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‘L’attacco dell’Iran è imminente’, allerta in Israele

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Israele e Stati Uniti si aspettano che la rappresaglia dell’Iran per l’uccisione del capo politico di Hamas Ismail Haniyeh a Teheran sia ormai imminente e che possa essere lanciata già lunedì, secondo indiscrezioni rivelate da Axios. Stasera il portavoce delle forze di difesa israeliane Daniel Hagari, pur confermando che “l’allerta è altissima”, ha spiegato che le disposizioni di sicurezza per la popolazione al momento non cambiano. E sempre in serata il premier Benyamin Netanyahu ha riunito i vertici militari e di intelligence al ministero della Difesa a Tel Aviv.

Intanto in Medio Oriente è arrivato il capo del Centro di comando americano (Centcom) Michael Kurilla che dovrebbe recarsi, oltre che in Israele, anche in Giordania e in diversi Paesi del Golfo. Anche se la visita era prevista, sembra evidente che la sua presenza entri nei preparativi per gestire la risposta iraniana alla grave offesa inferta poche ore dopo l’insediamento del neopresidente. Dietro le quinte ferve il lavoro delle diplomazie occidentali e degli alleati arabi per cercare di contenere gli attesi raid della Repubblica islamica ed evitare che la regione precipiti in un conflitto più esteso dagli esiti imprevedibili.

Oggi il ministro degli Esteri giordano Ayman Safadi ha raggiunto Teheran per incontrare l’omologo Ali Bagheri Kani, dopo la telefonata del fine settimana. Ma Safadi, pur dichiarando che la Giordania “non permetterà a nessuno di trasformare il Paese in un campo di battaglia”, non può far dimenticare che Amman ha già fatto la sua parte in favore di Israele tra il 13 e il 14 aprile, contribuendo in maniera cruciale a intercettare il massiccio bombardamento di centinaia missili e droni che l’Iran lanciò quella notte contro lo Stato ebraico.

Dal Kuwait, il ben informato quotidiano Al-Jarida ha rivelato invece che una delegazione americana nei giorni scorsi si è recata in Turchia e poi nella città iraniana di Karaj per un incontro segreto mediato dall’Oman con alti funzionari del Paese. L’obiettivo era quello di trasmettere un messaggio da parte di Joe Biden: “Calma e avvertimento” prima di tutto, poi il disappunto del presidente per la continua escalation di Benyamin Netanyahu. Quindi a Teheran è stato chiesto di non “cadere nella trappola” di un attacco su vasta scala che nei fatti rafforzerebbe solo il potere internazionale di Bibi. Anche il G7 si è mosso, con i ministri degli Esteri convocati in video conferenza da Antonio Tajani (l’Italia detiene la presidenza di turno) che hanno esortato “le parti interessate” a “desistere da qualsiasi iniziativa che possa ostacolare il percorso del dialogo e della moderazione e favorire una nuova escalation”. Di fronte a tanto sforzo diplomatico, Teheran ha risposto picche. Stando alle fonti del Wall Street Journal, la teocrazia iraniana avrebbe respinto gli appelli dei diplomatici arabi e affermato che non gli importa nulla se la sua risposta a Israele porterà ad una guerra.

Questa volta la Guida suprema Ali Khamenei sarebbe intenzionato a farla pagare cara al “nemico sionista”, reo di aver inflitto agli ayatollah una figuraccia mondiale difficile da digerire. E infatti, nonostante le dichiarazioni di Netanyahu che ha avvertito a gran voce che “la mano lunga del suo Paese colpirà ovunque”, la realtà è che Israele è sulla graticola. Con una popolazione terrorizzata, prigioniera di un’attesa irreale, e senza informazioni certe neppure da parte del suo governo. Per il momento non sembra essere chiaro neanche alle intelligence se ci sia da aspettarsi attacchi multipli anche da Hezbollah, jihad irachena e siriana, Houthi dello Yemen. O se l’Iran e l’intero ‘asse della resistenza’ abbiano intenzione di agire separatamente.

Che sia effettivamente lunedì o, come ritengono altri analisti internazionali, intorno al 13 agosto, quando per gli ebrei cade il giorno del ricordo della distruzione del Tempio. I timori si amplificano anche tenendo conto delle armi che gli ayatollah hanno a disposizione, compresi quei missili balistici Iskander che sarebbero stati forniti nelle ultime ore da Mosca, secondo indiscrezioni dei media. Oltre a sistemi avanzati di guerra elettronica, sempre spediti dall’amica Russia, compresi quelli che possono danneggiare o interrompere i sistemi militari a una distanza massima di 5.000 chilometri. L’attesa continua, ma Israele si dice pronto a un attacco con razzi e droni della durata di più giorni: “Cercheranno solo di logorarci”, ha detto un funzionario israeliano alla Nbc.

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Venezuela, El Pais: saccheggiati 4 miliardi di petrolio

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La compagnia pubblica Petroleos del Venezuela S.A. (PDVSA) sarebbe al centro di uno dei maggiori scandali di corruzione nel Paese. Secondo un’inchiesta pubblicata dal quotidiano spagnolo El País, un gruppo di ex gerarchi chavisti e imprenditori ha saccheggiato circa 4,2 miliardi di dollari (oltre 3,7 miliardi di euro) alla compagnia. Questo colossale furto non ha solo colpito le finanze dell’azienda, ma ha anche avuto un impatto devastante sull’economia venezuelana, sostiene il quotidiano.

Lo schema di corruzione è stato operativo tra il 2007 e il 2012, durante i governi dell’ex presidente Hugo Chávez. I coinvolti, tra cui alti funzionari di PDVSA e imprenditori legati al regime, hanno utilizzato una complessa rete di tangenti e commissioni illegali per dirottare fondi. Aziende, principalmente cinesi, pagavano commissioni fino a un 10% per aggiudicarsi contratti milionari con la compagnia statale Uno dei personaggi chiave in questo intrigo è Diego Salazar, cugino dell’ex ministro di Energia ed ex presidente di PVDSA, Rafael Ramírez. La rete di corruzione non includeva solo funzionari e impresari: tra di loro c’erano regine di bellezza, ambasciatori, attrici e avvocati.

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L’Argentina a Maduro: siamo dalla parte giusta della Storia

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Non si è fatta attendere la risposta di Diana Mondino, la ministra degli Esteri argentina alla richiesta del regime venezuelano di arrestare il presidente Javier Milei, sua sorella Karina ed il ministro della Sicurezza, Patricia Bullrich per il caso dell’aereo venezuelano avvenuto nel 2022, durante la presidenza di Alberto Fernández. “Sostegno assoluto al Presidente, a Karina e Patricia di fronte alla vigliacca richiesta di arresto da parte della dittatura del Venezuela. Maduro dimostra ancora una volta di essere un tiranno e che siamo dalla parte giusta della storia. Non abbiamo paura”, ha scritto sul suo account di X (ex Twitter) Mondino. Più puntuale ma altrettanto duro il comunicato del ministero degli Esteri argentino, entrato nel merito del caso attraverso un comunicato stampa.

“Il caso in questione è stato risolto dalla magistratura, un potere indipendente sul quale l’esecutivo non può e non deve interferire in alcun modo, in applicazione di un accordo internazionale”. Il Ministero degli Esteri argentino, a nome del suo governo, ha poi ricordato al procuratore generale del Venezuela, Tarek William Saab, che ha chiesto l’arresto di Milei che “nella Repubblica argentina prevale la divisione dei poteri e l’indipendenza dei giudici, cosa che purtroppo non avviene in Venezuela sotto il regime di Nicolás Maduro”.

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Nuovi attacchi a Hezbollah, esplodono i walkie talkie: ancora morti e feriti

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Caos e rabbia in Libano dove per il secondo giorno consecutivo l’esplosione sincronizzata di dispositivi wireless in dotazione ai miliziani di Hezbollah e anche di pannelli solari ha fatto almeno 14 morti e 500 feriti. Dopo le migliaia di cercapersone scoppiate martedì alla stessa ora in tutto il Paese dei Cedri, a Damasco e nella Siria orientale (in un’operazione che anche il creatore di Fauda Avi Issacharoff ha definito “al di sopra di ogni immaginazione”), nel pomeriggio di oggi un’altra ondata di deflagrazioni ha scosso i cittadini libanesi. La situazione è tale che in serata il premier libanese Najib Mikati ha dichiarato che il suo governo si sta preparando a “possibili scenari” di una grande guerra con Israele. In molte città i residenti si sono riversati per strada protestando nel disorientamento più totale.

Un’auto dell’Unifil è stata assaltata con lanci di pietre a Tiro da un gruppo di civili. Walkie talkie militari e strumenti per rilevare le impronte digitali sono detonati in diverse località del Paese, tra cui il distretto di Dahiya a Beirut, roccaforte del gruppo sciita, e nel Libano meridionale. Le immagini rilanciate dai media locali mostrano appartamenti in fiamme dentro condomini, auto bruciate, denso fumo nero, gente che fugge e si dispera. Testimoni hanno riferito di numerose ambulanze che portavano i feriti in ospedale. Altre esplosioni sono state segnalate dai media sauditi in Iraq, nel quartier generale dell’organizzazione terroristica al Hashd al Shaabi a Mosul, nello stesso momento delle deflagrazioni in Libano. Alla periferia sud di Beirut, esplosioni di dispositivi sono avvenute mentre si svolgevano i funerali di membri di Hezbollah uccisi martedì negli attacchi con i cercapersone. In 1.600 sarebbero ancora ricoverati negli ospedali con ferite anche molto gravi. Cinquecento miliziani hanno perso la vista quando il loro pager è finito in mille pezzi.

E anche l’ambasciatore iraniano a Beirut avrebbe perso un occhio e 19 pasdaran sarebbero rimasti uccisi in Siria. Ma gli ayatollah negano. Alla vigilia del discorso pubblico del capo di Hezbollah, Hassan Nasrallah, il cugino e presidente del Consiglio esecutivo del gruppo Hashem Safieddine è stato chiaro: “Questi attacchi saranno sicuramente puniti in modo unico, ci sarà una vendetta sanguinosa”, ha detto. Nel mentre Israele tace. Nonostante l’esecrazione di mezzo mondo, le istituzioni di Gerusalemme non hanno battuto ciglio sul ‘beeper affair’ per due giorni consecutivi. Teheran ha accusato l’intero Occidente di “ipocrisia” e Israele di “strage”. Mosca ha parlato di “guerra ibrida”, il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres ha avvisato del “grave rischio di drammatica escalation in Libano”, con il Consiglio di sicurezza che ha fissato una riunione di emergenza per venerdì. Il segretario di Stato Usa Antony Blinken, in visita al Cairo per i negoziati su Gaza che continuano sottotraccia, ha escluso che Washington fosse a conoscenza o coinvolta nel cyberattacco.

Ma l’operazione che ha letteralmente lasciato storditi i miliziani sciiti a quanto pare non poteva più essere rimandata. Secondo fonti Usa citate da Axios, ad innescarla sarebbe stato il timore che l’intelligence di Hezbollah stesse per scoprire il creativo raid informatico: “È stato un momento ‘use it or lose it'”, avrebbe comunicato Israele agli Stati Uniti sul timing dell’attacco. Un ex funzionario israeliano ha spiegato che i servizi avevano pianificato di usare i cercapersone con trappole esplosive come colpo di apertura in guerra per paralizzare i combattenti di Nasrallah. E per ridurre le vittime civili. Ma negli ultimi giorni sembrava che il segreto stesse per trapelare e Benyamin Netanyahu ha dato segnale verde. In serata dallo Stato ebraico si è alzata la voce del ministro della Difesa Yoav Gallant: “Il centro di gravità si sta spostando verso nord attraverso il trasferimento di risorse e forze. Siamo all’inizio di una nuova fase del conflitto”, ha detto alle truppe. Confermando le indiscrezioni del mattino secondo cui un’intera divisione ha lasciato il sud di Gaza per raggiungere il confine con il Libano. A rafforzare il timore di un’escalation a breve il fatto che il capo di stato maggiore Herzi Halevi ha approvato i piani di attacco e difesa per la regione settentrionale: “Israele è pronto a utilizzare capacità militari non ancora impiegate. Hezbollah dovrà pagare un prezzo elevato se continuerà il conflitto”, ha avvertito.

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