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Meloni plaude a Nato, apre su Ursula e bacchetta Salvini

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“Soddisfazione” per il summit Nato, apertura sull’Ursula bis ma anche a forme di collaborazione con i Patrioti, e bacchettata a Matteo Salvini sull’Ucraina. Sono alcuni dei temi principali della conferenza stampa di Giorgia Meloni al termine del vertice dell’Alleanza, segnato da vari bilaterali (Ergodan, Starmer, Duda) e suggellato dall’incontro con Volodymyr Zelensky, con cui ha ha discusso del conflitto in corso ma anche della conferenza per la ricostruzione dell’Ucraina che verrà ospitata dall’Italia nel giugno 2025. La premier si è detta “soddisfatta” del summit, e in particolare dell’inviato speciale per il fianco sud dell’Alleanza, che l’Italia aveva sollecitato e per il quale “intende presentare la sua candidatura”, discussa anche con Joe Biden. La bacchettata al leader della Lega è arrivata quando ha risposto sull’opportunità di togliere i limiti all’uso delle armi occidentali a Kiev per colpire in Russia.

“Noi in Ucraina ci siamo concentrati sui sistemi di difesa aerea, che è il modo migliore per difendere una nazione aggredita. Lo dico anche a chi da varie parti dice che se si continuano a inviare armi all’Ucraina si alimenta la guerra (come ha detto anche Salvini, ndr). Dipende anche da che cosa si invia, perché se noi non avessimo mandato i sistemi di difesa antiaerea i missili sarebbero partiti ugualmente, colpendo molta più gente, come abbiamo visto qualche giorno fa all’ospedale di Kiev”.

La premier ha poi negato che Salvini sia un problema politico per la sua posizione sul conflitto rivendicando in qualche modo di aver garantito la linea: “la maggioranza è sempre stata molto compatta su questa materia, lo dimostra una linea italiana che è chiarissima in tutto il mondo… il governo ha rispettato il suo programma e i suoi impegni con una solidità che mi corre l’obbligo di ricordare non abbiamo visto in tutte le maggioranze che ci hanno preceduto e che non vediamo attualmente neanche nell’opposizione”. Meloni ha anche aperto su Von der Layen, legando il suo voto al risultato che l’Italia deve ottenere «per il suo peso» e a quello che la presidente della commissione uscente dirà a Ecr, il gruppo conservatore europeo presieduto dalla stessa Meloni: “come Presidente del Consiglio italiano il mio obiettivo unico obiettivo è portare a casa per l’Italia il massimo risultato possibile. Come presidente di Ecr, Von der Leyen incontrerà il nostro gruppo e a valle di quello che lei dirà chiaramente dialogheremo con le altre delegazioni e decideremo che cosa fare”.

La premier ha ridimensionato anche le distanze politiche con gruppi di destra che in Europa hanno aderito ai Patrioti di Orban e Le Pen, ricordando che nel gruppo «c’è Salvini, come c’è Vox che è stato con Ecr fino a qualche giorno fa». «La partecipazione e la composizione dei gruppi europei non impedisce affatto che ci siano ottimi rapporti e che ci siano forme di collaborazione, come dimostra il caso italiano dove mi corre l’obbligo di ricordare che i tre partiti che compongono la maggioranza, pur stando insieme praticamente da 30 anni, sono sempre stati in gruppi europei diversi». Sul viaggio di Orban a Mosca e Pechino senza un mandato europeo ne è uscita cosi’: “se fossero iniziative che possono portare qualche spiraglio di pace e di diplomazia non ci vedrei niente di male, direi ben venga. Ma se il giorno dopo si ottiene che un ospedale viene bombardato a me pare che questo dimostri purtroppo che non c’è alcuna volontà di dialogo da parte della Russia di Putin”.

E il viaggio di Orban a Mar-a-Lago da Donadl Trump? “I leader politici hanno diritto a incontrare altri leader politici, non ci vedo niente di particolare e niente di strano. Non credo che sia un mistero che Orban possa essere più vicino a Trump piuttosto che a Biden, ma insomma sono leader politici che si parlano», ha smussato. Inevitabile la domanda su Biden, proprio mentre affrontava la sua conferenza stampa piu’ difficile: “Se l’ho visto lucido? l’ho visto bene, mi ha fatto una bella impressione come presidente degli Stati Uniti d’America. Insomma, di una persona che sta lavorando, che ha organizzato un ottimo vertice”. Ma poi precisa di non voler fare “ingerenze straniere” come quelle che ha subito nel voto italiano. E a chi insiste se sceglierebbe lui o Trump qualora potesse votare in Usa risponde che “l’Italia e gli Stati Uniti sono due nazioni che hanno dei rapporti estremamente solidi e che quei rapporti non sono mai cambiati nonostante il mutare dei governi. E l’unica cosa che mi interessa”.

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Bocchino: dall’Italia verso un’internazionale conservatrice

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La vittoria elettorale della destra “avviene perché la sinistra prima è stata considerata inaffidabile per paura del comunismo, oggi è considerata inaffidabile perché si prende a cuore temi come l’immigrazione irregolare, che gli italiani non vogliono, o i diritti delle comunità LGBTQI+, che certo devono essere garantiti ma che riguardano comunque una minoranza dell’1,6% della popolazione, e perchè ha abbracciato la globalizzazione selvaggia, che è una cosa che fa paura agli italiani”.

Lo ha detto Italo Bocchino (foto imagoeconomica in evidenza) a margine della presentazione del suo libro “Perchè l’Italia è di destra” a Napoli, a cui hanno assistito anche il capo della procura partenopea Nicola Gratteri e l’ex ministro della cultura Gennaro Sangiuliano, mentre sul palco sono intervenuti il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e il viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli.

“Giorgia Meloni – ha proseguito Bocchino – ha fatto da apripista in Italia, dando vita a una destra che ha stupito, perché tutti si aspettavano una destra neofascista mentre si sono trovati una destra che rappresenta un conservatorismo nazionalpopolare.

E così si resta stupiti anche dal risultato degli Stati Uniti, che un po’ ricalca quel modello, e di quello che accade in alcuni paesi europei e in Sudamerica. Quindi c’è l’ipotesi che nasca nel prossimo decennio un’internazionale conservatrice e che abbia un grandissimo peso nella politica mondiale: in questo contesto, tra i leader sicuramente ci sarà Giorgia Meloni. Immaginiamo il prossimo G7, guardate la foto del prossimo G7: ci sono Scholz e Macron zoppicanti, lo spagnolo che ha problemi in casa, il giapponese che ha problemi in casa, il canadese che ha problemi in casa e due in splendida salute che sono Giorgia Meloni e Trump. Questo è il mondo oggi”.

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La versione di Conte: o il M5s resta progressista o avrà un altro leader

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“Da oggi a domenica i nostri iscritti potranno votare online e decidere quel che saremo. Abbiamo un obiettivo ambizioso, che culminerà con l’assemblea costituente di sabato e domenica: rigenerarci, scuoterci, dare nuove idee al Movimento. Nessuno lo ha fatto con coraggio e umiltà, come stiamo facendo noi”. Così a Repubblica il leader del M5s Giuseppe Conte (foto Imagoeconomica in evidenza).

“Se dalla costituente dovesse emergere una traiettoria politica opposta a quella portata avanti finora dalla mia leadership – aggiunge – mi farei da parte. Si chiama coerenza. Se questa scelta di campo progressista venisse messa in discussione, il Movimento dovrà trovarsi un altro leader”.

Sull’alleanza col Pd “la mia linea è stata molto chiara. Non ho mai parlato di alleanza organica o strutturata col Pd. Nessun iscritto al M5S aspira a lasciarsi fagocitare, ma la denuncia di questo rischio non può costituire di per sé un programma politico”. “Gli iscritti sono chiamati a decidere e hanno la possibilità di cambiare tante cose. Anche i quesiti sul garante (Grillo, ndr) sono stati decisi dalla base. Io non ho mai inteso alimentare questo scontro. Sono sinceramente dispiaciuto che in questi mesi abbia attaccato il Movimento. Se dovesse venire, potrà partecipare liberamente all’assemblea. Forse la sensazione di isolamento l’avverte chi pontifica dal divano vagheggiando un illusorio ritorno alle origini mentre ha rinunciato da tempo a votare e portare avanti il progetto del Movimento. L’ultimo giapponese rischia di essere lui, ponendosi in contrasto con la comunità”.

Sui risultati elettorali “in un contesto di forte astensionismo, sicuramente è il voto di opinione sui territori, non collegato a strutture di potere e logiche clientelari, ad essere maggiormente penalizzato. Dobbiamo tornare ad ascoltare i bisogni delle comunità locali. E poi c’è la formazione delle liste: dobbiamo sperimentare nuove modalità di reclutamento, senza cadere nelle logiche clientelari che aborriamo”.

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Alessandro Piana: “Perdono, ma non dimentico” – La fine di un incubo giudiziario

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Alessandro Piana (nella foto in evidenza), esponente della Lega e vicepresidente della Regione Liguria, tira un sospiro di sollievo dopo la conclusione di un’inchiesta giudiziaria che per oltre un anno lo ha visto al centro di pesanti sospetti. Accusato ingiustamente di coinvolgimento in un presunto giro di squillo e party con stupefacenti, Piana è stato ufficialmente escluso dall’elenco dei rinviati a giudizio, mettendo fine a un incubo personale e politico.


Un’accusa infondata che ha segnato una campagna elettorale

Alessandro Piana racconta di aver vissuto un periodo estremamente difficile, aggravato dalla tempistica dell’inchiesta, che ha coinciso con la campagna elettorale.

«L’indagine era chiusa da tempo, ma si è voluto attendere per renderne noto l’esito. Mi sarei aspettato maggiore attenzione, considerato il mio ruolo pubblico. Per mesi sono stato bersaglio di accuse infondate, che sui social si sono trasformate in attacchi personali».

Nonostante il clamore mediatico, Piana ha affrontato con determinazione la situazione, ricevendo il sostegno del partito e del leader regionale della Lega, Edoardo Rixi.


Le accuse e il chiarimento

Piana spiega di essere venuto a conoscenza del suo presunto coinvolgimento attraverso i media, vivendo quello che definisce un “incubo”:

«Ero al lavoro quando ho saputo del mio presunto coinvolgimento. Credevo fosse uno scherzo, invece era terribilmente vero».

L’esponente leghista si è immediatamente messo a disposizione della magistratura, fornendo tutte le prove necessarie per dimostrare la sua estraneità ai fatti:

«Non ero presente dove si sosteneva che fossi. Ero a casa mia, a 150 chilometri di distanza, con testimoni pronti a confermarlo. Non ho mai frequentato certi ambienti, nemmeno da giovane».

Secondo Piana, il suo nome sarebbe stato tirato in ballo per millanteria durante un’intercettazione telefonica che citava genericamente un “vicepresidente della Regione”.


Una vicenda che lascia il segno

Nonostante la sua assoluzione dai sospetti, Piana non nasconde l’amarezza per i danni subiti:

«Ho pagato un prezzo molto salato, gratuito e ingiusto. Per mesi sono stato additato come vizioso. Perdono chi ha sbagliato, ma non dimentico».

Il vicepresidente auspica che casi simili siano gestiti con maggiore rapidità in futuro, per evitare che accuse infondate possano danneggiare ingiustamente la reputazione di figure pubbliche.


Conclusione

La vicenda di Alessandro Piana solleva interrogativi sul delicato equilibrio tra diritto di cronaca e tutela dell’immagine pubblica, in particolare quando si tratta di accuse che si rivelano infondate. Oggi, il vicepresidente della Regione Liguria guarda avanti con serenità, forte del sostegno ricevuto e con la determinazione di proseguire il suo impegno politico senza lasciarsi scoraggiare dagli eventi passati.

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