In bilico fra il ruolo di presidente del Consiglio e quello di leader dell’Ecr. Ma con una priorità “assoluta”, ossia “vedere riconosciuto all’Italia il giusto peso” nella Commissione europea: ossia un commissario di prima fascia e una vicepresidenza esecutiva. Giorgia Meloni, assicurano fonti a lei vicine, vive con questo approccio queste ore di trattative decisive sull’asse Roma-Bruxelles in vista dell’appuntamento di giovedì, quando Ursula von der Leyen chiederà al Parlamento Ue i voti per un secondo mandato alla guida dell’esecutivo Ue. Uno snodo che secondo alcuni, anche nella maggioranza, potrebbe generare nuove fibrillazioni all’interno della sua coalizione, dove Antonio Tajani spinge da settimane per un allargamento della maggioranza Ursula a Ecr, i Conservatori europei guidati dalla leader di FdI, e Matteo Salvini non perde occasione per ribadire la contrarietà della Lega a “ogni inciucio” e alla conferma della presidente della Commissione europea.
Distanze che già si misurano anche su dossier come quello della postura da tenere sull’aiuto militare all’Ucraina, nonché sulle nomine dei vertici Rai, e che potrebbero essere messe alla prova non appena dopo l’estate si aprirà il cantiere della manovra, quando le proposte di bandiera di ciascun partito si scontreranno con risorse decisamente contenute. Non è escluso che la premier e i due vicepremier possano confrontarsi a ridosso del voto del Parlamento europeo. Anche se al momento appare complicato un vertice, per motivi di agenda, con Meloni che mercoledì sarà impegnata in Libia per un forum sulle migrazioni. Dentro FI e Lega si attende con interesse di capire quale posizione prenderanno i 24 eurodeputati di FdI giovedì.
L’ultima parola sarà inevitabilmente di Meloni, che nelle prossime ore avrà un colloquio con von der Leyen. Non è escluso che scelga di sentirla solo dopo aver raccolto le impressioni della delegazione di FdI al Parlamento Ue, che alle 9 avrà le consultazioni con la leader tedesca. Ciò che potrebbe fare la differenza è un riconoscimento da parte di von der Leyen che le elezioni di inizio giugno hanno spostato l’Europa un po’ più a destra: questo arriverebbe, ad esempio, con l’impegno a un approccio diverso al green deal, a proseguire in continuità sulla gestione dei flussi migratori, e a condividere l’idea che l’Unione sia una confederazione di nazioni sovrane unite sui grandi temi, ma libere di affrontare questioni di stretta rilevanza nazionale, garantendo il principio di sussidiarietà. Soprattutto, però, Meloni di fronte al bivio fra il voto a favore o quello contrario (l’astensione al momento viene considerata una soluzione meno probabile), chiederà che a Roma sia riconosciuto “il giusto peso”.
Ossia un commissario di peso, e una vicepresidenza esecutiva. Sul tavolo ci sono le deleghe a Bilancio, Pnrr e coesione, e il nome in lizza è sempre quello del ministro Raffaele Fitto, che nel pomeriggio ha ricevuto Valdis Dombrovskis, uno dei tre vicepresidenti esecutivi della Commissione uscente. La vicepresidenza esecutiva appare un obiettivo più complesso. Se von der Leyen dovesse confermarne più di una senza affidarne una a un italiano, “sarebbe una nuova forma di emarginazione per l’Italia”, notano i meloniani riferendo i pensieri della loro leader. Nelle prossime ore il quadro dovrebbe essere più chiaro, e consentire alla premier di fare le sue valutazioni conclusive. Vista da Palazzo Chigi, molto dipenderà, insomma, dalle aperture di von der Leyen. Meloni sceglierà “mettendo al primo posto quello che più conviene all’Italia”, assicurano i suoi, “anche se dovesse andare a discapito suo”.