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Ursula lavora alla nuova Commissione e vuole più poteri

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Divide et impera: la celebre locuzione latina non potrebbe calzare meglio alla strategia di Ursula von der Leyen per la composizione della nuova Commissione europea. Superate le colonne d’Ercole della rielezione, la presidente dell’esecutivo Ue non vuole ripetere gli errori del quinquennio appena trascorso: uno su tutti, rimanere prigioniera dei giochi di potere tra i big di Palazzo Berlaymont. Thierry Breton, Margrethe Vestagger, Frans Timmermans, solo per fare alcuni esempi, hanno a lungo duellato in questi anni, tra tensioni e dispetti. Von der Leyen vuole quindi una Commissione più snella nella struttura e più accentrata nei poteri. Accentrati dove? Sulla presidenza stessa. C’è da dire che in mezzo alle trame nella Commissione spesso, e volentieri, era coinvolta la stessa von der Leyen.

Ma i 401 sì con la quale è stata di nuovo incoronata regina d’Europa danno all’ex ministra della Difesa un margine di manovra difficilmente limitabile. A fronteggiarlo ci saranno innanzitutto i Paesi membri. Perché è vero che un commissario rappresenta l’esecutivo Ue e non lo Stato di origine, ma è anche vero che nella geografia della Commissione il dove e come una capitale è collocata conta molto. Come primo step, von der Leyen ha annunciato una serie di nuove deleghe: alla Sburocratizzazione (con il grado di vicepresidente), alla Difesa, al Mediterraneo, all’Equità inter-generazionale, agli Alloggi, alla Pesca e agli Oceani. Nomi altisonanti per spacchettare ulteriormente i poteri di singoli commissari e, soprattutto, direzioni generali. Von der Leyen punterebbe a non avere vice presidente esecutivi.

Che ci riesca è un altro discorso. Francia, Spagna e Polonia sono Paesi con cui Ursula deve comunque fare i conti. Breton ha già le mani sulla potentissima delega all’Industria e alla Competitività. Teresa Ribera, paladina del Green Deal iberico, punta al Clima e all’Energia e non può essere ridimensionata, perché se von der Leyen è ancora a Palazzo Berlaymont lo deve soprattutto ai Verdi. Parigi e Madrid (oltre a Berlino, ovviamente) escono rafforzate dall’Ursula bis. La Varsavia di Donald Tusk punta ad un portafoglio importante e potrebbe contendersi con Lisbona l’Agricoltura. Sarà, certamente, una Commissione a trazione Popolare. Sono 13 i membri del Ppe, contro quattro Socialisti (Danimarca, Spagna, Malta e Romania). Cinque se Nicolas Schmit, Spiztenkandidat di S&D, otterrà la delega agli Alloggi sebbene il Lussemburgo sia governato dal Ppe.

I liberali, oltre a Kaja Kallas e Breton, possono puntare su pochissimi big. I Conservatori avranno due commissari, un italiano e un ceco. Con una differenza: il partito di Petr Fiala ha votato a favore di von der Leyen, Fratelli d’Italia contro. E’ già in questo dato la complessità della partita italiana. Nel 2019, con il M5s che, con una svolta clamorosa, votò von der Leyen facendo infuriare gli alleati della Lega, l’Italia ottenne il commissario agli Affari Economici. Fu scelto Paolo Gentiloni, perché nel frattempo il Conte 1 aveva fatto posto al governo giallorosso. Una delega importante, quindi, ma senza vicepresidenza. Cinque anni dopo all’Italia potrebbe andar peggio.

“Lavorerò il più possibile con chi mi ha sostenuto”, ha scandito von der Leyen. I rapporti con Giorgia Meloni non sono compromessi ma nel Ppe c’è una nutritissima fronda che vuole escludere l’Italia dalla stanza dei bottoni. E che non ha alcuna intenzione di ascoltare più gli inviti di Forza Italia a dialogare con Ecr. E’ difficile, comunque, che von der Leyen voglia assegnare a Roma una delega palesemente punitiva. Più realisticamente, l’Italia potrebbe puntare alla Sburocratizzazione o alla Coesione, mentre il commissario al Mediterraneo sembra essere destinato ad uno Stato membro più piccolo. C’è infine un altro dato di cui tenere conto: al collegio dei commissari dovranno sedere 13 donne e 13 uomini, più la presidente. Von der Leyen vuole fare presto: entro la metà di agosto ogni capitale dovrà mandare la coppia di candidati. L’obiettivo, per Ursula, è avere la nuova Commissione ufficialmente in carica il primo novembre. Prima delle elezioni americane e del possibile ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca.

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Esteri

Nuovi attacchi a Hezbollah, esplodono i walkie talkie: ancora morti e feriti

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Caos e rabbia in Libano dove per il secondo giorno consecutivo l’esplosione sincronizzata di dispositivi wireless in dotazione ai miliziani di Hezbollah e anche di pannelli solari ha fatto almeno 14 morti e 500 feriti. Dopo le migliaia di cercapersone scoppiate martedì alla stessa ora in tutto il Paese dei Cedri, a Damasco e nella Siria orientale (in un’operazione che anche il creatore di Fauda Avi Issacharoff ha definito “al di sopra di ogni immaginazione”), nel pomeriggio di oggi un’altra ondata di deflagrazioni ha scosso i cittadini libanesi. La situazione è tale che in serata il premier libanese Najib Mikati ha dichiarato che il suo governo si sta preparando a “possibili scenari” di una grande guerra con Israele. In molte città i residenti si sono riversati per strada protestando nel disorientamento più totale.

Un’auto dell’Unifil è stata assaltata con lanci di pietre a Tiro da un gruppo di civili. Walkie talkie militari e strumenti per rilevare le impronte digitali sono detonati in diverse località del Paese, tra cui il distretto di Dahiya a Beirut, roccaforte del gruppo sciita, e nel Libano meridionale. Le immagini rilanciate dai media locali mostrano appartamenti in fiamme dentro condomini, auto bruciate, denso fumo nero, gente che fugge e si dispera. Testimoni hanno riferito di numerose ambulanze che portavano i feriti in ospedale. Altre esplosioni sono state segnalate dai media sauditi in Iraq, nel quartier generale dell’organizzazione terroristica al Hashd al Shaabi a Mosul, nello stesso momento delle deflagrazioni in Libano. Alla periferia sud di Beirut, esplosioni di dispositivi sono avvenute mentre si svolgevano i funerali di membri di Hezbollah uccisi martedì negli attacchi con i cercapersone. In 1.600 sarebbero ancora ricoverati negli ospedali con ferite anche molto gravi. Cinquecento miliziani hanno perso la vista quando il loro pager è finito in mille pezzi.

E anche l’ambasciatore iraniano a Beirut avrebbe perso un occhio e 19 pasdaran sarebbero rimasti uccisi in Siria. Ma gli ayatollah negano. Alla vigilia del discorso pubblico del capo di Hezbollah, Hassan Nasrallah, il cugino e presidente del Consiglio esecutivo del gruppo Hashem Safieddine è stato chiaro: “Questi attacchi saranno sicuramente puniti in modo unico, ci sarà una vendetta sanguinosa”, ha detto. Nel mentre Israele tace. Nonostante l’esecrazione di mezzo mondo, le istituzioni di Gerusalemme non hanno battuto ciglio sul ‘beeper affair’ per due giorni consecutivi. Teheran ha accusato l’intero Occidente di “ipocrisia” e Israele di “strage”. Mosca ha parlato di “guerra ibrida”, il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres ha avvisato del “grave rischio di drammatica escalation in Libano”, con il Consiglio di sicurezza che ha fissato una riunione di emergenza per venerdì. Il segretario di Stato Usa Antony Blinken, in visita al Cairo per i negoziati su Gaza che continuano sottotraccia, ha escluso che Washington fosse a conoscenza o coinvolta nel cyberattacco.

Ma l’operazione che ha letteralmente lasciato storditi i miliziani sciiti a quanto pare non poteva più essere rimandata. Secondo fonti Usa citate da Axios, ad innescarla sarebbe stato il timore che l’intelligence di Hezbollah stesse per scoprire il creativo raid informatico: “È stato un momento ‘use it or lose it'”, avrebbe comunicato Israele agli Stati Uniti sul timing dell’attacco. Un ex funzionario israeliano ha spiegato che i servizi avevano pianificato di usare i cercapersone con trappole esplosive come colpo di apertura in guerra per paralizzare i combattenti di Nasrallah. E per ridurre le vittime civili. Ma negli ultimi giorni sembrava che il segreto stesse per trapelare e Benyamin Netanyahu ha dato segnale verde. In serata dallo Stato ebraico si è alzata la voce del ministro della Difesa Yoav Gallant: “Il centro di gravità si sta spostando verso nord attraverso il trasferimento di risorse e forze. Siamo all’inizio di una nuova fase del conflitto”, ha detto alle truppe. Confermando le indiscrezioni del mattino secondo cui un’intera divisione ha lasciato il sud di Gaza per raggiungere il confine con il Libano. A rafforzare il timore di un’escalation a breve il fatto che il capo di stato maggiore Herzi Halevi ha approvato i piani di attacco e difesa per la regione settentrionale: “Israele è pronto a utilizzare capacità militari non ancora impiegate. Hezbollah dovrà pagare un prezzo elevato se continuerà il conflitto”, ha avvertito.

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Libano, ora scoppiano i walkie-talkie tra le mani degli Hezbollah: almeno 3 morti

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Secondo l’agenzia di stampa statale libanese, almeno tre persone sono rimaste uccise in alcune esplosioni avvenute nella zona della Bekaa, mentre fonti della sicurezza hanno riferito alla Reuters che centinaia di persone sono rimaste ferite in una serie di nuove esplosioni in tutto il Libano. Le radio portatili utilizzate dal gruppo terroristico Hezbollah sono esplose nel tardo pomeriggio nel sud del Paese e nella periferia meridionale della capitale Beirut, hanno riferito una fonte della sicurezza e un testimone.

Almeno una delle esplosioni e’ avvenuta nei pressi di un funerale organizzato da Hezbollah, sostenuto dall’Iran, per le vittime del giorno prima, quando migliaia di cercapersone utilizzati dal gruppo sono esplosi in tutto il Paese. “Diversi walkie-talkie sono esplosi nella periferia sud di Beirut”, afferma la fonte, mentre i soccorritori affiliati a Hezbollah confermano che i dispositivi sono esplosi all’interno di due auto nella zona.

Tre persone sono state uccise nell’esplosione di “apparecchiature di trasmissione” a Sohmor, nel Libano orientale, ha riferito l’agenzia di stampa nazionale (ufficiale). Il ministero della Sanita’ ha riferito che “piu’ di cento persone sono rimaste ferite in una nuova ondata di esplosioni di walkie-talkie”.

I walkie-talkie sono esplosi contemporaneamente nella periferia meridionale di Beirut, proprio mentre si svolgevano i funerali di quattro membri di Hezbollah uccisi ieri in esplosioni di cercapersone, secondo una fonte vicina al movimento islamista libanese e ai soccorritori. Le esplosioni hanno scatenato il panico. Altre esplosioni sono state segnalate a Saida (sud) e Baalbeck (est), dove 15 persone sono rimaste ferite, ha riferito una fonte ospedaliera.

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New York Times: Israele dietro all’attacco con i cercapersone

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Israele ha messo l’esplosivo nei cercapersone venduti a Hezbollah. Lo riporta il New York Times, citando alcune fonti americane. L’esplosivo sarebbe stato posizionato vicino alla batteria di ogni dispositivo e attivato tramite un messaggino.

I cercapersone che Hezbollah aveva ordinato alla taiwanese Gold Apollo sarebbero stati manomessi prima di raggiungere il Libano, riporta il quotidiano americano. La maggior parte dei cercapersone era del modello AP924, anche se nella spedizione erano inclusi anche altri tre modelli. I dispositivi erano programmati per emettere un segnale acustico di diversi secondi prima di esplodere. Alla Gold Apollo sono stati ordinati più di 3.000 cercapersone. Non è chiaro né quando sono stati ordinati né quando sono arrivati in Libano.

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