Martina Guzzi, 24 anni, era una studentessa di Lettere piena di sogni e progetti per il futuro. Il 28 maggio, la sua vita è stata tragicamente interrotta in un incidente stradale, ma ora emergono nuove verità inquietanti sulle cause della sua morte.
Secondo la relazione preliminare dei consulenti della procura di Catanzaro, la dottoressa Isabella Aquila e l’ingegner Roberto Arcadia, non è stato l’incidente frontale a causare la morte di Martina, ma un malfunzionamento del sistema di detonazione dell’airbag. L’airbag, prodotto dalla ormai fallita casa costruttrice giapponese Takata, ha proiettato ad alta energia cinetica un corpo metallico, con modalità e lesività assimilabili a una ferita d’arma da fuoco.
Takata è stata al centro di uno dei più grandi scandali nella storia dell’automobile, con milioni di airbag difettosi installati in veicoli di numerose case automobilistiche in tutto il mondo. Negli Stati Uniti, il malfunzionamento di questi dispositivi ha causato oltre 400 feriti e 27 morti, e sono stati sostituiti circa 45 milioni di airbag. In Giappone, si stima che nel mondo le auto coinvolte siano circa 100 milioni.
Martina guidava una Citroën C3 il giorno dell’incidente, una delle auto soggette a richiamo per gli airbag difettosi. Il suo ragazzo, proprietario dell’auto, aveva ricevuto una lettera di richiamo e aveva contattato la casa automobilistica per eseguire le verifiche necessarie e sostituire l’airbag. Tuttavia, non aveva ricevuto risposta.
Il 28 maggio, Martina stava andando in palestra quando l’incidente è avvenuto. Sua madre Concetta la ricorda sorridente mentre la salutava. Pochi minuti dopo, Martina è morta, non a causa dello schianto con un’altra auto che aveva invaso la sua corsia, ma per l’airbag difettoso che è esploso, proiettando un corpo metallico che l’ha uccisa.
Il caso di Martina Guzzi è il primo in Italia a essere ufficialmente collegato agli airbag mortali di Takata, aprendo un nuovo fronte di decessi nel paese. Finora, si contano anche una quindicina di feriti in Italia a causa di questi dispositivi difettosi.
Il sostituto procuratore Saverio Sapia sta portando avanti le indagini, e Andrea Rubini, che tutela i diritti della famiglia Guzzi con la sua Gesigroup, ha sottolineato la mancanza di risposta da parte della casa automobilistica.
Questa tragedia non solo sottolinea l’importanza di rispondere prontamente ai richiami di sicurezza da parte delle case automobilistiche, ma mette anche in luce la necessità di una maggiore vigilanza e controllo sui componenti critici per la sicurezza dei veicoli.
Martina Guzzi non potrà mai realizzare i suoi sogni, ma la sua storia potrebbe contribuire a salvare altre vite, spingendo le autorità e le case automobilistiche a prendere misure più rigorose per garantire la sicurezza dei loro veicoli.