Si è inginocchiata al centro della sua vita, così chiama il ring, e ha pianto. Lacrime di liberazione da giorni di pressioni su un match olimpico trasformato in arena politica: Angela Carini sul quadrato è salita cento volte, solo contando gli incontri ufficiali, e sono più quelle in cui ha vinto. Ma la sfida a Imane Khelif era più grande di lei. E non solo per i colpi potenti dell’avversaria iperandrogina finita per questo sotto accusa, ancor prima che la pugile azzurra abbandonasse dopo pochi secondi. “Non mi sento sconfitta, ne esco a testa alta, anche se con il cuore spezzato – ha detto tra le lacrime la pugile napoletana, 25 anni, poliziotta, salita sul ring grazie al fratello Antonio e al papà scomparso tre anni fa – sono una guerriera, una volta che scavalchi le corde ci sei e combatti. Volevo farlo, perché sono arrivata qui facendo tanti sacrifici e vederli finire così in pochi secondi fa male”.
L’algerina che aveva di fronte è rivale che “mena duro, ha colpi pesanti” dice il coach Emanuele Renzini, ma altre del gruppo azzurro l’hanno sconfitta. “Poteva riuscirci anche Angela ai punti – aggiunge il tecnico – ma ha deciso così, a me ha solo detto che non voleva combattere che il naso le faceva male”. “Ho sentito un colpo fortissimo e mi ha fatto troppo male – aggiunge l’azzurra – sono un’istintiva, non ci ho pensato due volte. Non volevo che la mia famiglia vedesse certe cose. Ho preso una decisione di maturità, non ero spaventata i colpi sono la mia vita, so che posso finire anche ko. Ma oggi non me la sono sentita”. Dicono che non ci sia stata alcuna premeditazione nell’abbandono lampo. “Ho lasciato le polemiche fuori, io poi non sono nessuno per poter giudicare – dice tra i singhiozzi – resto la donna forte che sono, quanto è successo qui non mi cambierà. Sono salita sul ring perché sono e resto una guerriera, mio padre mi ha insegnato così. E quando mi sono inginocchiata a lui ho pensato e ho sentito le sue parole ‘Angelina stavolta non ce l’hai fatta’. Con me c’è lui e Dio, sono loro che hanno voluto che andasse così”.
Lacrime tante, e pure rabbia. Già quando c’era stato il sorteggio, che aveva voluto l’incrocio al primo turno con la discussa rivale nordafricana. “Ha detto che non era giusto che dovesse combattere con un’atleta che ha caratteristiche androgine” dice il tecnico, ammettendo che allora la questione esisteva. “Tutta Italia le ha chiesto di non combattere – sostiene ancora Renzini – quella del pugilato e non solo. Le pressioni sono state enormi, sarebbe stato più facile non presentarsi proprio”. Insomma Khelif non era considerata un’avversaria come le altre. E il dibattito resta irrisolto, sul piano normativo. Ma allora con chi deve gareggiare Khelif? “Non credo ci sia alternativa, l’argomento è complesso e non vorrei essere al posto tra gli esperti del Cio – dice il tecnico – c’è disparità ed è evidente, va regolamentata”. Carini però dice di averci provato, il naso forse le faceva già male prima, poi quel pugno che ha provocato l’abbandona e una sollevazione divenuta in poche ore mondiale. Troppo forse anche per una ragazza abituata a prendere pugni. “Ma sul ring ci risalgo eccome, è la mia vita” dice l’azzurra. La sua Olimpiade è finita in ginocchio, tra le lacrime per il match che le ha cambiato la vita.