Joe Biden torna alla Casa Bianca dopo una settimana di isolamento per il Covid nella sua residenza al mare di Rehoboth Beach, Delaware. E prepara i suoi due principali impegni della settimana, dopo aver rinnovato l’endorsement a Kamala Harris promettendo di fare campagna per lei: mercoledì sera il discorso alla nazione per spiegare i motivi del suo ritiro e, il giorno dopo, l’atteso faccia a faccia con il premier israeliano Benyamin Netanyahu. Il commander in chief, come ha annunciato lui stesso su X, parlerà dallo Studio Ovale alle 20 (le 2 di notte in Italia) e affronterà “ciò che ci aspetta e come finirò il lavoro per il popolo americano”. Ma dovrà anche spiegare “più nel dettaglio” la sua decisione di fare un passo indietro (dando subito l’endorsement alla sua vice Kamala Harris), come aveva promesso domenica quando col suo annuncio ha terremotato la politica americana.
Il presidente aveva scritto che è “nel miglior interesse del mio partito e del Paese ritirarmi e concentrarmi solamente sui compiti come presidente per il resto del mandato”. Ma non era entrato nel merito, anche se la Casa Bianca aveva escluso quei “motivi medici” che lo stesso Biden aveva indicato come unica giustificazione che poteva indurlo al ritiro dalla corsa. Motivi che comporterebbero anche la rinuncia alla presidenza. Il leader dem probabilmente invocherà invece la necessità di tenere unito il partito dopo le crescenti pressioni a farsi da parte. E la sua volontà di non diventare un’anatra zoppa salvando un’eredità che per Harris è già “senza pari nella storia americana”. Anche il segretario di Stato americano Antony Blinken ha confermato che Biden è intensamente concentrato sul lavoro che resta nei prossimi sei mesi, compreso quello di portare la pace in Medio Oriente e affrontare l’aggressione russa all’Ucraina. E giovedì il presidente avrà un incontro cruciale con ‘Bibi’, all’indomani dell’intervento del premier israeliano al Congresso.
Il suo obiettivo è definire gli ultimi dettagli dell’accordo per il cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi a Gaza, ma anche la cornice del futuro politico della Palestina. Disinnescando nel frattempo una possibile escalation con Hezbollah in Libano e gli Houthi in Yemen. Se ci riuscisse, sarebbe un trionfo di politica estera che rafforzerebbe la sua legacy con positive ricadute elettorali sul ticket dem. “Continuo a lavorare per mettere fine alla guerra a Gaza”, ha assicurato lunedì in un video collegamento con Harris a Wilmington, in quello che ormai è diventato il quartier generale della sua campagna. “Non sarò nel ticket ma sarò pienamente impegnato nella campagna e farò qualunque cosa Kamala voglia o necessiti da parte mia”, ha promesso, invitando a sostenerla perché “è la migliore”. Intanto però gli è caduta in testa la tegola delle dimissioni della direttrice del Secret Service Kim Cheatle per il fallimento della sicurezza nell’attentato a Trump. Ora dovrà procedere con una nuova nomina.