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Economia

Utili banche spingono i ricavi delle fondazioni

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I forti utili messi a segno dalle banche nel 2023 non piacciono forse ad alcuni nella politica e nel mondo delle imprese ma per le fondazioni di origine bancaria sono stati una boccata d’ossigeno importante, portando i ricavi a oltre 2 miliardi. Una cifra che permette agli enti di guardare con maggiore serenità alle erogazioni dei prossimi anni nei vari settori fra cui cultura, beneficienza e ricerca. Dal rapporto annuale dell’Acri, presieduta da Giovanni Azzone, traspare quindi con chiarezza l’effetto benefico sui bilanci degli enti dalla politica della Bce che ha permesso alle banche di ricavare buoni margini. Utili in parte accantonati a patrimonio dopo che la tassa sugli extraprofitti varata da l governo Meloni è stata modificata. Le fondazioni, che tuttavia oramai detengono per la maggior parte dei casi quote sotto il 5% nella banca, hanno così visto i proventi salire a 2.010,3 milioni di euro, il 41,1% in più rispetto al 2022.

Di questi i dividendi sono pari a 1.522,3 milioni di euro (+22,5% rispetto al 2022): di cui 944,7 milioni da partecipazioni bancarie (47% sul totale dei proventi) e 577,6 milioni da partecipazioni non bancarie (28,7% sul totale dei proventi). Tutti numeri positivi quindi che permettono al mondo delel fondazioni di erogare nel 2023 oltre 1 miliardo di euro e di andare avanti con gli interventi di programazione pluriannuale con serenità. A ogni modo, lamenta l’Acri il carico fiscale ha raggiunto 248 milioni di euro, “parzialmente mitigato da un’inversione di tendenza con la legge del 2020 che ha introdotto una riduzione dell’imponibile sui dividendi al 50%.

Il risparmio d’imposta prodotto – nel 2023 è stato pari a circa 178,2 milioni di euro – viene accantonato dalle Fondazioni in un apposito fondo, destinato all’attività erogativa. Per quanto riguarda la distribuzione delle erogazioni per settore di intervento, il rapporto sottolinea come nel 2023 “si confermano i sette settori da sempre prioritari. E così Arte, Attività e Beni culturali assorbe la quota più alta delle risorse, 251,2 milioni di euro (il 24% delle erogazioni totali). Seguono: volontariato, filantropia e beneficenza, a cui sono stati destinati 152,1 milioni di euro (14,5% del totale); educazione, istruzione e formazione a cui vanno 115,8 milioni (11,1%). Viene poi ricerca e sviluppo con un importo di 101,3 milioni di euro (9,7%); sviluppo locale con 90,6 milioni di euro (8,7%); assistenza sociale con 84,9 milioni di euro (8,1%) e infine salute pubblica con 54,2 milioni di euro (il 5,2% del totale).

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La Bce taglia ancora, lo spread ai minimi da tre anni

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La Banca centrale europea taglia i tassi di un altro quarto di punto, allentando il costo del denaro per la terza volta dall’inizio della fase espansiva avviata a giugno e facendo scendere lo spread ai minimi dal 2021. Ma nonostante una crescita più debole del previsto “l’area euro non va verso una recessione e siamo diretti verso un atterraggio morbido”, assicura la presidente Christine Lagarde. E così la Bce non s’impegna sulle mosse future. Intanto i mercati festeggiano, e già prima dell’annuncio lo spread Btp-Bund in apertura era ai minimi da novembre 2021, arrivando fino a 119 punti base. L’euro continua la discesa iniziata a fine settembre, toccando 1,0812 dollari, e anche le Borse corrono con Milano sopra 35.000 a +1,09%. A far decidere all’unanimità i governatori, riuniti ‘fuori porta’ nei pressi di Lubiana, in Slovenia, sono i “rischi al ribasso” sulle prospettive di crescita, ha spiegato Lagarde.

Un quadro economico in peggioramento, con gli ultimi indici Pmi “tutti nella stessa direzione” e con l’aggravante di rischi derivanti dalle guerre in Ucraina e Medio Oriente, della volatilità dei prezzi energetici, della crisi economica in Cina. I banchieri centrali hanno così portato il tasso sui depositi al 3,25%, quello sui prestiti principali al 3,40% e quello sui prestiti marginali al 3,65% dopo un’inflazione nell’area euro che “a sorpresa” – ha detto Lagarde – a settembre è scesa all’1,7%, sotto l’obiettivo Bce di medio termine del 2%. I prezzi dovrebbero tornare a salire temporaneamente, ma secondo indiscrezioni nelle loro aspettative ci sarebbe ora una stabilizzazione intorno al 2% nella prima metà del 2025 anziché alla fine dell’anno. Quello di oggi è il primo taglio ‘consecutivo’ (i precedenti erano arrivati a giugno e poi settembre) nell’attuale fase di riduzione dei tassi che, fino a qualche settimane fa, ci si aspettava procedesse con cadenza trimestrale. Non torna – invece – la ‘forward guidance’ con cui la Bce fino a qualche anno fa orientava le aspettative sul corso futuro dei tassi d’interesse. La Bce “continuerà a seguire un approccio guidato dai dati, in base al quale le decisioni vengono definite di volta in volta a ogni riunione” è la frase ribadita da Lagarde.

Sul dopo “vedremo” – si lascia sfuggire la presidente durante la conferenza stampa – “non abbiamo ancora ‘spezzato il collo’ all’inflazione, ma ci stiamo arrivando”. A frenare sulla forward guidance è la volontà della Bce di cautelarsi dai rischi che rimangono, con i prezzi che depurati da energia e settore alimentare viaggiano ancora al 2,7%. Una cautela che tiene conto anche della volatilità dei prezzi energetici, delle incertezze sulle prossime mosse della Fed e dei timori tedeschi: il presidente dell’istituto Ifo Clemens Fuest saluta con favore il taglio di oggi, ma “ci sono anche rischi al rialzo per l’inflazione, specie nei servizi. E’ giusto non impegnarsi ad ulteriori tagli”.

Gli investitori ragionano sul ‘dopo’ e si aspettano nuovi tagli già dalla prossima riunione del 12 dicembre. Fonti della Bce interpellate dalla Bloomberg lo danno come altamente probabile. “A meno di sorprese, il taglio di dicembre è quasi scontato. Il mercato, però ha iniziato a prezzare un taglio da 25 punti base ad ogni riunione fino a giugno; uno scenario a nostro avviso eccessivo visto che le pressioni inflattive potrebbero risultare più forti delle attese a inizio 2025”, commentano gli economisti di Mps. Sul ritmo e i tempi delle prossime decisioni avranno un peso le nuove proiezioni di crescita e inflazione al 2027, che la Bce pubblicherà a dicembre e che rifletteranno il peggioramento dell’economia. In particolare quella tedesca, probabilmente in recessione con importanti ramificazioni in altri Paesi fra cui l’Italia.

E arrivano le reazioni della politica, con il ministro degli Esteri Antonio Tajani che scrive su X “bene la decisione della Bce di tagliare i tassi di interesse. Andiamo avanti con coraggio. E bene lo spread che scende a 120 punti. I mercati approvano la nostra manovra di bilancio”. Seguito dal presidente dei senatori di Forza Italia, Maurizio Gasparri: “era la direzione di marcia che il ministro degli Esteri e Segretario nazionale di Forza Italia, Antonio Tajani, aveva pubblicamente e più volte auspicato e sollecitato”.

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Slitta collocamento di Poste, titolo fa record in Borsa

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Slitta a data da destinarsi la seconda offerta di azioni, pari al 14%, di Poste Italiane, originariamente prevista per il 21 ottobre. “Poste Italiane comunica di aver avviato, congiuntamente al Mef, il procedimento presso la Consob per l’approvazione del prospetto relativo all’offerta di azioni da parte dello stesso Mef, a seguito dell’approvazione del Dpcm del 17 settembre scorso”. Ma “tale procedimento è stato temporaneamente interrotto in pendenza delle decisioni e delle valutazioni in corso riguardo alle modalità e ai tempi dell’offerta”, ha spiegato il gruppo, guidato da Matteo Del Fante.

Il ministro dell’Economia e delle Finanze, Giancarlo Giorgetti, ha subito rassicurato: “Nessun problema. Ci sono piccole cose tecniche, ma le mettiamo a posto”, ha detto ai cronisti, entrando nell’Aula di Palazzo Madama per il question time. Sulla notizia della sospensione del collocamento, il titolo di Poste fa un boom in Borsa, chiudendo al massimo storico di 13,375 euro, in rialzo del 3%, con un picco durante la seduta a 13,455 euro. In un anno il valore delle azioni di Poste Italiane è aumentato di circa il 35%. Secondo le indiscrezioni la vendita della seconda tranche di azioni di Poste dovrebbe avvenire nella seconda metà del mese prossimo, dopo il cda del 6 novembre per l’approvazione dei risultati dei primi 9 mesi.

La premier, Giorgia Meloni, ha spiegato alla Camera qualche giorno fa che il governo ragiona “della cessione di una quota abbastanza minoritaria, dedicata esclusivamente ai retailer, i piccoli risparmiatori italiani e ai dipendenti di Poste”. Infatti “Poste in ogni caso deve rimanere nelle mani degli italiani, non intendiamo svendere niente dei gioielli di famiglia”, ha sottolineato la Presidente del Consiglio. L’operazione dovrebbe portare circa 2,5 miliardi nelle casse dello Stato, che manterrà il controllo, tra Mef e Cdp, con una quota che non scenderà sotto il 50%. Per il collocamento il Mef si affiderà ai consulenti Ubs Europe per la parte finanziaria e a White & Case Europe Llp per la parte legale, così come prevede il Dpcm per l’alienazione di una quota della partecipazione di Poste Italiane. Mentre il Gruppo non avrà un proprio advisor, come confermato da Del Fante.

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Stellantis: l’ira dei cassintegrati davanti a Mirafiori

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La pioggia battente non ferma la rabbia delle tute blu delle carrozzerie di Mirafiori. “Non ci piangiamo addosso, pretendiamo un futuro”, gridano davanti alla storica palazzina di corso Agnelli. Da settimane non lavorano e ancora per un lungo periodo saranno in cassa integrazione. La loro protesta arriva alla vigilia dello sciopero generale nazionale con una manifestazione a Roma in piazza del Popolo all’insegna dello slogan “Cambiamo marcia: acceleriamo verso un futuro più giusto”. Era dal 1994 che Fiom, Fim e Uilm non manifestavano insieme con uno sciopero unitario nel settore. Con i lavoratori, in arrivo nella capitale da tutta Italia, è prevista anche la partecipazione dei leader dei partiti dell’opposizione: Elly Schlein, Giuseppe Conte, Nicola Fratoianni, Angelo Bonelli, Carlo Calenda. Sono attese delegazioni di sindacati europei e mondiali. Anche Fismic Confsal, Uglm e Associazione Quadri, che hanno partecipato alla manifestazione a Mirafiori, saranno in molte piazze d’Italia – Torino, Bari, Potenza, Napoli, Avellino, Cassino e Termoli – con lo slogan “L’Automotive merita di più”.

Al presidio di Mirafiori hanno partecipato anche i cassintegrati della Lear e di altre aziende dell’indotto. “La mobilitazione dei lavoratori di Stellantis è partita proprio da Torino il 12 aprile con il primo sciopero unitario per chiedere il rilancio dell’auto” hanno ricordato i sindacati torinesi. Con i lavoratori si schiera il presidente della Regione Piemonte, Alberto Cirio. “Siamo al fianco del governo che, con il tavolo di confronto aperto con l’azienda, è impegnato nell’ottenere impegni precisi per salvaguardare e rilanciare un comparto strategico per l’Italia e per i nostri territori e dei lavoratori quando chiedono certezze sugli investimenti e impegni concreti per rilanciare la produzione e tutelare i posti di lavoro in Italia, in Piemonte e a Torino”, afferma il governatore.

Tutto questo in un contesto molto negativo per il settore dell’auto. L’agenzia Moody’s nel suo ultimo report ha abbassato l’outlook per l’intera industria automobilistica globale da stabile a negativo. Calano le aspettative di vendita per Europa e Stati Uniti, ma anche per la Cina. Le previsioni di crescita per il 2024 secondo le stime di Moody’s si fermano a un +0,4% contro l’1,6% stimato in precedenza e anche nel 2025 si prevede una crescita moderata dei volumi. “In Italia solo un veicolo immatricolato su 20 è full electric. La situazione di mercato è triste” spiega Motus-E, l’associazione italiana degli operatori industriali, filiera automotive e mondo accademico che punta allo sviluppo della mobilità elettrica in Italia.

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