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Marco Di Lauro può suicidarsi in cella, lettera del boss Belforte al giudice di sorveglianza: allarme per la salute mentale

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Una lettera preoccupante inviata al giudice di Sorveglianza di Sassari ha riacceso i riflettori sulla salute mentale di Marco Di Lauro, uno dei più noti esponenti della camorra napoletana, attualmente detenuto in regime di 41 bis. Domenico Belforte, anche lui detenuto al carcere duro, ha descritto in termini allarmanti lo stato di salute di Di Lauro, definendolo “uno scheletro” che “non mangia ed è diventato uno scheletro”.

La lettera di Belforte

Nella lettera, Belforte chiede maggiore attenzione per Marco Di Lauro, sottolineando i rischi di un possibile suicidio se non si interviene tempestivamente. “Gli agenti, oltre a controllarlo più spesso, non possono fare altro. Io ho cercato in tutti i modi di farlo ragionare, ho cercato di fargli da mangiare e, preciso, l’ho fatto senza nessun interesse,” scrive Belforte, spiegando di aver conosciuto Di Lauro solo nel carcere di Sassari. La lettera è stata inserita nel fascicolo di Marco Di Lauro e rappresenta un ulteriore tassello nella battaglia legale per ottenere una perizia medica sullo stato di salute del detenuto.

Un caso complesso

Marco Di Lauro, conosciuto come il “quarto figlio” del boss Paolo Di Lauro, sta scontando una condanna a trent’anni di reclusione per il suo ruolo nella camorra di Secondigliano. Incarcerato a Sassari, Di Lauro è stato descritto come un individuo con un forte potenziale di influenza all’interno dell’organizzazione criminale, nonostante la detenzione. Recentemente, la difesa ha ottenuto una perizia psichiatrica che ha rivelato un quadro complesso: in alcuni momenti, Di Lauro ha mostrato segni di integrazione e collaborazione, mentre in altri ha rifiutato qualsiasi contatto con medici e magistrati.

Un allarme che risuona

La preoccupazione sollevata da Belforte richiama alla mente la tragica fine del fratello di Marco, Cosimo Di Lauro, morto due anni fa nel carcere di Opera dopo aver rifiutato ogni contatto con l’esterno. La storia di Marco Di Lauro è segnata da una dinastia criminale che ha lasciato cicatrici profonde non solo nella società, ma anche nella mente dei suoi protagonisti.

La battaglia legale

L’avvocato Gennaro Pecoraro, difensore di Marco Di Lauro, ha insistito per una visita psichiatrica adeguata. Grazie a queste pressioni, Di Lauro è stato trasferito temporaneamente a Cagliari per otto incontri con specialisti. Tuttavia, i risultati delle perizie sono stati altalenanti, evidenziando la complessità del caso.

La lettera di Domenico Belforte è un grido di allarme che non può essere ignorato. La salute mentale di Marco Di Lauro, come quella di tanti detenuti in regime di 41 bis, richiede un’attenzione costante e interventi appropriati per evitare tragedie. La battaglia legale e umana intorno a Di Lauro sottolinea l’importanza di trattare con la massima serietà le condizioni psicologiche dei detenuti, garantendo loro il diritto a una cura adeguata.

Ma chi è Belforte

Domenico Belforte, noto come “Mimì Mazzacane”, è un boss camorrista di 67 anni, attualmente detenuto in regime di 41 bis, il carcere duro, da quando ne aveva 54. Considerato a capo dell’omonimo clan attivo nei comuni di Marcianise, Capodrise e nel Casertano, Belforte continua a scontare la sua pena con questo regime restrittivo a causa della valutazione dei giudici secondo cui il suo clan è ancora operativo. Nonostante una serie di arresti e collaborazioni con la giustizia da parte di ex esponenti, Belforte è ritenuto ancora influente e capace di veicolare ordini criminali dall’interno del carcere. Le sue richieste di ammorbidimento del regime carcerario sono state ripetutamente rigettate, con il Tribunale di Sorveglianza di Roma e la Cassazione che hanno confermato la sua pericolosità e i forti legami con la sua organizzazione criminale.

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A Napoli fiaccolata per Chiara, “Perdonaci”

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Centinaia di persone hanno preso parte a Napoli alla fiaccolata organizzata in serata in memoria di Chiara Jaconis, la giovane padovana morta dopo essere stata colpita in testa da un vaso domenica scorsa mentre passeggiava nei Quartieri Spagnoli. Dalla gente del quartiere si è più volte levato il grido “perdonateci” rivolto ai familiari della 30enne veneta. “Napoli forse non è la città più bella del mondo ma ha la popolazione più bella del mondo”, ha detto Gianfranco Jaconis, il padre di Chiara presente con la sorella della ragazza, Roberta. Centinaia i cittadini dei Quartieri Spagnoli che lo attendevano con in mano candele accese e palloncini bianchi, tanti lo hanno abbracciato.

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Turista morta a Napoli, video dell’incidente acquisito dalla Ps

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Su delega della Procura di Napoli è stato acquisito dalla Polizia il video registrato da un sistema di videosorveglianza che ritrae il momento in cui la statuetta colpisce al capo Chiara Jaconis, la turista padovana di 30 anni deceduta in ospedale a Napoli a causa delle gravi ferite riportate nell’incidente avvenuto domenica pomeriggio nel cuore dei Quartieri Spagnoli. Le immagini – confluite nel fascicolo aperto dagli inquirenti che, al momento, potizzato l’omicidio colposo – ritraggono le fasi immediatamente precedenti la tragedia e l’esatto momento in cui la statuina, frantumatasi in pesanti schegge nell’impatto con un balcone, colpisce la giovane al capo.

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Auto contro guardrail in A15, un morto

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Un uomo di 81 anni, originario della Campania, è morto in un incidente stradale avvenuto oggi pomeriggio lungo l’autostrada A15 nel tratto tra Pontremoli (Massa Carrara) verso Berceto, nel Parmense. Secondo le prime ricostruzioni, l’uomo, al volante di un’auto di grossa cilindrata, ha improvvisamente impattato il veicolo contro il guardrail. L’impatto violento ha costretto la chiusura temporanea del tratto stradale interessato, in particolare l’autostrada della Cisa, tra i caselli di Pontremoli e Berceto. Il personale di soccorso giunto sul posto non ha potuto fare altro che constatare il decesso del 61enne.

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