentato soprattutto da due ordini del giorno: uno del Dem, Marco Lacarra, a favore delle detenute madri e uno del deputato di Azione, Enrico Costa, subito ribattezzato ‘Salva-Toti’ o ‘Salva Colletti bianchi’.

Dopo il voto di fiducia in seduta notturna, l’esame del dl parte soft con un via libera corale all’odg del deputato Pd Gian Antonio Girelli che impegna il governo a intervenire sulla salute mentale nelle carceri. E ne passano anche altri per potenziare l’attività teatrale e culturale. Ma è con quello di Lacarra che sale la tensione. Il governo sulle prime dà il parere favorevole chiedendo una minima riformulazione. Ma poi cambia idea quando il deputato si oppone a che la leghista Simonetta Matone firmi il suo odg. “Matone si è espressa sempre in modo contrario in Commissione” anche sul ddl Sicurezza, spiega Lacarra, “non posso accettare che ora firmi l’odg” che impegna il Governo a finanziare le case famiglia per le detenute madri. Il capogruppo di FDI Tommaso Foti si risente e invita il Governo a dare parere negativo.

Il sottosegretario Andrea Ostellari concorda. Portando anche FI, con Pietro Pittalis, a ripensarci dopo averlo sottoscritto. L’odg viene così respinto con 156 no e 127 sì. Avs e Pd parlano di “rappresaglia”. Lacarra di “ritorsione”. Roberto Giachetti di “governo da Asilo Mariuccia”. Mentre si protesta per l’intervento di Matone che chiede se sia “meglio stare dentro la metropolitana a rubare, al settimo mese di gravidanza o in un ICAM, con medico, puericultore e ginecologo?”. Aggiungendo di voler sapere “quanti di quelli che si indignano” siano “mai entrati in un campo Rom, magari col tacco 12”. Frasi considerate “sessiste” e “razziali” da Laura Boldrini; da “Stato etico” da Andrea Orlando e da “talk show” da Maria Elena Boschi che precisa come non sia vero che le detenute madri siano “in maggioranza Rom”. “Nell’ordinamento democratico”, comunque, osserva, “non si fanno norme razziali che riguardano i Rom o chiunque altro”. Duro l’attacco contro l’intero decreto da parte di Elly Schlein che parla di “furia punitiva che acceca la maggioranza” che “non fa nulla contro il sovraffollamento”, mentre introduce “oltre 20 reati nuovi”. Scintille anche sull’odg di Costa. Il governo dà parere favorevole e il testo passa.

Dopo essere stato sottoscritto da FI, NM e IV. Si tratta di un odg che impegna il governo a rivedere le norme sulla custodia cautelare. L’idea, ripresa dal referendum del 2022, è di non far finire in carcere l’incensurato che non ha commesso reati gravissimi. E il modo di farlo è riformare la norma del codice di procedura penale laddove stabilisce che tra i requisiti per la custodia cautelare ci sia il rischio di reiterazione. Posizione analoga a quella espressa nelle stesse ore dal Guardasigilli Carlo Nordio nell’incontro con i Garanti dei detenuti. “Il 25% della popolazione carceraria è in custodia cautelare”, spiega Costa che considera “fondamentale il tema della presunzione di innocenza”. “Si apre la strada per lo scudo per i governatori chiesto da Salvini dopo la vicenda Toti” commenta il leader Avs Angelo Bonelli. Intanto l’Aula dispone per la seconda volta il rinvio in Commissione della pdl di Roberto Giachetti per far scattare prima la liberazione anticipata in caso di buona condotta.

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Conte minaccia Grillo: pronto a sospenderti i contratti

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Il linguaggio ornato di parole come “malleveria” e “dominicale” non ha mitigato il senso ruvido dell’avvertimento che Giuseppe Conte ha dato a Beppe Grillo: rischi che il Movimento ti tolga il compenso che ricevi per la comunicazione. Cioè, i famosi 300 mila euro. Insomma, dopo quello politico sulla costituente e quello legale con le minacce di ricorsi in tribunale, la guerra ai vertici Cinque Stelle ha raggiunto un ulteriore stadio, quello economico.

Cosa pensi Grillo dell’avviso di Conte è noto, perché lo ha fatto trapelare nei giorni scorsi, quando la corrispondenza era ancora privata (non era apparsa sul web): Conte vuole farmi fuori dal M5s. Ricapitolando: la mail di Conte a Grillo è l’ultima (conosciuta) di uno scambio epistolare in crescendo ed è in risposta a una diffida di Grillo – sempre via pec – che avrebbe intimato a Conte di non aprire il confronto della costituente e, in particolare, di non toccare tre capisaldi: limite del doppio mandato, simbolo e nome. Non solo: Grillo avrebbe minacciato di esercitare il potere di veto anche su “ulteriori temi che dovessero emergere e/o risultare all’esito della consultazione tra gli iscritti”.

La replica di Conte è stata quindi “necessaria, nei toni e nei modi – hanno fatto sapere dal M5s – per tutelare la comunità del Movimento 5 Stelle da una diffida che mira a sabotare il processo costituente e a imbavagliare il libero confronto nella nostra comunità”. Il tuo comportamento, ha scritto Conte a Grillo, “mi obbliga a valutare possibili iniziative dirette a sospendere l’esecuzione delle prestazioni a carico del Movimento derivanti dalla malleveria”, l’accordo che solleva Grillo da eventuali oneri economici (querele, denunce…) legati al suo ruolo nel Movimento, “e il recesso dai contratti di pubblicità e comunicazione”. Nella lettera, Conte prima ha ricordato i poteri di Grillo, che riguardano la “custodia dei valori fondamentali dell’azione politica del movimento e il potere di interpretazione autentica, non sindacabile, delle norme statutarie”.

Ma poi li ha circoscritti: sono formule “altisonanti” – ha sottolineato Conte – ma “si risolvono in una moral suasion” e “di certo non si estendono all’esercizio di un supposto diritto di veto”. Con una frase, Conte ha liquidato ogni pretesa di Grillo: la legge attribuisce “all’Assemblea degli iscritti un potere sovrano”. Una riga che suona così: la Costituente può cambiare tutto e tu non puoi farci nulla. “Nessuna norma statutaria – ha scritto il presidente – è sottratta a possibili modifiche e/o revisioni”, dalla Carta dei principi e dei valori al simbolo, al nome, alla regola del limite del doppio mandato che, oltretutto, è “contenuta nel Codice Etico – ha sottolineato Conte rivolgendosi a Grillo – in sé sottratto al tuo potere di interpretazione autentica”.

Infine, l’avvertimento: “Questa tua condotta, con connessi accenni a futuri contenziosi legali e a potenziali scissioni”, e le tue “esternazioni sono del tutto incompatibili con gli obblighi da te specificamente assunti nei confronti del Movimento” e “stanno accreditando agli occhi della opinione pubblica una concezione dominicale”, padronale, “del Movimento”, rischiando “di appannare le energie e l’entusiasmo che questo processo costituente sta liberando”.

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Pronta la Commissione Ue, Fitto verso la vicepresidenza

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A tarda sera, in un’Eurocamera ormai vuota, la nuova Commissione europea disegnata da Ursula von der Leyen ha avuto l’atteso – ma ancora informale – via libera dei gruppi della maggioranza. Volto disteso, prudenza d’ordinanza, la presidente ha lasciato gli edifici del Parlamento europeo limitandosi ad un generico “vediamo” con i cronisti che gli chiedevano dell’appuntamento di martedì mattina per la lista dei commissari. Ma secondo diverse fonti europee è quasi certo che tra qualche ora, alla Conferenza dei presidenti dei gruppi, von der Leyen presenterà la sua lista. Con una sorpresa dell’ultima ora: al posto di Thierry Breton, nella casella destinata alla Francia ci sarà Stéphane Séjourné.

A dispetto di cinque anni fa sulla lista dei nuovi commissari fino all’ultimo è stata mantenuta una coltre di riserbo, dovuta anche ad una certa instabilità delle ipotesi di deleghe da assegnare. Tra i principali nodi che la presidente della Commissione ha dovuto affrontare c’è stato quello della vicepresidenza esecutiva da destinare a Raffaele Fitto. Il ministro italiano avrà – anche se manca ancora l’ufficialità – la delega alla Coesione e al Pnrr e dovrebbe mantenere il ruolo pensato per lui prima della veemente protesta di socialisti, liberali e verdi: quello cioè di una vicepresidenza forte, formalmente dello stesso peso di quelle che avranno il francese Séjourné, la spagnola Teresa Ribera, il lettone Valdis Dombrovskis, lo slovacco Maros Sefcovic e l’estone Kaja Kallas.

Il tutto nonostante il voto contrario a von der Leyen sia di Giorgia Meloni in seno al Consiglio europeo sia di Fdi alla Plenaria di luglio. Sul tavolo di Fitto ci sarà subito un dossier caldissimo, quello del rinvio della deadline del Pnrr: “Non è impossibile, dipende dai numeri”, ha spiegato il commissario uscente Paolo Gentiloni. I principali movimenti tellurici dell’ultimo miglio hanno invece riguardato il candidato francese. Alle prime luci del giorno Thierry Breton, potente vicepresidente esecutivo con delega al Mercato interno, ha messo in scena un clamoroso strappo. In un primo tweet ha pubblicato la cornice di un quadro vuoto, spiegando che quello sarebbe stato il suo ritratto nella nuova Commissione. Subito dopo ha reso noto la lettera con cui ha ritirato la sua candidatura e ha rassegnato le dimissioni immediate.

Von der Leyen, è stato il suo j’accuse, ha lavorato per chiedere l’esclusione della sua candidatura “per ragioni personali che in nessun caso sono state discusse direttamente con me”. Ciò che Breton non ha reso noto è che il presidente Emmanuel Macron era sostanzialmente d’accordo. Poco dopo, infatti, l’Eliseo ha annunciato la designazione di Sejourné mettendo in chiaro l’obiettivo di Parigi: avere, all’interno della Commissione, una delega forte “sulla sovranità industriale Ue e sulla competitività”. Il cluster di Sejourné (ogni vicepresidente esecutivo è infatti supervisore di un gruppo di commissari), raccontano diverse fonti europee, potrebbe a questo punto includere anche il portafoglio all’Economia.

Al di là della distribuzione dei ruoli, ciò che emerge dalle nomine di von der Leyen è che la futura Commissione sarà nettamente a sua immagine e somiglianza. Una volta esclusi profili forti e non sempre in linea con la presidente, come quelli di Breton, Frans Timmermans e in misura minore Margrethe Vestager, i poteri dell’ex ministra tedesca, di fatto, risulteranno ben più incisivi. “Sarà un esecutivo Ue accentrato su Ursula, che opererà aspettando i suoi placet”, è l’opinione di un europarlamentare della maggioranza di lungo corso. I socialisti potranno consolarsi con la delega della Concorrenza affidata a Ribera, mentre sul portafoglio del Commercio è dato in vantaggio il ceco Jozef Sikela sull’olandese Woepke Hoekstra, dato tra i papabili per l’Economia.

La delega alla Giustizia appare diretta alla svedese Jessika Roswall, quella dell’Agricoltura al lussemburghese Christophe Hanses, i Trasporti al greco Apostolos Tzitzikostas. Il dossier della Migrazione potrebbe finire invece nelle mani della belga Hadja Lahbib mentre il Digitale avrà i colori finlandesi di Henna Virkkunen. Resta da capire se domani von der Leyen presenterà la squadra – undici in totale le donne – anche alla stampa, perché il Parlamento sloveno non ha dato ancora via libera alla candidata Marta Kos. In ogni caso, von der Leyen andrà per la sua strada.

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Mattarella: scuola è pilastro ma prof poco pagati

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Scuola in festa a Cagliari per l’inaugurazione dell’anno scolastico 2024-2025. Un sistema educativo “pilastro fondamentale della vita della Repubblica” e dalla cui qualità “dipende strettamente il futuro della nostra società”, come ha ricordato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che ha fatto gli auguri in diretta televisiva a tutti gli studenti e ai 1300 presenti all’evento ‘Tutti a scuola’ che si è tenuto nel capoluogo sardo con i ministri dell’Istruzione e dello Sport, Giuseppe Valditara e Andrea Abodi. Un appuntamento itinerante con i ragazzi che hanno salutato con entusiasmo non solo la delegazione olimpionica guidata dal presidente del Coni Giovanni Malagò e dalle pallavoliste italiane Paola Egonu, Alessia Orro, Myriam Silla e Anna Danesi e dalla windsurfista Marta Maggetti, ma anche lo stesso capo dello Stato: “grande Sergio!” si è sentito più volte dalla platea dei giovanissimi. Il presidente ha sottolineato i problemi ancora aperti nel mondo scolastico e tra i giovani. In primis le retribuzioni dei docenti “spesso non all’altezza di altri Paesi europei”.

Con il ministro Valditara che ha però ricordato la rinnovata attenzione da parte del governo al personale della scuola perché “lo merita per il lavoro che fa e che è strategico”, Poi c è il fenomeno del bullismo e cyberbullismo che, “nonostante i tanti sforzi, sono tuttora diffusi tra i nostri giovani”. Per Mattarella “occorre rinnovare un’azione rivolta a reprimere e anzitutto a prevenire, incidendo sulle cause profonde. Non possiamo più chiudere gli occhi di fronte a tanti fatti di cronaca, a tanti episodi di varia gravità ma tutti intollerabili”, ha ammonito evidenziando che il disagio giovanile è “una grande e urgente questione nazionale”. Serve, gli ha fatto eco il ministro dell’Istruzione e del Merito, una “cultura del rispetto come antidoto ai fenomeni del bullismo: credo profondamente nella capacità della scuola di insegnare la bellezza del saper incontrare l’altro con il sorriso”.

E se vi è la necessità di un nuovo “patto educativo tra famiglie e insegnanti, visto che quello passato “si è incrinato” – ha sottolineato il capo dello Stato -, la nuova scuola avulsa da “gerarchie del sapere” o “piramidi dei talenti” sembra passare da un modello delle tre I fondato su informatica, impresa e inglese a quello che punta su intelligenza artificiale (per potenziare la didattica ma anche messa a disposizione per alcune disabilità), integrazione (“superando i gap formativi degli studenti stranieri di prima generazione”) e inclusione (per evitare il ‘dramma’ a quegli studenti disabili costretti a cambiare i loro prof di sostegno precari). Insomma alla scuola serve una svolta nella quale “l’Europa sia l’orizzonte”, ha puntualizzato Mattarella ma che si differenzi da quei “diplomifici”, scoperti recentemente dalla Guardia di Finanza, che .- ha spiegato Valditara – “non sono affatto al servizio della crescita della persona e della valorizzazione dei talenti e che, in realtà, non fanno il bene dei nostri giovani”.

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