Kamala Harris in pole position in un ipotetico dopo-Biden. Le quotazioni della vicepresidente sono in aumento, con i democratici che sembrano confluire, almeno “per stanchezza”, sulla sua nomina qualora il presidente decidesse di fare un passo indietro. Il fronte però non è compatto e una voce importante si è alzata dal coro, quella dell’ex speaker della Camera. Nancy Pelosi infatti preferirebbe un processo ‘aperto’ invece che un’incoronazione automatica di Harris. Una mini-primaria – è l’idea di Pelosi – sarebbe più democratica, rifletterebbe i sondaggi, motiverebbe gli elettori e consentirebbe alla lunga ‘panchina’ di democratici di farsi avanti e brillare.
Un processo di nomina competitivo, inoltre, rafforzerebbe Harris nel caso in cui la vicepresidente si affermasse sui rivali. Anche se caldeggiata da più parti, l’ipotesi di una mini-primaria comporta non pochi rischi. Il primo è che scavalcando Kamala si corre il pericolo di alienare il voto degli afroamericani, nocciolo duro dell’elettorato democratico. Senza contare il caos che potrebbe scatenarsi alla convention di agosto, che già si prospetta tesa fra le decine di manifestazioni pro-Gaza in programma. Se Biden “dovesse decidere” di abbandonare la corsa, “dovranno esserci azioni rapide. Non penso che possiamo passare per una incoronazione.
Una sorta di mini-primaria, anche con il controllo degli ex presidenti Obama e Clinton, dovrebbe essere la strada”, ha detto la deputata democratica Zoe Lofgren, alleata di Pelosi e le cui dichiarazioni è noto abbiano ricevuto la benedizione dell’ex speaker della camera. Oltre a Kamala, fra i papabili sostituti di Biden alla presidenza ci sono i governatori di Michigan, Pennsylvania e California, rispettivamente Gretchen Whitmer, Josh Shapiro e Gavin Newsom. Non è chiaro comunque se siano o meno interessati: considerati gli astri nascenti del partito, destinati a conquistarne la leadership, il loro interesse è più per le presidenziali del 2028 e non è quindi detto che vogliano correre il rischio di bruciarsi in una rischiosissima mini-primaria affrettata. Il caos alla convention, comunque, potrebbe scattare anche se Biden decidesse di non lasciare. I delegati che si sono impegnati a votarlo – ma che non sono obbligati a farlo – potrebbero decidere di seguire le preferenze dettate dai pesi massimi del partito, quali i leader del Senato e della Camera, Chuck Schumer e Hakeem Jeffries, e respingere il presidente. Uno scenario che potrebbe essere usato solo come ultima risorsa nel caso in cui il presidente ostinatamente restasse in corsa contro la volontà del partito.