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Trump attacca Biden e Harris, ‘avete pagato’

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Joe Biden e Kamala Harris non hanno neppure fatto in tempo ad accogliere a mezzanotte alla base di Andrew i prigionieri americani dello storico scambio con Mosca, tra lacrime ed emozioni, che già erano esplose le prime polemiche. Preso in contropiede da quella che tutti riconoscono come una vittoria politica, diplomatica e morale del commander in chief, Donald Trump ha insinuato subito su Truth che l’accordo sia sfavorevole a Washington e che siano stati pagati soldi, cosa che “è un cattivo precedente per il futuro”, ha accusato, anche se la circostanza è stata esclusa dal consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan. “Quando pubblicheranno – ha chiesto in un post – i dettagli dello scambio di prigionieri con la Russia? Quante persone prendiamo rispetto a loro? Li stiamo anche pagando in contanti? Stiamo liberando assassini, killer o delinquenti? Sono solo curioso perché non facciamo mai buoni affari, in niente, ma soprattutto negli scambi di ostaggi. I nostri ‘negoziatori’ sono sempre un imbarazzo per noi!”.

“Ho riportato a casa molti ostaggi – ha proseguito il tycoon – e non ho dato niente al Paese avversario, e mai un soldo. Farlo è un brutto precedente per il futuro. È così che dovrebbe essere, o questa situazione peggiorerà sempre di più. Stanno estorcendo denaro agli Stati Uniti d’America”. All’indomani ha rincarato la dose su Fox: “Penso che sia meraviglioso che Evan (Gershkovich, il reporter del Wsj) sia rientrato, come pure gli altri, ma i russi hanno fatto un affare fenomenale e questo crea un cattivo precedente. E’ una vittoria per Putin”, ha aggiunto, che aveva detto di essere l’unico a poter riportare a casa Gershkovich, senza dare nulla in cambio allo zar. In realtà in passato Trump ha approvato almeno quattro scambi di prigionieri: con l’Iran, i talebani, gli Houthi e la Turchia. La seconda polemica è stata aperta dai famigliari di Marc Fogel, la cui esclusione dallo scambio di prigionieri è stata per loro come “una pugnalata alle spalle”. Arrestato nel 2021 all’aeroporto della capitale russa con della marijuana (per uso terapeutico), il 63enne professore di storia della Anglo-American School di Mosca è stato condannato a 14 anni.

“Marc – ha accusato la sorella Anne – non è mai stato considerato una priorità. Lui è stato condannato con la stessa accusa di Brittney Griner (la star del basket Usa poi scambiata con un altro prigioniero, ndr), ma non è mai stato neppure designato come ‘ingiustamente detenuto’. Noi non abbiamo alle spalle l’Nba né il Wall Street Journal”. In giugno la madre 95enne di Fogel ha fatto causa al Dipartimento di Stato americano per non aver dichiarato anche lui persona “ingiustamente detenuta”. “Non molleremo, non molleremo”, ha assicurato Biden, incalzato sul caso dai reporter prima di andare ad accogliere e abbracciare con Kamala e i familiari i prigionieri appena sbarcati dalla Turchia: Evan Gershkovich, l’ex marine Paul Whelan e la giornalista russo-americana di Radio Free Europe Alsu Kurmasheva.

“Sto bene”, ha detto il reporter del Wsj, che nella sua istanza di grazia a Putin gli ha chiesto anche di intervistarlo. Ma il suo primo pensiero è andato al fatto che tra i prigionieri liberati c’erano anche dissidenti russi, come quelli che ha conosciuto in carcere: “Mi piacerebbe vedere se potremmo fare qualcosa anche per loro. Vorrei parlarne alla gente nelle prossime settimane e nei prossimi mesi”. “E’ stata la decisione giusta, e se avevate dei dubbi li perderete dopo aver parlato con coloro che ora sono liberi”, ha commentato il cancelliere tedesco Olaf Scholz, snodo cruciale delle lunghe, pazienti e creative trattative per il più grande scambio di prigionieri dalla Guerra fredda. Secondo Zeit, i negoziati sarebbero durati oltre due anni e avrebbero potuto coinvolgere anche Alexei Navalny. Ma lo scetticismo della ministra degli Esteri Annalena Baerbock, è la ricostruzione del settimanale tedesco, avrebbe rallentato le trattative e nel frattempo l’ex nemico numero 1 di Putin è morto nella prigione siberiana dove era stato spedito.

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Esteri

Medjugorje, il Vaticano oggi fornirà una valutazione sulle presunte “apparizioni” della Vergine Maria

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Il Vaticano sta per fornire la sua attesa valutazione sulle presunte “apparizioni” della Vergine Maria nel villaggio di Medjugorje, situato nel sud della Bosnia. Dopo quasi 15 anni di studi, giovedì il cardinale Víctor Manuel Fernández, a capo dell’ufficio dottrinale del Vaticano, terrà una conferenza stampa sull’argomento, che il Vaticano ha definito “l’esperienza spirituale di Medjugorje”.

Dal 1981, sei bambini e adolescenti affermano di aver avuto visioni della Madonna, visioni che, secondo alcuni di loro, continuano regolarmente. Questo ha reso Medjugorje una meta di pellegrinaggio per milioni di credenti cristiani. Tuttavia, le apparizioni non sono mai state riconosciute ufficialmente dal Vaticano, che ha più volte espresso dubbi sulla loro autenticità.

Papa Francesco ha dichiarato che, pur avendo dubbi sulle visioni attuali, non si può negare l’impatto spirituale di Medjugorje sui pellegrini. Nonostante ciò, il Vaticano ha chiarito che non dichiarerà l’autenticità delle visioni, ma fornirà un orientamento dottrinale che permetta ai fedeli di esprimere la loro devozione senza contraddire la fede.

L’annuncio del Vaticano avrà un impatto significativo su Medjugorje, un luogo che dipende fortemente dal turismo religioso, con il 2024 previsto come un anno record di visite.

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Hezbollah sotto attacco, un colpo strategico senza precedenti del Mossad e delle Israel Defense Forces

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Le esplosioni che hanno recentemente colpito Hezbollah tra Libano e Siria hanno inflitto un durissimo colpo al “Partito di Dio”. Migliaia di feriti, una milizia disorientata e la catena di comando vulnerabile: questo è il quadro che emerge dalle operazioni orchestrate dall’intelligence israeliana, che ha ottenuto un risultato devastante senza ricorrere a un singolo attacco convenzionale. In pochi minuti, il Mossad e i servizi delle Israel Defense Forces (IDF) hanno messo in ginocchio la milizia guidata da Hassan Nasrallah, un risultato che in una guerra tradizionale sarebbe stato possibile solo dopo una lunga e costosa serie di attacchi.

Gli esperti sottolineano come questo attacco abbia reso temporaneamente inabili al combattimento migliaia di miliziani di Hezbollah, con ospedali e basi libanesi sovraffollati di feriti. Le esplosioni non hanno causato un elevato numero di morti, ma i danni fisici riportati dai membri della milizia sono stati gravi: ferite profonde, amputazioni, perdita della vista e dell’udito. Molti di questi combattenti non torneranno operativi prima di alcune settimane o mesi, mentre altri non saranno più in grado di combattere.

Un attacco non letale ma devastante

Le esplosioni, pur non essendo mortali, hanno causato danni significativi alle capacità operative di Hezbollah. Le testimonianze riportano ferite devastanti: mani esplose dopo aver afferrato i cercapersone, mutilazioni, e gravi traumi fisici che segneranno questi miliziani per tutta la vita. Questo non solo riduce il numero di combattenti pronti all’azione, ma li rende facilmente identificabili per le forze di intelligence israeliane, aumentando il rischio per Hezbollah.

La crisi della leadership e l’incubo logistico

Per Nasrallah, questo attacco rappresenta un vero incubo. La difficoltà nel rimpiazzare rapidamente i feriti, mantenendo un livello operativo efficiente, è una delle principali preoccupazioni. A differenza di altre organizzazioni, Hezbollah non può semplicemente reclutare chiunque: ha bisogno di combattenti addestrati, molti dei quali hanno già partecipato alle operazioni in Siria o hanno lanciato missili contro Israele. Inoltre, la base di reclutamento è limitata alla comunità sciita, in particolare ai fedeli di Nasrallah, escludendo il movimento Amal, complicando ulteriormente il processo di rimpiazzo.

Un colpo alla comunicazione: l’offensiva digitale

Uno degli effetti più gravi di questo attacco è la paralisi delle comunicazioni all’interno del movimento. Hezbollah, nel tentativo di evitare cyberattacchi, aveva recentemente abbandonato l’uso dei cellulari in favore dei cercapersone (pager), considerati più sicuri. Tuttavia, questo sistema si è rivelato vulnerabile, e ora l’organizzazione si trova in difficoltà. Senza cercapersone, dovrà tornare a utilizzare vecchi sistemi di comunicazione, come linee telefoniche obsolete, che sono facilmente intercettabili da Israele e da altri avversari.

La sfida per Hezbollah è dunque doppia: da un lato, gestire una crisi umanitaria e militare senza precedenti; dall’altro, trovare nuovi metodi di comunicazione sicuri e immediati. Questo scenario di paralisi inquieta i vertici del movimento, soprattutto in vista di un possibile attacco terrestre da parte di Israele.

Questo attacco non convenzionale ha dimostrato la potenza strategica dell’intelligence israeliana, capace di infliggere un duro colpo a Hezbollah senza entrare direttamente in conflitto armato. Il “Partito di Dio” si trova ora in una posizione estremamente vulnerabile, e la capacità di reagire sarà cruciale per il suo futuro.

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Venezuela, El Pais: saccheggiati 4 miliardi di petrolio

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La compagnia pubblica Petroleos del Venezuela S.A. (PDVSA) sarebbe al centro di uno dei maggiori scandali di corruzione nel Paese. Secondo un’inchiesta pubblicata dal quotidiano spagnolo El País, un gruppo di ex gerarchi chavisti e imprenditori ha saccheggiato circa 4,2 miliardi di dollari (oltre 3,7 miliardi di euro) alla compagnia. Questo colossale furto non ha solo colpito le finanze dell’azienda, ma ha anche avuto un impatto devastante sull’economia venezuelana, sostiene il quotidiano.

Lo schema di corruzione è stato operativo tra il 2007 e il 2012, durante i governi dell’ex presidente Hugo Chávez. I coinvolti, tra cui alti funzionari di PDVSA e imprenditori legati al regime, hanno utilizzato una complessa rete di tangenti e commissioni illegali per dirottare fondi. Aziende, principalmente cinesi, pagavano commissioni fino a un 10% per aggiudicarsi contratti milionari con la compagnia statale Uno dei personaggi chiave in questo intrigo è Diego Salazar, cugino dell’ex ministro di Energia ed ex presidente di PVDSA, Rafael Ramírez. La rete di corruzione non includeva solo funzionari e impresari: tra di loro c’erano regine di bellezza, ambasciatori, attrici e avvocati.

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